Questo che state per leggere è un ricconto. Non ricordo dove ho rubato questa parola, che non è mia, e che non è una parola che si trova sul vocabolario. Ma ha una sua elegante efficacia in fatto di sintesi: racchiude in un solo termine il ricordo narrato in un racconto cercando, allo stesso tempo (e qui dovrebbe entrare in gioco la bravura di chi scrive), di regalare una qualche ricchezza a chi legge, fosse anche solo effimera e passeggera, come il sorriso di chi ha vissuto la medesima esperienza.

Il ricordo è del sottoscritto, chiaramente. E risale ai primi anni ’90.
Stiamo parlando quindi di circa trent’anni fa ma forse fa più effetto dire che risale al secolo scorso.
Anzi: al millennio scorso.

E’ una calda e fresca estate: calda di giorno, e fresca, molto fresca, di notte.
Siamo a Madonna di Senales, nel cuore della Val Senales, in Alto Adige. E ci troviamo in campeggio. La parola “campeggio” per chi non lo sapesse, ha un’eco profonda nella gente della mia città. Per i più richiama infatti una vacanza in tenda, a contatto con la natura. Ma per “noi altri”, specialmente quelli che sono cresciuti all’ombra del campanile e sui campetti dell’oratorio, il Campeggio (con la “C” maiuscola) era qualcosa di magico: due settimane in vacanza con gli amici, lontano da mamma e papà. Ed eravamo tutti noi ragazzi, più o meno della stessa età, in vacanza con i rispettivi educatori e catechisti, solitamente gli stessi che ci tenevano a bada nel corso dell’anno la domenica pomeriggio in oratorio.

Insomma, il Campeggio era un “must”: se andavi in oratorio tutte le domeniche, d’estate non potevi mancare in Campeggio perché era lì che succedevano le cose più belle, le avventure più divertenti, era lì che facevi le partite e i tornei più memorabili, le gite indimenticabili. Era lì che potevi fare le ore piccole, dimenticando per qualche tempo la scuola, i compiti, la famiglia, le ansie, le paure della crescita.
Per farla breve, era lì in Campeggio che dovevi esserci.
E io ho avuto l’enorme fortuna di esserci stato, per ben undici estati di fila. Di ricordi ne ho a bizzeffe e ancora oggi capita spesso di riderci sopra con gli amici, nonostante siano passati decenni.

Uno di questi è il ricconto che voglio rivivere oggi: Caccia alla Volpe.
Naturalmente non si trattava di una battuta di caccia. Si trattava di un gioco di gruppo che durava tutto il pomeriggio quando il tempo lo permetteva. Il gioco era piuttosto semplice e si svolgeva nel bosco che si trovava intorno al Campeggio: un gruppo di educatori si travestiva da Volpe usando abiti sgargianti, cappelli e improbabili code di stoffa. Con circa mezz’ora di anticipo si incamminavano per andare a nascondersi nel bosco circostante al campo, mentre noi ragazzi venivamo rinchiusi nel grande tendone centrale in modo da non vedere le direzioni prese dalle Volpi. Dopodiché… veniva aperta la caccia!

A squadre entravamo nel bosco alla ricerca delle nostre Volpi. Che ovviamente non erano tutte uguali e, soprattutto, non bastava avvistarle. Le Volpi, cioè i nostri educatori nascosti, una volta scovate potevano correre su e giù per il bosco finché qualcuno di noi non riusciva a toccarla in corsa: solo allora la Volpe era presa e solo allora si scopriva quanti punti valeva. Eh, sì, perché le Volpi non erano tutte uguali: c’erano le Volpi da cento punti, quelle da cinquanta… ma anche quelle con punteggio negativo. Alla fine vinceva la squadra che faceva più punti, il che non significava automaticamente catturare più Volpi.

Ecco: questo era uno dei giochi più belli. Ricordo ancora oggi tutto il fascino del bosco, le luci, le ombre, i profumi intensi di muschio e resina. Gli alberi alti che allora mi apparivano immensi. Le nostre battute di caccia non erano solo un gioco a chi correva più veloce. Erano fatte anche di appostamenti, di attese, di silenzi, di tattiche improvvisate. Per quanto agli occhi di un adolescente possa sembrare entusiasmante un intero pomeriggio passato così, il mio ricordo più bello, che poi è quello che dà il titolo a questo ricconto, è legato a un anno in particolare quando la consueta Caccia alla Volpe, grazie alla brillante idea di non so chi, venne fatta… di notte.

Ancora oggi, a distanza di trent’anni, molti di noi ricordano quella che è passata alla storia – alla nostra piccola storia da ragazzini, naturalmente – come la “Caccia alla Volpe di notte nel bosco”.

Tutto sommato, non era molto diversa dalla Caccia alla Volpe classica. Era “solo” in versione by night.
Ma la notte, si sa, ha sempre il suo fascino. E noi ragazzi, sempre a squadre, ci muovevamo su e  giù per il bosco con la torcia, sempre alla caccia delle nostre Volpi, cercando però di stare più attenti ai rumori che alle ombre. E, soprattutto, attenti a capire se i rumori che sentivamo erano rumori delle nostre Volpi, che non mancavano di fare versi improbabili o… rumori di qualche altra presenza che la nostra fantasia s’inventava o ingigantiva. Questa cosa, raccontata così, oggi può solo far sorridere. Ma negli occhi dell’adolescente medio che veniva in Campeggio, lo stesso che già si divertiva un mondo con una normale Caccia alla Volpe, l’idea di muoversi nel bosco di notte scatenava l’adrenalina pura, trasmetteva un che di iniziatico, una di quelle cose che richiede un certo coraggio.

Ovviamente, eravamo tutti sorvegliati dai nostri educatori e dagli adulti del Campeggio. Il bosco in cui andavamo loro lo conoscevano molto bene, e avevano circoscritto un perimetro ben definito e tacitamente sorvegliato entro il quale potevamo muoverci in sicurezza. Solo che, piccolo dettaglio, noi ragazzi non lo sapevamo. E quindi, sicuri di essere abbandonati a noi stessi, eravamo convinti di andare all’avventura, di essere padroni del nostro destino in quella notte di luna piena e di dovercela cavare da soli qualunque cosa accadesse. E le torce? Le torce il più delle volte erano spente. Le Volpi cercavano infatti di usarle il meno possibile per non tradire la propria posizione. E noi per non rivelare i nostri movimenti mentre eravamo alla ricerca. Immaginate la magia di quella notte: un intero pendio coperto dal bosco, punteggiato da decine di luci a intermittenza che si accendevano sfuggenti tra gli alberi, animato da voci, da qualche grido e da qualche risata qua e là quando una Volpe, scovata, scattava di corsa per non farsi prendere. Il tutto al chiaro di luna.

Una notte così forse non potrà più esserci per gli adolescenti di oggi. E non perché il Campeggio non viene più fatto. Anzi: il Campeggio esiste ancora oggi e, se non fosse stato per la pandemia, nel 2020 avrebbe festeggiato il prestigioso traguardo del 70esimo anniversario. Ma oggi è cambiato tutto. Oggi il senso di responsabilità purtroppo, o per fortuna, ci impedisce di organizzare con leggerezza certe iniziative. In altre parole: un’orda di adolescenti scalmanati in giro per il bosco di notte è un’idea che farebbe sudare freddo qualsiasi educatore. E farebbe sudare freddo anche me, se dovessi assumermene le responsabilità.

Sono cambiati i tempi, insomma. E di questo non si può farne una colpa a nessuno: ai miei tempi, all’età di 9-10 anni, venivo a casa da scuola a piedi da solo. Mia madre mi raccomandava solo di “non accettare caramelle dagli sconosciuti” e tanto bastava per aspettarmi a casa tranquilla. Oggi una cosa del genere è semplicemente inconcepibile: gli insegnanti devono accompagnare gli alunni al cancello della scuola e devono consegnarli uno alla volta all’adulto di riferimento che, qualora non fosse mamma o papà, deve essere rigorosamente registrato nell’elenco delle persone delegate da ciascuna famiglia. Altrimenti l’alunno resta a scuola finché non arriva qualcuno a prenderlo. Giusto? Probabilmente sì. Meglio avere tutto sotto controllo, anche se ci perdiamo la spensieratezza dei bei tempi andati. E non solo quella: ci perdiamo anche la Caccia alla Volpe.

Soprattutto nel bosco.

Soprattutto di notte.

4 commenti su “Caccia alla volpe di notte nel bosco

  1. Eh, quante cose potevamo fare in spensieratezza ai nostri tempi, cioè quel millennio fa…
    Mai partecipato a una caccia alla volpe, men che meno di notte. Nemmeno al Campeggio, noi avevamo il Grest, con le stesse attività ludiche, solo che o si svolgeva in parrocchie limitrofe più equipaggiate, e a turno ci portava un genitore in auto, oppure nelle strutture di montagna dei salesiani (mi pare eh, erano contatti del parroco dell’epoca). Ricordo delle camminate lunghissime ma bellissime lungo l’Altopiano di Asiago. E un’estate – tieniti forte, qui riderai fino a Pasqua almeno – nella grande serata finale io facevo la Milly Carlucci che presentava lo spettacolo di bambini e ragazzi, tra canzoni, monologhi e scenette comiche! Ecco, per dire che la pazzia me la porto dietro da mò… 😀 😀 😀

    1. Grande Milly!
      Be’, la voce “Serate in tendone” anche per noi potrebbe essere un filone narrativo a parte. Una saga, praticamente.

  2. Uh, che bello, mi hai ricordato la bellezza del campeggio! Anch’io ne ho fatti tanti, con la famiglia e gli amici.
    Con la famiglia, noi viaggiavamo sempre nel mese di luglio con la roulotte, poi mio padre in agosto tornava a lavoro e allora “ci parcheggiava” in un campeggio di Cefalù, dove praticamente ho trascorso tutta la mia infanzia estiva. E l’anno scorso, un vecchio compagno di avventure dell’epoca, ha ricreato il gruppo su Fb chiamandolo “quelli del camping San Filippo”, che emozione ritrovare dopo non trenta bensì quarant’anni i ragazzi con cui passavo quel mese estivo meraviglioso. Invecchiati, ma con i ricordi intatti.
    Con gli amici ero già più grandicella, ma anche lì, esperienza (in tenda) bellissima.
    Il tuo gioco divertente, ho pensato alle esperienze raccontate da mio fratello quando era negli scout.
    Insomma, bei tempi… Oggi, è vero, tutto questo te lo sogni! Ma almeno noi possiamo raccontarlo, anche con un velo di nostalgia.

    1. Bei tempi, già.
      A volte basta una foto per suscitare ondate di ricordi.

      E infatti è quello che è accaduto a me con la foto del post: quell’arcobaleno l’ho fotografato io l’ultima volta che sono stato in Campeggio. E’ una foto di qualche anno fa, quando ho avuto l’occasione di tornare in Campeggio per un paio di notti. Potevo farmela sfuggire? Certo che no. Per l’occasione mi sono portato la mia reflex con tanto di obiettivo a mo’ di bazooka.

      Ne avrei molti altri di “ricconti” da snocciolare. E non escludo di farlo in futuro.

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