Quanto può essere determinante lo stile di un romanzo? Soprattutto: può avere un peso tale da convincere un lettore a uscire dai suoi generi prediletti?
Può addirittura sovrastare il valore di una storia? In altre parole: uno stile eccelso può sollevare le sorti di una storia dall’intreccio piatto, scontato, per nulla accattivante?
Domande forse futili, alle quali mi verrebbe da rispondere con un secco no. La storia viene prima di tutto. Ha un primato tutto sommato invalicabile: è la struttura portante di un romanzo. Idee del tutto opinabili le mie. È chiaro.
Tuttavia resta il fatto, credo palese, che leggendo una sinossi ciò che emerge spesso è la storia, non lo stile con cui viene raccontata. Ed è la sinossi che fa da ago della bilancia nel determinare la conquista di un lettore, a sortire o meno la fatidica decisione di quest’ultimo per l’acquisto in libreria.

Personalmente sarei disposto a sopportare uno stile inconsistente pur di leggere una buona storia.
Mi ha dunque incuriosito molto sapere che Marina, di cui ho inquadrato almeno spannometricamente i gusti di lettura, si è imbarcata nella lettura di un romanzo distopico la cui trama non avrei mai scommesso potesse suscitare nemmeno lontanamente il suo interesse.
Motivo?

“… il lettore strappa la storia dalle mani di chi l’ha scritta e produrre questo risultato è segno di grande maturità stilistica.”

Questo è solo un passaggio del nostro scambio di e-mail.
È una frase di grande impatto emersa durante la presentazione del libro. Ma, esattamente, di che libro stiamo parlando? Stiamo parlando di un libro la cui trama, almeno stando a quanto pubblicato su Amazon, è la seguente.

«La testa bulbosa del contadino Marz stava reclinata tra le spalle e il cappello: le orecchie dritte, un occhio chiuso e uno aperto nascosti nell’ombra gettata dalla tesa». Marz aspetta nel suo campo di rape che arrivi il nemico «coi porcari di Baden-Baden e i mastri terrai di Feldenburg». Comincia così questa storia grottesca e paradossale; in un paese incastrato in una conca profonda sotto il livello del mare. Una pioggia fitta e insistente, un diluvio, finisce per riempirla fino all’orlo. Il paese è sommerso: c’è qualcosa che ottura la valvola del canale di scolo… Siamo in un luogo senza tempo da qualche parte nel cuore dell’Europa; forse nella prima metà del ‘900, così sembrano suggerire alcuni dettagli come il telegramma, la sigaretta, il furgoncino del latte, i caratteri tipografici del passaporto di Lisetska. Allo stesso tempo, sembra di essere entrati in un buio Medioevo dove quel diluvio e la follia che scuote e inebria i personaggi fanno pensare alle storie sulla fine del mondo. Ma fin dall’inizio il macabro cede il passo al grottesco, a un’abile narrazione in chiave comica dal ritmo incalzante che investe e travolge ogni cosa trasformando la tragedia in farsa: Krauss si suicida tagliandosi le vene con un pennino, il mite Signor Keller si rivela un folle che stupra la giovanissima Nana, l’adultera Lisetska diventa per il l’astore Thulin la strega che ha portato la sciagura sul paese. Personaggi che sembrano usciti dai dipinti di Bruegel e Bosch ma anche Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, divertenti e inquietanti allo stesso tempo. Questa commedia travestita da giallo procede in bilico tra narrazione epica e ambizione tragica, in realtà profondamente comica, di una comicità antica, che però sembra proprio alludere clownescamente al nostro reale contemporaneo.

Potrei a questo punto svelare il titolo ma… invece no. Lo svelerò alla fine. Vorrei dare l’opportunità a chi legge di fermarsi un attimo per valutare se una trama del genere, da cui si può solo intravedere storia e genere, può essere sufficiente per convincersi alla lettura. Perché questo è quello che facciamo ogni volta che andiamo in libreria a caccia di letture.

Sì, ma lo stile?

Non stavamo parlando di stile? Marina, di fatto, la sinossi non l’ha nemmeno letta. Ma durante la presentazione del romanzo, almeno stando a come l’hanno presentato autore ed editore, ne è rimasta incuriosita dallo stile, o meglio, dal modo in cui ne hanno parlato. Fino al punto di decidere di comprare il libro in oggetto. E ovviamente l’ha letto. Almeno: questo è quanto emerge dal nostro scambio di e-mail che pubblico di seguito.
Chi vuole può origliare il nostro dialogo virtuale qui sotto.

 

Uno dei tuoi ultimi post su FB mi ha incuriosito. No, non quello sui limoni… 😛
(però mi assicuro sempre sulla provenienza…)
Quell’esordiente che hai deciso di portarti a letto… 😀 😀 😀
Mi hai un pochino spiazzato: ho letto la trama e mai e poi mai avrei detto che avrebbe potuto conquistarti.
Quindi, delle due una: o non ho capito un caxxo dei tuoi gusti (ed è altamente probabile).
Oppure qualcosa mi sfugge (ed è altrettanto altamente probabile).
Insomma: se ho capito bene, sei andata alla presentazione di questo libro e sei rimasta conquistata.
La domanda che mi cruccia è…. … perché?

 

Semplice, diciamo che ci sono persone che naturalmente mi stanno simpatiche, che mi incuriosiscono, persone alle quali concedo il mio tempo perché hanno qualcosa di interessante da dire. Ecco, l’autore, 25 anni (potrebbe essere mio figlio) ha fatto una bella presentazione del proprio libro che mi ha fatto dire: “uhm, vediamo, allora, cos’ha di speciale la sua storia”. Mi ha colpito il modo in cui è arrivato agli editori che erano presenti e hanno speso per lui parole davvero lusinghiere. Con il libro, questo esordiente è arrivato in finale al Premio Neri Pozza. Wow! – mi sono detta. Non so se sai quanto è ambito il Neri Pozza. E da lì un’escalation di soddisfazioni per l’autore. Non poteva che farmi gola quello che ha scritto.
La mia prima notte con lui è stata così così, tuttavia! 😀

Sulle prime ho avuto qualche difficoltà a calarmi nell’atmosfera della vicenda, ma già al secondo capitolo ho pensato: “questa è una storia pazzesca, a metà tra il folle e il geniale ed è scritta benissimo”. Ora che sto continuando a leggere il testo capisco cosa abbiano voluto dire gli editori (Exorma edizioni) durante la presentazione: sembra scritto da mani esperte, è ironico, è originale, ma resta il fatto che non sia il genere di libri che mi fa palpitare. Voglio capire l’effetto che farà su di me questa storia. Per ora registro che c’è un ottimo ritmo e non mi sto annoiando, che è quanto dire.

 

Risposta interessante la tua. Ma non pensare di cavartela con così poco… 😀
Sono curioso, molto curioso. Facciamo un passo indietro: perché prima di essere conquistata dalla presentazione del libro mi pare evidente che, prima ancora, sei stata incuriosita dalla presentazione stessa. In altre parole: come sei venuta a conoscenza della presentazione del libro?
Cosa ti ha invogliato ad andarci? Solo il fatto che il tizio in questione è stato un finalista del Neri Pozza? O c’è stato dell’altro che ti ha fatto scattare la scintilla?
A costo di essere banale, ti dico che io non mi sognerei mai di andare alla presentazione del libro di un tizio solo perché questo si è guadagnato le luci della ribalta con il concorso XYZ. La trama mi deve catturare.

 

Considera che, quando posso, cerco di conoscere l’autore di un libro, intendo personalmente: per me le presentazioni hanno questo scopo. Mi piace sentire la voce di uno scrittore, vedere come parla, cosa dice, come lo dice, in che modo si rivolge al pubblico per conquistarlo. Se già conosco il libro e voglio leggerlo, a maggior ragione mi fa piacere sentirne parlare da chi lo ha scritto (è capitato con la Nothomb, quest’anno); se non conosco il libro, mi piace vedere se la discussione nata intorno a esso riesce a incuriosirmi. Ecco, questo è stato il caso del romanzo di cui stiamo parlando: due amiche del gruppo di lettura di TwoReaders, su Twitter, mi hanno chiesto se volevo venire alla presentazione del libro di esordio di un giovane scrittore, il valore aggiunto era rappresentato dalla presenza come moderatore di Massimo Roscia, che adoro, e io non me lo sono fatto dire due volte. Ero senza aspettative, in più del suo romanzo non sapevo nulla e non ho voluto saperne nulla, perché volevo che la curiosità, laddove fosse insorta, nascesse proprio sentendo parlare il suo autore.
Ed è insorta.

 

Dunque, se ho ben capito, ti sei portata a letto un romanzo dopo un appuntamento al buio: non conoscevi la trama, non hai voluto conoscerla e, come se non bastasse, sei andata alla presentazione perché ti interessava più… il moderatore! 😀
Scherzi a parte: dicevi che “ti ha colpito il modo in cui è arrivato agli editori che erano presenti”. Ecco. Cosa ti ha colpito esattamente? Raccontami come ha fatto ad arrivare agli editori, questo esordiente.

 

Un appuntamento al buio andato a buon fine, per fortuna.
L’intervento e la presenza di Massimo Roscia per me hanno rappresentato una sorta di garanzia: già il solo fatto che l’autore dello straordinario “La strage dei congiuntivi” avesse accettato di presentare il libro di un esordiente, ha aumentato la mia curiosità intorno allo stesso. Ma sono andata alla presentazione senza aspettarmi il capolavoro: interessata sì, ma come sempre pregiudizialmente scettica.
E invece… Invece, fin dalle prime battute, questo giovanissimo scrittore ha mostrato carattere; pur partendo da un approccio timido, ha parlato della propria passione per l’arte, per il cinema, la drammaturgia, che hanno fatto sì che la storia gli scivolasse fra le dita per immagini, con quel carattere visionario di chi maneggia con esperienza la fantasia, guidandola in modo efficace dentro una trama ben congegnata. Pungolato da Roscia ha parlato un po’ di sé, ha raccontato come i suoi personaggi abbiano a un certo punto preso il largo, sfuggendo a ogni controllo. Un pregio che anche l’editore presente ha sottolineato: “il lettore strappa la storia dalle mani di chi l’ha scritta e produrre questo risultato è segno di grande maturità stilistica”.
È vero che io mi sia fatta condizionare dall’esito del Premio Neri Pozza in cui l’autore è arrivato tra i finalisti (per me, già, un miracolo), ma anche la casa editrice si è lasciata incuriosire dal meritevole piazzamento, tra l’altro a opera di un venticinquenne che dimostra consapevolezza, coerenza, ma soprattutto freschezza (cosa che spesso gli autori navigati perdono, a detta dell’editore.)
Che ti devo dire, Darius, l’ho invidiato (per come concepisco io l’invidia, eh!): giovane, talentuoso… Lo trovassi io un editore che mi apprezzi per un “fatto stilistico”, che riconosca “la mia rinuncia all’esibizionismo a solo vantaggio dei personaggi”… Insomma, a quel punto, si è accesa la spia della curiosità: curiosità di conoscere la storia che una lettrice, dal pubblico, ha definito “poeticamente aspra”, di vedere che fine fanno questi personaggi, di riscontrare la pienezza stilistica decantata. Dai, caro esordiente, vediamo che hai saputo scrivere con tanta apprezzata maestria!
E così, la stessa sera mi ha fatto compagnia fra le lenzuola; ho capito che gli esordienti non sono tutti uguali e che la casa editrice che punta alla qualità, sa dove trovarla.

 

Spiani la strada a una domanda che mi frulla in testa da un po’ di tempo a questa parte: una domanda un po’ cattivella… 😛
Cioè questa: dunque, lo stile è tutto?
In altre parole: posso avere una storia pessima ma diventerebbe un successo se la sviluppo con stile?
Oppure (e questo forse è proprio il tuo caso): posso avere una storia di un dato genere letterario. Se la espongo con grande stile conquisto anche lettori che mai si avvicinerebbero al tal genere letterario?
E con questo chiuderemmo il cerchio, dato che all’inizio ti dicevo che mai e poi mai avrei detto che il libro in questione, almeno stando alla trama, mai e poi mai avrei detto che ti avrebbe conquistato.
Io sono uno che tende a privilegiare il primato della storia: deve essere buona, interessante, incuriosire (al netto di ogni gusto personale, s’intende), catturarmi con una decisione tale che sarei disposto a tollerare persino uno stile scadente, pur di vedere come si evolvono gli eventi e di scoprire come va a finire.
Certo: il top sarebbe una grande storia esposta con grande stile.
Ma lo stile da solo, non mi basta, nemmeno se fosse eccelso. Ora però, visto che ti sei portata a casa questo romanzo e visto che lo stai leggendo, sono curioso di sapere come sarà la tua lettura…

 

Per me stile vuol dire molte cose: vuol dire buona architettura nella costruzione della storia, gestione consapevole dei contenuti, ritmo efficace. Un libro scritto con stile non contiene ostacoli che facciano inciampare durante la lettura, non offre spunti oggettivi per muovere una critica e sottolineo “oggettivi’, perché di limiti soggettivi puoi trovarne quanti ne vuoi. Un libro scritto con stile, secondo me, aggiunge valore a una storia, anche quella che diresti non del tuo genere. In fondo, trovo più affascinante scoprire la bellezza di un testo che penso non potrei mai leggere che ricevere conferme da romanzi di cui mi fiderei a occhi chiusi. La sorpresa è maggiore e io amo sorprendermi, soprattutto quando leggo.
Il romanzo mi ha sbalordito. La lettura non “sarà”, ma “è”, visto che, nel frattempo, l’ho terminata e potrei dire molto. Parto proprio dal fatto che una simile storia non avrebbe mai catturato la mia attenzione, se fossi andata in libreria per acquistare un libro nuovo. Secondo un aggettivo che va tanto di moda, questo si direbbe un romanzo distopico e pensa che, qualche tempo fa, ho dovuto persino documentarmi sul significato di “distopia”, tanto scarso è il mio interesse verso tale moderno genere letterario. Poi mi sono avventurata (per le ragioni già spiegate) e dentro il romanzo ho trovato uno stile impeccabile, non una parola sbagliata (ricordi la “mot juste” di Flaubert?), non una crepa nella trama; il ritmo è incalzante, non molli le pagine perché vuoi vedere che accade di capitolo in capitolo; c’è un’accuratezza nel linguaggio che fa pensare all’abilità degli scrittori navigati. E la storia è originale, molto. Stile e trama si sono coniugati in modo perfetto, dunque sì, è accaduto il top di cui parli.
Io, invece, non metto in cima ai privilegi di una buona scrittura la storia: se la storia è bella, ma lo stile è scadente, il brutto modo in cui quella storia è trattata smonta qualunque fascino. D’altro canto una pessima trama non è interessante solo perché scritta bene. Diciamo che il bravo scrittore ha un obbligo: fare camminare insieme, al meglio, le due cose. 🙂

Conclusione

È giunto il momento di svelare il titolo del libro. Ebbene sì, abbiamo parlato di Dopo il diluvio, scritto da Leonardo Malaguti. E tra le righe, forse senza volerlo, abbiamo anche sottolineato quanto possa essere importante per un autore la presentazione di un proprio libro per raggiungere direttamente e indirettamente lettori ai quali, altrimenti, non si arriverebbe mai.

E forse abbiamo anche sottolineato, sempre senza volerlo, il potere del passaparola. Perché se Marina (che so essere esigente in fatto di letture 😛 ), per dirla con le parole dell’editore, ha “strappato la lettura della storia dalle mani di chi l’ha scritta” viene quasi spontaneo chiedersi perché. E c’è solo un modo per rispondere a una domanda del genere.

Leggere il libro.

14 commenti su “Questione di stile

  1. Sono molto d’accordo con il sentiment di Marina in proposito. La curiosità per l’anima dell’autore e il suo modo di essere anche per me è fondamentale. A volte mi ha portato fortuna, altre mi ha fatto prendere gigantesche cantonate. È un rischio che vale la pena di correre. Che coincidenza Darius, Ho appena finito di commentare il mio ultimo articolo su come presentare un romanzo giallo proprio dicendo qualcosa di simile. Ma non avevo focalizzato la chiave “stile”. Grazie per questo post

  2. Per come la vedo io (magari sbaglio) un buon romanzo deve avere tanto una storia avvincente quanto uno stile curato (che sia moderno o sappia di stantio, che sia classico e ritrito o fresco e alternativo e via dicendo).
    Non so, comunque, quanto lo stile possa influire nel far apprezzare un genere, nel senso: se un genere letterario non piace, un romanzo può essere scritto con lo stile più accattivante del mondo ma continuerà ugualmente a non piacere, e non per via dello stile, quanto per il contenuto, che potrebbe anche essere di qualità eccelsa ma, se la minestra non piace continuerà a non piacere, indipendentemente dall’abilità dell’avvelenatore, pardon, del cuciniere e dalle verdure che utilizza per prepararla (ma magari sbaglio ancora).
    Certo, se il cuoco è tanto scaltro da preparare una minestra di cannelloni al ragù, beh, difficile non farsela piacere… 🙂

    1. Quindi sei sulla stessa linea di Marina quando dice che “il bravo scrittore ha un obbligo: fare camminare insieme, al meglio, le due cose” cioè storia e stile.

      1. Tendenzialmente sì. Una buona storia scritta male sa di occasione mancata (vedi, ad esempio, il capitolo dell’Iliade intitolato ‘Catalogo delle navi’, che sembra la lista della spesa fatta da mia nonna e pertanto sminuisce l’opera di Omero).

        Allo stesso modo trovo impropinabile una storia mediocre, anche se scritta con stile da maestro (non posso fare a meno di citare la saga ‘La torre nera’ di S. King, autore la cui competenza è universalmente riconosciuta, che dalla seconda metà del terzo libro scade via via fino a toccare il fondo, ahime [sono un suo fan sfegatato], nell’ultimo libro [che adesso e diventato il penultimo, ma l’ultima pubblicazione in realtà è un prequel], dove neanche esiste un qualcosa che si possa definire ‘finale’, e le fiacche giustificazioni dell’autore [‘Trovo che il finale, in un romanzo, sia sopravvalutato… Meglio un buon incipit… bla bla bla!’], che già aveva commesso un errore da pivellino creando un’aspettativa mostruosa prima ancora, per sua stessa ammissione, di avere idea di dove andare a parare con la storia [‘Con La torre nera mi propongo di fare un’opera che si possa considerare come Il signore degli anelli, pensando a Tolkien’ {il senso dello sproloquio, non ricordo le parole esatte}], hanno il sapore, una volta di più, di excusatio non petita, accusatio manifesta).

        Ribadisco tuttavia, anche se mi sembra un’ovvietà, che, essendo, come ben sappiamo, il gusto una percezione del tutto soggettiva, al di là dello stile e della storia ciò che spinge il lettore a leggere un romanzo è soprattutto il genere narrativo (con i romanzi Harmony non ci accenderò mai nemmeno il barbeque, per capirci, e neppure con le 50 sfumature o con Twilight) 😀

        1. Infatti, a proposito di soggettività nella lettura, a me frega proprio quella, nel senso che sì, okay, non c’è nulla di strano o di sbagliato a coltivare certe preferenze in campo letterario, però, poi, ti rendi conto che, spesso, perdi delle buone opportunità precludendoti generi che non gradisci. In questo caso è stato così e dev’essere anche il mio anno fortunato se in meno di due mesi ho letto i sette libri di Harry Potter che nemmeno se mi fosse apparsa la Madonna raccomandandomi di farlo avrei letto! ????
          Io mi sciolgo di fronte alla Recherche di Proust e mi dai da leggere un distopico? E invece, “costretta” a farlo, la storia alla fine mi ha preso. E perché mi ha preso? Perché aveva uno stile impeccabile, perché era grazie a questo che sono stata in grado di apprezzarla: in pratica la perfezione dello stile ha reso bello un libro che, in base ai miei gusti, non avrei mai letto.

          1. Capisco bene quello che dici. A me era capitata una cosa del genere con un romanzo di Anne Rice: Memnoch il diavolo. Se solo scorri in rete il genere per cui scrive (basta vedere solo i titoli…) capisci subito di cosa stiamo parlando. Ecco: questo genere normalmente non rientra nei miei gusti. Ma quel libro (pure intriso di tematiche “new age”…) l’ho letto e mi ha preso. Ti chiederai come ha fatto ad arrivare nella mia coda di lettura. A differenza di te, nessuna presentazione: semplicemente regalato da una persona che non conosceva i miei gusti… 😛

          2. Sì, Marina, precisazione più che ragionevole. In effetti il mio ragionamento prende in considerazione una tipologia di lettore dai gusti ben maturati, senza tenere conto del fatto che i gusti, oltre a non essere immutabili, si possono sempre arricchire o impoverire. Tuttavia ci sarà sempre qualcosa che per quanto ben fatto non incontrerà i nostri gusti, e viceversa.
            Certo, a tenere una porticina aperta ad altri panorami non si sbaglia mai.

        2. Bene. Quindi il top è un buon mix di storia e stile. Se proprio devi sopportare una mancanza, sopporti meglio la mancanza dello stile ma la storia deve essere interessante, non mediocre.

          1. In effetti, lo stile lo vedo più come una chicca per “esteti”, anche se non arriverei a definirlo una bella confezione. Uno stile particolare è sempre apprezzato, per carità, ma in genere vi attribuisco maggior peso quando qualifica al ribasso un romanzo.
            Una buona storia rimane una buona storia a meno che non venga narrata con uno stile davvero pessimo.
            Vedi, Darius, l’amalgama perfetta per apprezzare a fondo un romanzo, qualora esista, dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) includere: qualità della storia + qualità dello stile (elementi a carico dell’autore) + passione per il genere in questione (elemento a esclusivo appannaggio del lettore). Ingredienti che volenti o nolenti restano al servaggio della soggettività.

  3. Ci sono generi letterari da cui richiedi lo stile e generi su cui puoi anche soprassedere se la storia ne vale la pena (fermo il fatto che se avessero anche stile sarebbe meglio). I classici ad esempio si leggono, si propinano, si impongono per lo stile (che poi magari all’epoca loro era pure considerato pessimo, volgare, popolare) ma a volte non hanno una grande storia. “Cime tempestose” lo ricordo per lo stile, linguaggio e descrizioni, ma la storia non mi coinvolse granché. Anche “Tre uomini in barca” ha un ottimo linguaggio ironico, qualche pregevole scena comica, ma preso da distante è difficile pure da terminare. Una Jane Austen piace sia per stile che per trama, e non sarebbe Jane Austen se mancasse una delle due cose.
    Diversamente per i contemporanei, o altri generi letterari, la storia sembra riuscire a vincere su uno stile zoppicante. Qualcuno diceva che Jojo Moyes non è poi chissà che nonostante il suo successo (ma devo ancora leggerla). Siamo in effetti nel genere romance, dove ahimè ci finisce di tutto, compresi gli Harmony da 5 euro in edicola che in quanto a stile peccano molto, ma in quanto a storia ci si stupisce pure di come riescano a variare così tanto sempre il lei-trova-lui o lui-trova-lei. Nel giallo-thriller nonostante la fatica maggiore sia imbastire una trama ferrea, lo stile è quello che fa la differenza nel tenere il lettore attaccato ad ogni pagina o annoiarlo a morte e fargli già capire chi è l’assassino. Per la fantascienza non saprei dire, ho letto poco o nulla, ma credo non basti solo la storia avventurosa e qualche invenzione futuristica, no?
    Poi c’è il fattore gusto personale, che non è di poco conto. L’altra settimana c’è stata una discussione in rete su quanto siano noiose le descrizioni di Diana Gabaldon in Outlander: troppi dettagli, troppa storia, troppi intrighi complicati. Io non ci toglierei una virgola a quei libri, ma ci sono lettrici che saltano pagine intere, pagine di stile puro, per arrivare alle scene da romance (il che per conto mio è la riprova che si tratta di un romanzo storico, e loro saltano proprio quelle parti!). Ma chi sono io per dire che sbagliano se è proprio la sola storia che cercano? Pennac dice che il secondo diritto del lettore è proprio di saltare le pagine. E il quinto è il diritto di leggere qualsiasi cosa. 🙂

    1. Quindi, in buona sostanza, prediligi il primato della storia. In altre parole: è la storia che ti deve conquistare. Se poi c’è anche un ottimo stile, meglio ancora. Ma lo stile, da solo, non può sopperire a tutto se la storia lascia a desiderare. Il tutto, concordo, al netto dei gusti personali.

      1. Diciamo che c’è uno “stile minimo” e se manca quello, hai voglia ad avere la più bella storia del mondo e non riesco a leggerla! 🙂

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