Questa cosa dei premi letterari continua a puzzarmi lontano un miglio: perché, mi son sempre chiesto, il concorso XYZ chiede quasi sempre opere inedite?
Mi son sempre chiesto per quale motivo una giuria o anche solo un comitato di lettura debba sottoporsi gratuitamente alla tortura di leggere centinaia di opere, se non migliaia, per selezionare un manipolo di finalisti tra cui scegliere, poi, un vincitore. Davvero questa “macchina di raccolta e selezione” funziona del tutto gratuitamente?
Si potrà obiettare dicendo che “no, non sempre i concorsi sono gratis”: a volte bisogna pagare una piccola quota di partecipazione. Vero. Del resto, lo schema ormai è arcinoto: premio letterario XYZ, bando di partecipazione, “scrivere opere lunghe tot battute”, “minimo ennemila battute”, “genere tal dei tali”, “compilare modulo”, “inviare tutto entro il”.
E poi, naturalmente, le due clausole sospette: “le opere devono essere inedite” e “i manoscritti non verranno restituiti”.
Già che ci siamo chiediamo pure venti/venticinque euro per l’iscrizione così racimoliamo qualche bel gruzzoletto, che non fa mai male.

Ora io mi chiedo

A cosa serve che un’opera partecipante sia inedita?
Ogni volta che vado a pascolare in libreria, tra le opere edite, credo di intravedere un buon 80% di libri sugli scaffali che mi sono totalmente sconosciuti. E credo che questa sensazione, che reputo del tutto perfettamente normale, sia condivisa dalla maggior parte degli avventori.
Certo: “pubblicare” vuol dire rendere pubblico, mettere a disposizione del pubblico. Ma dal “mettere a disposizione” all’ “arrivare al pubblico” ce ne passa di acqua sotto i ponti: insomma, dallo scaffale della libreria al mio comodino di casa ci sta ancora un bel pezzo di strada. E dal mio comodino alla lettura vera e propria, ci manca ancora sempre qualcosina. Quindi la pubblicazione, ovvero quel processo che fa diventare edito qualcosa di inedito, non equivale assolutamente, né tanto meno automaticamente, al farsi conoscere.

Aggiungiamo pure il fatto che, ahimé, con ogni probabilità appartengo a quell’esigua percentuale di popolazione che va in libreria con una certa frequenza ed ecco che quell’80% di libri sconosciuti rasenta paurosamente il 95%. Non che il resto degli italiani schivi i libri come la peste ma diciamo semplicemente che conosce solo i titoli spinti dal marketing selvaggio, quelli che, per intenderci, includono il piazzamento delle copie perfino al supermercato, tra il banco dei formaggi e la zona dei casalinghi, con tanto di sagome cartonate fosforescenti.

Quindi perché insistere così tanto affinché le opere inviate siano inedite?
La risposta è ovvia, pivello!
Spesso il premio è un contratto di pubblicazione e quindi, giustamente, si richiedono opere inedite.
Certo, ovvio.
Ma i grandi autori, quelli che hanno già raggiunto il grande pubblico, si sognano di iscriversi al concorso XYZ ?
Certo che no, è altrettanto ovvio. Pure gli autori appena usciti dal limbo dell’anonimato, quelli non più esordienti, non si sognerebbero mai di iscriversi al concorso XYZ.
Quindi è abbastanza palese che i partecipanti non possono che essere autori esordienti o talenti che vogliono mettersi alla prova in un modo o nell’altro.
Quale differenza potrà mai fare se un autore ha pubblicato il proprio scritto in self? Senza marketing si resta dispersi nell’oceano di titoli. Sconosciuti. Posso garantirlo con certezza.

Il dubbio

Il mio dubbio, però, è un altro. È sempre stato lo stesso, a dire il vero: mi son sempre chiesto che fine fanno gli altri finalisti. Ovviamente non parlo di concorsi noti, dove i finalisti godono più o meno della medesima esposizione mediatica solo per il fatto di essere arrivati in finale.

Immaginiamo uno scenario del genere. Concorso XYZ: arrivano mille opere. Di queste mille ne vengono selezionate cento, vale a dire cento che superano una prima “scrematura” secondo un certo comitato di lettura. Tra queste cento, ne vengono poi selezionate dieci. E qui, eh, purtroppo bisogna scegliere un vincitore. Immagino la giuria che discute, ognuno che porta le proprie motivazioni per votare l’una o l’altra opera, un giurato che sottolinea i pro e i contro dei dieci finalisti, l’altro che controbatte. Insomma: le dieci opere finaliste, in un modo o nell’altro, sono tutte meritevoli ma purtroppo bisogna scegliere un vincitore.
E alla fine viene nominato. Complimenti. Bravo.

Ma… gli altri nove? E gli altri novantanove?
Ora, dal momento che le clausole sospette del bando (“solo opere inedite” e “i manoscritti non verranno restituiti”) non ammettono eccezioni di sorta, mi chiedo se le opere degli altri finalisti non prendano vie “strane”. Vie che ovviamente mi posso solo immaginare e che, sottolineo, sarei felicissimo di vedermele smentite.

L’autore blasonato in crisi

Il blocco dello scrittore, si sa, per alcuni è una brutta bestia. Può capitare a me, come può capitare a Ken Follett. Ovviamente non mi riferisco a quel tipo di blocco che ti impedisce di scrivere il capitolo 121 dopo aver scritto a briglia sciolta i primi 120. Mi riferisco a quel blocco inteso più come mancanza di idee per un nuovo romanzo.

Ora immaginiamo un autore di un certo calibro che ormai si è fatto un nome nel grande pubblico, quel tipo di autore che non ha più nemmeno bisogno di massicce campagne di marketing per vendere. La classica gallina dalle uova d’oro, insomma. Tutto lo staff che gli ruota attorno (l’editore, l’editor, agenti letterari e chissà chi altro…) lo presserebbe più o meno velatamente affinché scriva un nuovo romanzo. Nuovo romanzo, nuova pioggia di soldi per tutti, non solo per l’autore. Però, dicevamo, l’autore è in crisi. Ha un vuoto di idee, non sa che altro scrivere.

Ecco che, dal concorso XYZ, che magari è stato organizzato dal’editore, o coadiuvato dall’agente letterario, oppure supportato dal consulente, magari assistito dall’amico-dell’amico-dell’amico dell’autore in crisi, ecco che da tal concorso, dicevo, arriva un’opera interessante. Che non è l’opera vincitrice che, nel frattempo, ha preso la sua strada. È un’opera meritevole in quanto finalista, soprattutto è un’opera inedita. Che, guarda caso, si presta, vuoi per il genere, vuoi per l’ambientazione, vuoi per altro, per essere presa e rimaneggiata dall’autore. Il quale, al vedersi arrivare un semilavorato da aggiustare solo qua e là, cambiando opportunamente nomi di personaggi, e quanto necessario per non incorrere nel plagio spudorato, è ben contento di mettersi al lavoro, guadagnandosi il massimo con il minimo sforzo.

E così, ecco che in tempi non sospetti, l’opera finalista al concorso XYZ, pur non essendo vincitrice, fa ricco qualcun altro. E tu, povero autore sconosciuto-esordiente-scartato-sfigato, ammesso e non concesso che noti il misfatto, davvero vorresti imbarcarti in un’azione legale? E ammesso che decida di farlo, davvero pensi che il mondo arrivi a credere che l’autore blasonato abbia scopiazzato l’opera di un autore esordiente?

L’autore sfrontato

Il caso dell’autore blasonato in crisi, ovviamente, è un caso che ho immaginato e che, appositamente, l’ho un po’ estremizzato in modo provocatorio. Tuttavia, se la mia pare un’esagerazione, basti sapere che nella realtà ci sono parecchie persone che sono ben più sfrontate. E lo dico perché mi ci sono imbattuto: non hanno scopiazzato roba mia ma hanno scritto racconti che io già conoscevo e che avevo letto da altre parti.

Ci sono quindi “autori” (virgolette d’obbligo) che, pur essendo sconosciuti, hanno la fortuna di avere molta dimestichezza con il marketing, specialmente il social marketing. Quindi prendono opere sconosciute, le spacciano per proprie, e le pubblicano in qualche modo. Non ci fanno soldi a palate, non si fanno un nome però magari riescono a racimolare quei diecimila euro a titolo. Quindi è abbastanza intuibile come possano bastare una decina di opere arraffate qua e là per costruirsi un bel gruzzoletto che, certo non ti cambierà la vita, ma comunque fa sempre comodo.

Come ritenere un concorso serio

Il mondo dei premi letterari e dei concorsi è un mondo molto variopinto.
Partecipare ai concorsi resta comunque una pratica utile per vari motivi e ogni autore ha le sue valide motivazioni per cominciare o continuare a farlo. Tuttavia io mi sono imposto un paio di regole ferree per ritenere un concorso sufficientemente serio per decidere o meno di parteciparvi. E se non vengono rispettate queste regole sono portato a pensare che il concorso in questione sia in realtà un’elaborata “macchina di raccolta e selezione di opere”.

Regola uno
Il concorso deve accettare anche opere edite. Niente ma e niente però.
Se un’istituzione culturale decide di premiare il puro valore letterario di un’opera, non ha nessun senso imporre che un’opera sia inedita. I premi possono essere di diverso tipo: gli autori usano la fantasia per scrivere. Gli organizzatori possono usarla per inventarsi premi: non esiste solo il contratto di pubblicazione come premio finale.

Regola due
Il concorso deve pubblicare tutti i racconti inviati.
Prima che si possa inarcare il sopracciglio: per “pubblicare” intendo esattamente “rendere pubblico”. Qualsiasi premio letterario serio ha un sito web curato e aggiornato. Costa davvero così tanto mettere una pagina web sul sito con l’elenco di tutti i racconti in formato PDF? Lo dico io: no. Non costa nulla. Spesso i bandi di concorsi caldeggiano l’invio delle opere in formato digitale, quindi non serve neanche fare interventi tecnici di conversione. Caso mai serve una selezione per scartare opere offensive o comunque non in linea con il bando. Ma anche questa operazione non costa nulla perché le opere devono comunque essere lette per essere selezionate.

70 commenti su “Concorso XYZ

  1. Chi, chi è stato copiato? Chi, chi ti ha copiato? Me lo sono chiesta per tutta la lettura di questo post…
    Perché no, non è fantascienza questa, potrebbe accadere eccome. E considerato che gli esordienti magari sono pure – beati loro – ingenui rispetto al mondo editoriale, potrebbero anche non essersi premuniti contro questa eventualità. (Come? Casella PEC a 6 euro l’anno, prima di inviare un manoscritto in concorso auto-mandatevi una mail su quella casella con allegato il manoscritto. Questo attesterà che ne eravate in possesso per primi e dunque ne siete gli autori.)
    E poi mi sono detta: stai a vedere che anche Darius ha letto di quel concorso XYZ che offre ben 150.000 euro al vincitore? Stai a vedere che anche Darius è andato a leggersi il bando e si è chiesto come mai questi vogliono sia il cartaceo che il pdf, anzi docx (che così si modifica prima)? come mai tutti quei soldi al vincitore? Avrà letto anche Darius che “il conseguimento del premio da parte dell’autore dell’opera vincitrice prevede che quest’ultimo ceda in esclusiva, per il periodo di tempo di 15 anni per il territorio italiano e per tutti i paesi del mondo, tutti i diritti di sfruttamento dell’opera, intendendosi per tali i diritti di trasposizione e di riproduzione parziale e totale dell’opera in qualsiasi forma, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo: tipografica, elettronica, audio e digitale”? (mancano solo i cinematografici, dai)
    Oppure che “l’importo del premio avrà valenza di anticipo sulle prime 100.000 copie vendute con riferimento a ciascuna edizione cartacea dell’opera”? (ahahahahhaha, aspetta, ahahhahahaha, solo Fabio Volo fa sti numeri!)
    E soprattutto che “l’autore dell’opera vincitrice si impegna a partecipare attivamente a un tour di almeno n. 20 eventi di promozione e presentazione organizzati in varie città italiane ED ESTERE nei 6 mesi successivi alla pubblicazione dell’opera”? MA CHI PAGA???

    Ah già, con 150.000 euro puoi anche concederti un viaggetto, su…
    Però tu pensa se fosse già concordato chi vince e tutto questo concorso XYZ servisse solo per quei 49 altri che finiscono nella cinquina finalista, sui quali il concorsone li obbliga ad una “first option”…
    Naaaa, devo smettere di guardare Focus.

    1. 😀 😀 😀
      Ebbene sì, ho letto quel bando. Ma ti dirò di più: è proprio la lettura di quel bando che mi ha fatto ritornare i soliti pensieri che ho messo in questo post. Ma è solo uno degli innumerevoli bandi che si trovano in giro. L’unica cosa sopra le righe, inutile dirlo, è il premio: roboante. Ma questa mossa fa parte della campagna di marketing dello stesso concorso, dato che è la prima edizione italiana.

      Una cosa che mi infastidisce è che “tale riconoscimento (150mila euro, ndr) è da considerarsi come anticipo non restituibile sulla cessione dei diritti di sfruttamento dell’opera da parte di DeA Planeta Libri. La pubblicazione dell’opera vincitrice avverrà entro 6 settimane dall’assegnazione del Premio.”

      Quindi c’è già un contratto di pubblicazione ben definito (noto solo agli organizzatori, ma è così per tutti i premi…) che ti impegni a firmare senza battere ciglio in caso di vittoria. Il che, tradotto, significa che 150mila euro possono essere tanti ma anche pochi, molto pochi. Tu ti impegni a cedere diritti a destra e a manca senza poter monetizzare anche solo spannometricamente ciò che ti costa, dato che non conosci il contratto prima di firmarlo.
      E quanto costa il tour di “almeno 20 presentazioni” (in 6 mesi, tra l’altro: quindi praticamente per 20 weekend di fila sei fuori casa). Finché non è scritto chiaro e tondo che, in qualità di vincitore, sei totalmente spesato, è lecito pensare che il tour sia a tue spese, visto che vado a firmare un contratto a scatola chiusa pieno di asterischi.

      A parte che mi chiedo come si faccia, in sole 6 settimane, a pubblicare un’opera che, si presume, avrà bisogno di ritocchi e interventi da parte di editor, correttori di bozze e circo vario (perché non ci credo neanche lontanamente che te la pubblichino così, secca, come arriva, senza spostare nemmeno una virgola…).

      Ce ne sarebbero di pulci da scovare, ma dopotutto è solo uno dei mille concorsi.

    2. Dimenticavo: no, non mi ha scopiazzato nessuno. Almeno spero. 🙂
      Ma, ammesso che qualcuno l’abbia fatto, come fai ad accorgertene?
      Se stanotte non dormo è colpa tua!

  2. Il concorsone dei 150 mila euro, argomento del giorno, prevede invio del cartaceo O il caricamento sul sito. Per quanto riguarda il tour non essendoci scritto “a spese dell’autore” è ovvio che non dovrà sostenerne, del resto a quei livelli gli autori non si pagano certo hotel e treno/aereo. Io vedo solo un gran can can mediatico intorno alla cosa, il premio è già stato testato in Spagna, che di sicuro farà vendere, e se entro febbraio non avrò ricevuto il riscontro importante a cui ambisco, parteciperò di sicuro.

    1. Ah, è pure l’argomento del giorno? pensa te… quante cose mi perdo, io che l’ho letto per caso.
      Buona fortuna allora! 🙂

    2. Cartaceo o caricamento sul sito, vero. Ma attenzione: “caricamento sul sito” non significa che comparirà sul sito in modo pubblico, ovvero non significa che ci sarà sicuramente una sezione con l’elenco delle opere partecipanti, man mano che vengono presentate. Lo vedrai solo nella tua area personale, dopo la registrazione.

      Inoltre, in merito al tour di presentazione, come dicevo sopra, a me non sembra tanto ovvio che il vincitore non dovrà sostenere spese. Magari mi sbaglio, per carità. Ma finché non è scritto chiaro e tondo che sono spesato, il dubbio mi rimane. Senza contare compromessi del tipo l’albergo spesato ma costi di viaggio a tue spese, oppure spesato solo per l’estero…

      È anche lecito pensare che un premio così alto sia dato anche per sostenere da sé le spese per il tour…

  3. Ho visto solo ora un video su Corriere.it (e perché me lo sono cercata, si vede che non frequento i circoli in cui questo è l’argomento del giorno). La presentazione sembra migliore di come hanno scritto il bando (io non darei per scontato chi paga le spese di viaggio… pure su certi contratti di lavoro nazionali ci si marcia su questa cosa). Perché non è che non mi fido degli spagnoli o di un premio che ha 67 anni, non mi fido degli italiani! 😀
    Siamo talmente abituati alle ombre, che non vediamo la luce.
    Luce sia!

    1. Secondo me la questione non è tanto la fiducia o meno in italiani o spagnoli.
      Dato che già nel bando vengono posti un po’ di paletti e dato che si accenna apertamente a un contratto piuttosto vincolante che il vincitore sarà obbligato a firmare, sarebbe corretto che questo contratto venga reso pubblico già in sede di concorso.

  4. E’ scritto chiaramente che i 150 mila euro sono un anticipo e dalla 100001 copia si ricominciano a percepire i diritti sul venduto, non si può dare per implicito qualcosa che non sta scritta, ergo io le spese vive per il tour non le pago, punto, anticipo non significa per pagare l’hotel o altro.
    Sarò spocchiosa ma amici di gente che scrive senza avere un minimo di cognizione di cosa sia mettere insieme un romanzo ce n’è tantissima, nel nostro piccolo con Buck e il terremoto abbiamo visto cose allucinanti, quindi perché perdere tempo e dare spazio caricando sul sito l’incredibile numero di testi che arriveranno? Comunque ci sono concorsi che lo fanno.

    1. Mah, non so, io continuo ad essere perplesso. Non posso dare per implicito che devo pagare le spese del tour, hai ragione, non è scritto. Ma non potrò nemmeno rifiutarmi di fare il tour perché quello sono tenuto a farlo. Ed è scritto esplicitamente.

      1. Certo, il tour lo devi fare a spese di Dea Planeta, se poi non vuoi/puoi farlo a causa di bimbi piccoli, lavoro, genitori anziani, paura dell’aereo ecc. be’ no, non partecipare.

        1. Che poi stavo pensando: almeno 20 eventi nei 6 mesi successivi alla pubblicazione dell’opera (vincitori al 15/04/2019 + 6 settimane = pubblicazione ai primi di giugno 2019, quindi da giugno a novembre 2019 si è a disposizione per questi eventi), 20 viaggi in 26 settimane, tra Italia e Estero… a parte bimbi, lavoro (dubito che saranno tutti eventi nel weekend), genitori anziani, paura dell’aereo… ma fisicamente? è un tour de force! E non è detto che ci sia sempre l’accompagnatore disponibile a portarci le vitamine!
          E se uno sta male di salute personalmente e non ce la fa? Nel contratto, che non vediamo, ci sarà una penale per i mancati eventi?
          (si lo so, si dev’essere positivi nella vita, io però ho studiato Statistica e il rischio lo metto in conto naturalmente)

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        2. Concorso bocciato: non rispetta le mie due regole ferree.

          P.S.: scherzavo. Comunque non partecipo. Ti sembro uno che ha i numeri? Se anche li avessi, non ho neuroni sufficienti per partorire un’opera decente per quella data…

  5. Ma i tour di alcuni autori li seguite? Si chiamano appunto tour, non presentazioni, sono serratissimi se l’editore ti considera un autore di punta e ti sta lanciando come un razzo nello spazio.
    Ci vuole il fisico, sì, ma se ti ammali credo che non ci sia contratto che tenga, con un certificato medico alla mano. Con un manoscritto nel cassetto secondo me è un super concorso, anche perché il catalogo Dea Planeta è accessibilissimo come tipo di narrativa, non è il concorso Neri Pozza per dire, dove il tipo di testo è più elitario. E adesso corro da CBM e le chiedo cosa ne pensa.

    1. Scusa Sandra, ma non credo che tu sia qui per avere la nostra benedizione. Se hai un testo nel cassetto e lo vedi un concorso adatto a te, non credo tu debba nemmeno star qui a pensarci, manda il manoscritto.
      Io ragiono per me (che dovrei schiattare da qui a febbraio e per questioni di lavoro, quello vero, non è possibile) e Darius ragiona per sé. Ognuno conosce la propria matassa e deve mettere in conto tutto.
      C’è da dire che, al di fuori del concorso, in un contesto editoriale “standard”, il tour promozionale tu lo concordi prima della firma del contratto. Qui si sta firmando un contratto a scatola chiusa col solo invio del manoscritto.

  6. Esprimersi sui concorsi è difficile, ce ne sono di molti tipi.
    Sicuramente da evitare sono quelli che richiedono soldi per partecipare. Anche se il Calvino, pur richiedendo denaro all’iscrizione, ha sfornato parecchi esordienti pubblicati da top editori.

    Riguardo al concorso Planeta e al suo contratto, vi dico che io, e conoscete come la penso nei riguardi degli editori, lo firmerei a occhi chiusi. E’ un signor contratto, anzi, un contratto grandioso. Forse soltanto tre o cinque persone possono firmare contratti di quel tipo in Italia e possono chiamarsi Camilleri, Manzini e Ferrante.
    Cioè quel contratto può prendere uno scrittore sconosciuto, esordiente, e catapultarlo (almeno per un anno) nell’olimpo degli dei italiani.

    I contratti editoriali li studio da anni. Sono uno scrittore indipendente perché l’indipendenza impone scelte e si sceglie soltanto se si conosce cosa scegliere.
    Di contratti editoriali ne ho letti parecchi e questo è uguale a tanti contratti di top editore, contratti di top editore che non firmerei, ma questo Dea Planeta lo firmerei ad occhi chiusi. Perché?
    Il motivo si chiama centocinquantamila euro.
    Questo è un anticipo, e si intende anticipo, quindi se il libro venderà più di 100 mila copie nel mondo, l’editore pagherà le royalty di differenza.
    Il tour è chiaramente pagato dall’editore. I contratti editoriali dei grossi gruppi sono chiari. Se io editore ti obbligo a un tour, significa che io ci metto i soldi e tu mi devi garantire la presenza. Fosse a spese dell’autore sarebbe scritto nel contratto, su questo non si scappa.
    La cessione per tutti i media è una prassi ordinaria da parte di tutti gli editori.
    Il 10% di royalty è buono. Un esordiente in genere parte da un 5/8%. Poi se ti chiami Camilleri o King arrivi al 15%.

    Questo premio è una garanzia e la garanzia sono i 150 mila euro.
    Un top editore X potrebbe volerti pubblicare, ma darebbe all’esordiente o un paio di mila euro o niente. Questo significa per l’editore, pochi rischi, poca necessità di impegnarsi a venderlo quel libro.
    Io chiederei a un editore l’anticipo più alto possibile, non solo perché vorrei guadagnare qualcosa per pagarmi le bollette, ma perché più l’editore sborsa come anticipo, più si dovrà sbracciare per venderlo quel libro.
    Qui Dea Planeta ha deciso di sbracciarsi tanto. 150 mila euro di anticipo è un rischio abnorme. Questo costringerà l’editore a vendere il libro in Italia, nel mercato spagnolo, e se non ricordo male anche inglese e francese. Insomma pubblicazione worldwide.
    E’ un bingo.
    Perché anche se si pubblica con un top editore in Italia, i diritti devono essere ceduti all’estero. Ma all’estero gli scrittori italiani, di norma, vengono presi da piccoli editori. Quindi anche se un italiano viene tradotto in in Spagna o nel mercato inglese, vende molto poco lo stesso.
    Dea Planeta invece è uno dei grandi editori mondiali. Possiede già canali Trade consolidati nel mercato spagnolo, ad esempio.

    A mio giudizio questa iniziativa Dea Planeta è dirompente. I grandi editori italiani staranno storcendo il naso.
    Perché mettiamo che tu sei un autore affermato, ma vendi sulle diecimila copie a libro, non prenderai mai più di cinquemila euro di anticipo.
    Quindi se tu sei un autore affermato, cosa fai, non te la giochi la carta Dea Planeta che ti offre un anticipo monstre?

    Cioè, in quel premio, entreranno in concorrenza non solo self publisher, autori in attesa di editore, autori pubblicati da piccoli editori, ma anche autori pubblicati da grandi editori che non arriveranno mai a tali cifre di anticipo.
    Dea Planeta attualmente in Italia è un editore piccolo, ma con questo premio vuole fare anche scuderia e strappare autori importanti alla concorrenza più blasonata.

    Poi il concorso potrà anche fallire non trovando un manoscritto valido, è un rischio. Un rischio imprenditoriale. E a un imprenditore editoriale che decide di rischiare un capitale simile, tanto di cappello. Sono audaci e già solo per questo meritori.

    La pubblicazione entro le sei settimane dalla vittoria significa che non ci sarà editing. Vogliono un romanzo pronto. Questo perché? Perché se lasciassero passare sei mesi dal premio, si perderebbe l’effetto clamore. Lo sanno bene e si giocano la carta del libro già buono.

    Insomma, io sono uno scrittore indipendente e quindi posso scegliere. E questa proposta Dea Planeta in un mercato asfittico come quello italiano è dirompente.
    Ho una storia molto buona in cantiere, se posso partecipo. Vincere è quasi impossibile, è chiaro, ma ne vale la pena. Poi se non va, ho il mio canale self e la mia strada tracciata.

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    1. Cioè… domani nevica!! Ma che dico, arriva un tornado alla casa bianca e si porta via Trump! 😀
      Marco che firmerebbe subito un contratto editoriale…
      Occhio eh, occhio che fai resuscitare anche …chi sai tu, che potrebbe venire qui e ridersela di brutto!! 😉
      Che scoop ragazzi! E nel tuo blog Darius! Ti rendi conto?! 😉

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      1. Ahah… Oddio. Ma io non ho mai escluso di firmare un contratto editoriale. Io paragono le possibilità fra editoria e autore indipendente. Se fossi uno scrittore best seller credi che sarei io a farmi da solo la promozione o la demanderei in gran parte all’editore?
        Credo che il miglior modo per affermarsi, se ne hai le capacità, ma soprattutto la predisposizione sia la via indipendente. Un contratto editoriale è troppo vincolante. Se il libro non va nel primo mese lo hai bruciato, i diritti li hai ceduto all’editore e hai perduto tutto. Meglio avere il libro per sé e giocarselo nel tempo.
        Poi un contratto editoriale con quelle condizioni, ma senza garanzie di impegno da parte dell’editore, non lo firmerei. Ma chiaramente quell’anticipo spacca le normali logiche.
        150 mila euro significherebbe che potrei smettere di lavorare per parecchi, molti anni e potermi dedicare interamente al mio sogno, scrivere le mie storie. E ti pare poco? 😛

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    2. …ma scusa… gli autori già in scuderia delle altre case editrici non hanno un contratto… che so, di esclusiva dei prossimi n libri futuri??

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      1. Dipende, i cambi di scuderia ci sono sempre. Dipende se nel contratto hai lasciato la clausola della prelazione. Un editore la mette sempre, ci prova. Io non firmerei mai un contratto con prelazione.
        L’editore ti direbbe: se io investo su di te, non voglio che poi dopo che ti lancio tu cambi casacca. Giusto. Ma io risponderei: ma se io non mi trovo bene con te, non voglio restare vincolato. Se tu mi tratti bene, io rimango, dipende da te. O togli la clausola o non firmo.
        E comunque esiste un editore per cui firmerei senza fare eccezioni, ed è Sellerio. Se la saga del mio commissario fosse pubblicata da loro, non mi farei problemi.
        Perché? Perché sono specialisti nel giallo. Perché investono sull’autore perché sanno che più cresce l’autore, più venderanno anche i libri precedenti della serie. Perché Sellerio non crea edizioni economiche, ma tieni i libri sempre in catalogo. E infine perché è un editore siciliano di grande qualità.
        Tutte buone ragioni per firmare con Sellerio senza fare storie. Ma è l’unica eccezione.

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    3. Non so, continuo a rimanere perplesso. Alla fine stiamo parlando di un contratto che nessuno ha visto. Infatti una cosa è il bando, un’altra è il contratto.

      Un bando così ti fa intravedere un certo tipo di contratto ma, a tutti gli effetti, non puoi conoscere tutte le clausole.

      Riguardo ai 150mila euro. Sono un rischio enorme per l’editore? Secondo me no. A un editore come Dea basterebbe vendere le prime 100mila copie del vincitore a 10 euro l’una e porta a casa una milionata di euro come niente.
      Da questo milione gira il 15% al vincitore (150mila euro, appunto). E il rischio, grosso modo, è già neutralizzato.
      Sempre che non decida di vendere a più di 10 euro…
      Dalla copia 100.001 in poi, si tiene la fetta più grossa, su tutti i mercati.

      E poi anche i partecipanti, “esordienti e non”. A questa stregua, un qualsiasi personaggio dello spettacolo caduto silenziosamente in disgrazia, con tanto di ghost writer, ha più chance di me solo perché mediaticamente garantirebbere più visibilità a Dea. Ora, capisco che io comunque avrò lo 0,01% di possibilità di vincere, ma vedermi superato anche da una Belen solo perché ha la farfallina tatuata nel posto giusto, be’, anche no.

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  7. Nell’euforia per i 150 mila € avete dimenticato che in molti concorsi i non vincitori vengono adescati dagli scout delle case editrici con la solfa “Il tuo romanzo merita di essere pubblicato anche se non ha vinto. E’ fantastico! Firma qui, sotto la dicitura dove ti impegni a comprare cento copie, e ti pubblichiamo oggi stesso.”

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    1. Giusto. Bisogna guardarsi anche da certa gente che sa giocare sulla tua voglia di rivalsa quando hai ancora l’amaro in bocca. Ottima osservazione.

  8. Quello che temo, quello che mi fa proprio storcere il naso è l’effetto “Masterpiece”. Ricordate il programma? Okay, non è la stessa cosa. Però l’esposizione mediatica di questo premio e l’indirizzo “genetico” che è stato dato al libro (dev’essere commerciale! Mica pubblichiamo Gadda!) hanno tutte le carte in tavola per rendere tanto il vincitore quanto i finalisti dei possibili “bruciati” dell’editoria. Un po’ come quei bravissimi ragazzi che partecipano al talent show di turno, con un’esposizione mediatica da invidia, e che poi nessuno si in***la più. Scusate il francesismo. Rischi di bruciarti la carriera, ammesso che di carriera si possa parlare. Perché poi, se è un fiasco, vallo a trovare un altro editore importante che decide di puntare su di te.

    E questo mi fa pensare ad alcune cose. La prima è che non penso che un autore da urlo vorrà mettersi in gioco. Gli autori che già vendono molto e che avrebbero le capacità per vincere un premio come questo, non rischiano il giogo del concorso – con tutti i vari sottintesi – solo per intascarsi la notevole cifra di 150 mila euro. È un azzardo che ha più rischi che benefici. Autori molto validi, anche se poco noti, è probabile che abbiano già molto lavoro o che abbiano già un editore importante e che quindi non buttino tutto alle ortiche solo per “tentare la fortuna”. E non penso neanche che in Italia ci sia già un romanzo nel cassetto che abbia le caratteristiche richieste dal concorso.

    Quali? Be’, mi pare chiaro. Il romanzo deve essere commerciale ma deve anche avere una buona qualità (mica vuoi che la DeA Planeta ci perda la faccia, con tutta l’esposizione mediatica in cui si sono infilati, pubblicando un prodotto scadente?) e deve avere un respiro internazionale. Ovvero: niente provincialismi, please! Ma non basta. Visto che verrà pubblicato solo sei settimane dopo, e in sei settimane al massimo fai un editing leggero e una correzione bozze, il suddetto romanzo dev’essere già in una forma matura e compiuta. Ma un romanzo con queste caratteristiche, mi domando io, che ci fa in un cassetto? Sta li ad aspettare un premio come questo? Mmh… mi pare difficile.

    Quindi ci si confronta con una pletora di aspiranti scrittori che probabilmente non hanno le qualità per confrontarsi alla pari; con un bel numero di autori bravi ma che non riescono a sfondare o non trovano uno sbocco, e che le qualità magari ce le hanno ma non hanno nel cassetto un romanzo come quello che cercano (che ci fa nel cassetto? Va bene che pubblicare è difficile, ma un romanzo così un editore lo trova); e, infine, una serie di “vecchi scrittori” che non sono mai arrivati alla notorietà del grande pubblico ma che nell’editoria ci hanno campato per tutta la vita, e che un romanzo nel cassetto da spolverare, inedito perché nessuno ai tempi che furono l’ha mai voluto pubblicare, ce l’hanno. Ma se nessuno l’ha mai voluto pubblicare, un motivo ci sarà. Ed ecco che si arriva al timore numero due…

    È possibile che quelli della DeA Planeta siano dei terribili, romantici sognatori. E che abbiano scommesso tutto sul fatto che da qualche parte ci sia un autore non ancora conosciuto o un romanzo non ancora pubblicato che possa rivelarsi un bestseller. Centomila copie = bestseller. Oppure… oppure, niente. Oppure hai l’asso nella manica. Ma di questo non voglio parlare. Lo accenno come timore e basta. Mi pare che qualche commento più su se ne sia detto in modo più esplicito. Di sicuro quanto si legge nel bando, se corrisponde a verità, ha tutti i crismi del contratto editoriale da favola: 150 mila euro di anticipo (anticipo!), royalty al 10 per cento, traduzione in spagnolo, inglese e francese, tour promozionale, una casa editrice grossa alle spalle che farà di tutto per spingerti e vendere (altrimenti come lo recuperano l’anticipo?)… Insomma, è valido. Molto valido. Solo che quelle sei settimane…

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    1. Concordo su tutta la linea.

      Le sei settimane di pubblicazione garantita sottintendono il fatto che il romanzo vincitore dovrà essere un romanzo già pronto. Io credo che tra i partecipanti non ci saranno solo aspiranti ed esordienti ma anche (se non soprattutto…) i “vecchi scrittori” di cui parli tu, cioè gente che gode del supporto di editor e correttori di bozze che, visto il premio, non esiterebbero a fare la loro parte anche solo per rispolverare meglio romanzi tenuti nel cassetto.

      E questo per me è sufficiente per far schizzare al ribasso le mie possibilità di vincere (quindi da uno 0,01% di probabilità, passo allo 0,001% e forse sono troppo ottimista… 😀 😀 😀 ) e, gioco-forza, aumentano le mie probabilità di non essere selezionato e quindi di esporre la mia eventuale opera ai rischi di cui ho parlato nel post (le famose “vie strane”…).

      Scherzi a parte, resta comunque il fatto che, cassetto o no, 5 mesi per realizzare un romanzo del genere secondo me sono molto pochi (almeno, secondo i miei ritmi e secondo le mie capacità). Quindi avere almeno un “semilavorato” pronto da rimaneggiare è sicuramente un vantaggio.

      P.S.: Salvatore, comunque non sono indinnniato… 😉 . Magari ne riparleremo…

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      1. Sul fatto che si rubino i manoscritti non ci perdo nemmeno il sonno. Secondo me è una leggenda metropolitana. Una di quelle cose di cui chiacchierano tutti ma che non esistono. Tipo i coccodrilli nelle fogne di New York o cose così. I vecchi scrittori sono avversari temibili ma se non sono riusciti a sfondare quando erano giovani, se il loro manoscritto è nel cassetto da trent’anni, un motivo ci sarà… Riguardo ai vip supportati da ghost writer, non prendo in considerazione la cosa. Fossi nella DeA Planeta mi guarderei dal pubblicare un loro romanzo, anche se discreto, il rischio di farci una figuraccia è bello altro.

        I miei timori sono quei due lì. Solo quelli. Poi, la concorrenza, è giusto che ci sia e ben venga la meritocrazia. Mi auguro vinca lo scrittore che riesce a scrivere il romanzo migliore. Che in questo caso consiste nel confezionare in 5 mesi (150 giorni) un romanzo commerciale ben scritto che possa essere letto da un italiano, uno spagnolo, un inglese e un francese… Sembra una barzelletta. XD

  9. Il ragionamento di Salvatore non farebbe una piega se…
    non andassimo a vedere il premio Planeta in Spagna, un concorso vivo e attivo dal 1952. Andiamo a studiarne la cronologia: chi ha vinto le precedenti edizioni? autori conosciuti o esordienti?
    Vado alla ricerca dell’elenco dei vincitori, atterro su Wikipedia e mi trovo già quest’informazione: “Negli ultimi anni la sua credibilità è stata posta in discussione, poiché spesso il primo premio è appannaggio di autori pubblicati da Planeta e il secondo premio di autori minori. Il premio è stato rifiutato da Miguel Delibes ed Ernesto Sabato, entrambi autori pubblicati da Planeta. Nel 2005, un tribunale argentino multò Planeta per 10.000 pesos, dopo aver rilevato una frode nella premiazione della versione argentina del premio Ricardo Piglia nel 1997.” (la fonte http://www.clarin.com/diario/2005/03/01/sociedad/s-03015.htm non risulta del tutto visibile…)
    Soprassediamo. L’ultimo vincitore è Javier Sierra con El fuego invisible, su Amazon Italia solo una recensione ad 1 stella, su Amazon Spagna più di cento recensioni con voto medio 3 stelle. E attenzione: questo autore ha già pubblicato altri romanzi, alcuni di questi pubblicati proprio da Planeta, quindi un vincitore interno (ringraziate Marco, questa prima ricerca l’ha fatta lui).
    A me però salta all’occhio un nome che conosco e che in Italia vende bene, Clara Sánchez (ricordate il suo bestseller Il profumo delle foglie di limone?) Lei ha vinto il Planeta nel 2013 con El cielo ha vuelto, ma è un’autrice pubblicata e conosciuta in Spagna già dal 1989 con Piedras preciosas (da noi La forza imprevedibile delle parole tradotto nel 2017). Ma attenzione signore e signori alla magia: osservate le mie mani e vedrete comparire l’impensabile! Da dove esce Il profumo delle foglie di limone? Dal premio Nadal che lei ha vinto nel 2010. Cos’è il premio Nadal?
    Il Premio Nadal de novela è un premio letterario commerciale che si assegna dal 1944 alla migliore opera inedita eletta da Ediciones Destino, appartenente al Grupo….. Planeta!!
    (il sito del premio Nadal: https://www.planetadelibros.com/premios/premio-nadal/3
    il sito del premio Planeta: http://www.premioplaneta.es/
    il sito del grupo Planeta: https://www.planeta.es
    ma direi che anche i loghi richiamano tutti allo stesso gruppo)
    Et voilà… la magia ha colpito di nuovo…

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    1. Però questa è la prima edizione italiana. Vuoi che proprio alla prima edizione facciano vincere un autore interno? Mmh… tutto può essere. Il fatto che vincano più spesso autori che hanno già pubblicato (pubblicato in senso assoluto), può indicare semplicemente il fatto che è difficile che un esordiente abbia nel cassetto un’opera di grande valore. Di aspiranti scrittori ce n’è molti, ma la qualità dei loro scritti magari non è così elevata. Parlo in termini generici. Secondo me, con sole sei settimane di tempo dalla premiazione alla pubblicazione, un manoscritto nel cassetto, a cui hanno fatto un editing accurato con tutta calma, ce l’hanno già. Se si compete, si compete per il secondo, terzo, quarto e quinto posto… E quindi arriviamo ai dubbi di Darius sulla first option.

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      1. Cambiamo punto di vista, ragioniamo da imprenditore. Possiamo di questi tempi buttare alle ortiche, senza un sicuro ritorno dell’investimento, un 150 mila euro? Non credo. Quindi devi prendere tutte le precauzioni del caso, piano A e piano B.
        Piano A: lancio il concorso, mi arriva dell’ottimo materiale, di aspiranti scrittori che investono anche nell’editing professionale, così che mi arriva un semilavorato se non addirittura un prodotto finito. Premio il migliore e lo lancio sul mercato, come qualsiasi altro romanzo che avrei selezionato normalmente.
        Piano B: lancio il concorso, mi arriva del materiale che non va bene nemmeno per riciclare la carta, forse se ne salvano una decina, ma non da essere pubblicati in sole 6 settimane di editing, e non da rischiare 150 mila euro; ho pronto al lancio il romanzo nuovo di ZZZ e pure uno di VVV, autori di scuderia, decido per uno dei due, lo faccio partecipare al concorso, lo premio, i 150 mila euro glieli avrei dati comunque, ho salvato la faccia, contatto quella decina di romanzi decenti per vedere se nell’editing di un anno se ne può ricavare qualcosa di concreto.

        E che non ci sia anche un piano C… qualcosa per rilanciare il nome dell’azienda, per invadere un mercato in cartello da troppi anni e alzare la quotazione delle azioni. Un 60 Gb a 8,99 per sempre. 😉

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        1. Ogni concorso XYZ che si rispetti ha un piano A-B-C. Ti pare? 😀

          Secondo me poco importa A, B o C (nel senso: sono tutti validi). Questi cadono sempre in piedi. È un po’ come la Juventus che ha comprato Cristiano Ronaldo: hanno un piano ben collaudato per coprire in ogni caso tutte le spese (primo premio, traduzioni, ecc…).

          Quello che non ci scappa, piano A, B o C che sia, è che questo concorso in ogni caso è una “macchina di raccolta e selezione” di autori e romanzi. Tutti si focalizzano sul primo premio, ma in realtà la pesca riguarderà anche gli altri, vale a dire quelli scremati dal Comitato di lettura secondo il suo insindacabile e “segreto” giudizio (“segreto” è scritto nel bando, non vi sarà sfuggito…).

        2. È quello che intendevo. Non l’ho voluto dire in modo così esplicito per timore che i capoccioni della DeA Planeta stiano tutti slumando il post di Darius… XD

          1. ‘zagerato. 😀 😀 😀

            Però puoi sempre inviare la tua opera con uno pseudonimo. Solo che, se vinci, la tua identità verrà svelata alla modica cifra di 150mila euro…

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    1. Il tuo commento era finito in lista d’attesa per l’approvazione (non nello spam).
      Lo stavo per approvare ma… ehm… sei stata troppo veloce nel riproporlo. 😛

  10. Non è dato sapere se prima del 2010, del premio Nadal, Clara Sánchez fosse già pubblicata da Planeta, perché i suoi libri sono attualmente tutti ristampati e sono già in carico a Planeta (che potrebbe anche averne acquistato i diritti dopo il premio). Certo è che la signora ha vinto il Nadal e poco dopo il Planeta, e questo secondo premio l’ha giocato in casa. 😉

    1. Quindi… commento sotto. “Certo è che la signora ha vinto il Nadal e poco dopo il Planeta, e questo secondo premio l’ha giocato in casa. ” 🙂

  11. Davvero molto interessanti gli interventi al post, portano avanti il discorso in meandri che non avrei mai sospettato. Io sono sempre stata un’ingenua. Di quelle che la meritocrazia vincono su tutto e Bla, bla, Bla del genere. Ai concorsi non credo di solito perché spesso sotto nascondono fegature come quelle elencate, ma qui mi pare ci sia invece una vera opportunità e se fosse anche solo di farsi notare dagli addetti ai lavori perché non provare?
    Anche se la compagnia è grande io mi sa che provo.

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    1. Be’, come dicevo, se si ha un romanzo già a buon punto, tentare non nuoce. Dopotutto si può sempre fare esperienza sui meccanismi che stanno dietro le quinte, anche perchè se in Spagna questo concorso esiste da anni è lecito aspettarsi che lo riproporranno anche in Italia… Sarei curioso di vedere se ogni anno mettono in palio 150mila euro…

  12. Oggi Rizzoli ha lanciato l’autobiografia di Totti, curata da una nota firma della Gazzetta dello sport, Paolo Condò (ma allora perché la chiamano auto-biografia? Peraltro è ovvio che il quasi analfabeta ex capitano della Roma non può averla scritta di proprio pugno).
    Se pensate di pubblicare qualcosa nelle prossime settimane considerate che a Natale dovrete farci i conti: il nome ‘Totti’ fa vendere anche i calzini bucati.
    Alla luce di questo tristissimo sviluppo vi consiglio di partecipare al concorso della Dea Planeta; almeno in quel frangente, essendo la “sua” un'”opera” edita, non può farvi concorrenza (altrimenti stravincerebbe anche lì).
    Io per questo giro mi chiamo fuori, realisticamente non mi reputo all’altezza. Magari quando divento bravo… 🙂

    1. Quello di Totti, dopo Natale, cadrà nel dimenticatoio, così come quelli di Messi e di Ibra. Chi vincerà il concorsone Dea, casomai, punterà al Natale 2019, giusto il tempo di finire il famoso tour e le varie traduzioni previste…

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      1. Giusto, Darius, hai ragione.
        Allora rettifico il suggerimento: evitate di partecipare. Considerato che il concorso si tiene in Italia per la prima volta, il promotore avrà bisogno di massimizzare l’attenzione mediatica, quindi è logico supporre che il vincitore sarà uno scrittore se non popolarissimo, quantomeno con un buon seguito, anche social.

        Mi auguro che la tua previsione riguardo al dimenticatoio post-natalizio possa avverarsi con qualche mese di anticipo (è sgradevole che i bravi scrittori, quelli che si fanno il qulo, debbano vedersi il mercato rovinato da tizi ‘zero contenuti’), con buona pace dei vari Totti, D’Urso e Belen (caruccia, comunque, la farfallina. Soprattutto ben posizionata 😉 )

  13. Il concorso a cui ti riferisci tra le righe sarà pure allettante, ma io condivido pienamente i tuoi dubbi e la tua diffidenza. Intanto questa cosa del libri editi che non possono partecipare per me non ha senso. L’editoria ufficiale non riconosce il self publishing, ma in questi casi l’opera è “edita”? Poi la faccenda del tour, io dubito seriamente che le spese siano a carico dell’editore, in questi casi se un dettaglio non è ben specificato, poco ma sicuro che è a danno dell’autore. Poi ormai non mi fido più dei concorsi, me ne hanno raccontate di tutti i colori (partecipanti e giudici) per credere che davvero si prenderanno la briga di leggere tutte le opere che pioveranno dal cielo e scegliere quella più meritevole. E come ha fatto notare qualcuno, il tempo è troppo poco per fare un editing serio. Di sicuro sanno già a chi mettere la corona. Per quanto mi riguarda, un romanzo inedito da proporre non c’è l’ho, quindi il problema non si pone 😛
    In ogni caso, sognare non costa nulla… (a proposito, ma non c’è davvero una quota d’iscrizione?).

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    1. Bene, mi fa piacere sapere che condividi i miei stessi dubbi. 🙂
      Per quanto riguarda il discorso “opera inedita”, evidentemente la maggior parte dei concorsi pongono questa condizione per sgombrare da subito eventuali rogne che possano derivare da plagi e/o contratti pre-esistenti eventualmente sottoscritti dai partecipanti (tra i quali appunto dovranno decretare il vincitore).

      Timore lecito, anche se torniamo al punto iniziale che mi son posto, cioè al fatto di considerare un concorso più come una “macchina di raccolta e selezione” di opere inedite che altro. Come dicevo sopra a Nadia, potrebbe essere interessante parteciparvi non solo per essere selezionati ma anche per capire quali sono i meccanismi dietro le quinte, anche se non saranno molto differenti da quelli di altri concorsi.

      La quota di iscrizione pare che non ci sia. Almeno: nel bando non è specificato. Poi bisogna vedere se viene richiesto qualcosa in fase di iscrizione, o completamento dell’iscrizione.

  14. Mozzi sul suo profilo si è espresso contro il premio.
    Darius ti metto il mio commento perché cito alcuni dati che magari possono interessare anche a voi.

    Il mio commento da Giulio Mozzi:
    Io la ritengo una iniziativa editoriale di notevole spessore e intelligenza.
    Planeta nel 2017 è stato classificato come settimo gruppo editoriale mondiale. La nostra Mondadori è solo ventottesima. Quindi non sono gli ultimi arrivati e se dalla Spagna si sono mossi con questa iniziativa, vuol dire che hanno deciso di diventare importanti anche in Italia. Quale modo migliore se non calamitare su di sé l’attenzione immediata, dirompente, virale, degli scrittori, dei librai, dei media e dei lettori?
    Per uno scrittore 150 mila euro è un anticipo iperbolico che sa tanto di sogno americano. Lo può vincere lo scrittore affermato come l’esordiente sconosciuto. Tutti partono alla pari, tutti (facendo fede che la selezione sia onesta) hanno possibilità di vincere, conta soltanto il libro. Non il libro migliore o il più letterario, ma quello che può piacere ai lettori. Un possibile best seller. E già pubblicare libri che possano piacere ai lettori è una cosa meritoria.

    E’ evidente che da questo clamore mediatico si aspettano un indotto importante. Gli altri libri già pubblicati Dea-Planeta acquisiranno enorme visibilità, i librai cominceranno a considerarli con più attenzione, i lettori cominceranno a conoscere il brand. I libri in uscita per il 2019 ne avranno un beneficio.

    E’ una grande operazione commerciale editoriale che mira a spaccare il sistema editoriale attuale. Io non so se sarà una cosa positiva o negativa. Però so che spesso scuotere in maniera dirompente un mercato (e in questo caso un mercato asfittico come quello editoriale italiano, che da anni piange su se stesso lamentando crisi), potrebbe portare altri editori a reagire (il rischio di vedersi soffiare autori di punta adesso c’è) con contro iniziative, nuove idee.
    Speriamo che questa iniziativa sia un impulso positivo per l’intera editoria. A restare fermi non si sbaglia mai.
    Hanno deciso di rischiare, e parecchio.
    Pertanto da parte mia, tanto di cappello.

    Fonte classifica editoria mondiale: https://www.publishersweekly.com/pw/by-topic/international/international-book-news/article/74505-the-world-s-50-largest-publishers-2017.html

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    1. Giulio può avere una qualche ragione a chiedersi che tipo di letteratura stiamo promuovendo con questo concorso, o più in generale, con questo atteggiamento editoriale. Ma la sua è una domanda legittima solo se si parte da un assioma di purismo letterario. Detto questo, se nel mercato c’è spazio per un romanzo commerciale che venda molte centinaia di migliaia di copie, allora c’è spazio anche per un concorso come questo.

      Altrettanto legittimo è il dubbio per le sei settimane. Ce lo siamo chiesti pure noi e abbiamo tratto le nostre conclusioni. Tutto il resto invece mi convince molto meno, anzi, per nulla. Lui si chiede, mi pare, che senso abbia dare un anticipo sulle vendite allo scrittore, adducendo al fatto che in questo modo l’editore si espone mettendo a rischio la sua liquidita a fronte di una scommessa. Verrebbe da rispondere che l’editore, a differenza dello scrittore, è un imprenditore. E che la parola stessa “imprenditore”, lui che è tanto attento alle parole lo saprà, sottintende proprio all’atteggiamento di chi rischia (un capitale in questo caso) a fronte di una ricompensa auspicata ma incerta. Lo scrittore invece no. Lo scrittore è un professionista della penna, qualche volta almeno, ma non un imprenditore. Se ci domandiamo “che senso abbia dare un anticipo” facciamo ricadere sulle spalle dell’autore le responsabilità dell’editore. E questo non è solo sbagliato, è scorretto. Quindi ben vengano quegli editori che fanno gli imprenditori. In nessun settore ci sono così pochi imprenditori, o se preferisci, imprenditori così scadenti, come nel campo dell’editoria.

      Per quanto riguarda la questione “elitaria”, della letteratura vista come una “esigenza”, una ricerca della “verità”, intanto bisognerebbe capire una volta per tutte che scrivere un romanzo commerciale è difficile tanto quanto, e forse di più, scrivere un romanzo essenziale . Altrimenti l’Italia sarebbe piena di bestseller; tutti gli scrittori per arrotondare scriverebbero romanzi commerciali e poi, di tanto in tanto, tenterebbero di scriverne anche uno essenziale. Così non è. Ma bisognerebbe anche capire che scrivere un romanzo essenziale spesso tracima nell’amletica domanda: «Quel romanzo così tanto essenziale, era davvero essenziale scriverlo?» Perché questa è la fine che fanno i molti tentativi di scriverne uno.

      Infine, gli indignati. Be’, al riguardo mi esprimo sapendo di attirarmi le critiche. Ma codesti indignati, io credo, spesso non sono né capaci di scrivere un romanzo commerciale né di scriverne uno essenziale. Quello in cui sono davvero bravi, mi pare, è fare gli stiliti: sedersi sul loro cumulo di indignazione, disagio e frustrazione, pontificando e dileggiando chi invece prova realmente a fare qualcosa. Dico, prova. Perché loro, gli indignati, nemmeno provano. Stanno lì e chiacchierano. Questo è quello che penso. Con tutti i limiti della mia intelligenza e sensibilità.

      Anzi no, c’è ancora una cosuccia. Additare la partecipazione a questo concorso come una “letteratura gratta e vinci”, non è solo sbagliato, è stupido. Il gratta e vinci lo compri. Un romanzo tale da vincere il premio in questione lo devi comunque scrivere. È vero che in un certo senso si tenta la fortuna. Ma è lo stesso tipo di fortuna, la stessa tipologia di fortuna, che tenta un esordiente quando espone il proprio manoscritto alla lettura editoriale. Che è ben diversa dal tipo di fortuna che si ricerca nel gioco d’azzardo, io credo.

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      1. Credo che comunque, al di là di tutti i dubbi (miei per primi) e le considerazioni (valide) che sono venute fuori qui, occorre considerare il contesto più ampio, in particolare il fatto che è il primo anno che Dea fa un concorso del genere in Italia. Quindi, considerando proprio questo particolare contesto, i capoccioni di Dea avranno fatto più ragionamenti in ottica imprenditoriale che editoriale.

        In sostanza, come diceva Marco, hanno pensato più a un concorso per spaccare e scuotere il mercato.

        Il premio di 150mila euro io continuo a non vederlo come un rischio, nel senso che in un modo o nell’altro, verrà ampiamente ricoperto da entrate dirette e indirette. E poi, visto che parliamo di editore di caratura internazionale, penso che una cifra del genere, anche se andasse persa, non sposterebbe molto il loro bilancio.

        Quanto al commento di Mozzi, io lo percepisco come il commento di una persona che intende la letteratura più nel suo aspetto “elitario” che altro. E quindi è normale che esprima un certo disappunto. Però esiste anche la letteratura “commerciale”, che piaccia o no.

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        1. Anch’io penso che il loro sia un rischio calcolato. Stiamo parlando della De Agostino, 28° nella classifica mondiale degli editori, e della Planeta, 7° nella stessa classifica mondiale. Insieme sono un bel colosso. Possono permettersi di investire dei soldi ragionando sui vari e molteplici ritorni. Già il fatto che se ne parli così tanto, è tutto di guadagnato per loro.

  15. Ah, e ne ho letta un’altra, da figura autorevole e quindi penso fonte affidabile. In Spagna il premio Planeta mette in palio 600 mila euro. Cioè a noi sembrano tanti 150mila, praticamente per l’Italia hanno deciso di offrire le noccioline. 😛
    E’ evidente che il mercato in lingua spagnola è immenso. Tutto il Sud America escluso il Brasile. E poi Messico, Caraibi, Filippine e un buon 20% di popolazione Usa che utilizza come prima lingua lo spagnolo. Mica poco rispetto alla nostra lingua, bella, ma confinata al nostro stivale.

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    1. Secondo uno studio di cui non so dire l’affidabilità, come prima lingua l’inglese è parlato dal 7% della popolazione mondiale; lo spagnolo dal 6%. Quindi non tanto distante. L’italiano non c’è nemmeno da chiederselo. La letteratura italiana è per forza di cose di nicchia, non ci possiamo fare niente. Il premio tuttavia, promette di tradurre e spingere il romanzo vincitore anche in lingua spagnola e nei Paesi in cui si parla lo spagnolo. Ovvero in quei Paesi in cui il gruppo Planeta è forte e ha le sue ramificazioni. In Italia, anche se non nella narrativa, la De Agostini è altrettanto forte. È seconda solo a Mondadori. Quando l’ho scoperto grazie al tuo link, ammetto di esserne rimasto perplesso. Mi aspettavo fosse una casa editrice media e invece è un colosso. Certo, gran parte del suo fatturato poggia sulla scolastica, sulle collezioni, eccetera. Però la forza ce l’ha. Il romanzo vincitore verrà inoltre tradotto in inglese e francese. Ora, qui probabilmente lo stesso gruppo viaggia un po’ a naso e non si può sapere quanta penetrazione avrà il romanzo nei Paesi di lingua inglese e francese. Ma è pur sempre meglio che tradurselo da soli e tentare la via delle microscopiche case editrici estere che in genere accolgono la narrativa italiana.

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    2. Be’, con le traduzioni in spagnolo, francese e inglese, e con le dovute strategie commerciali, penso che copriranno metà pianeta, non solo il mercato che parla e legge in spagnolo. Cosa resta fuori? Solo le lingue asiatiche, anche se numericamente sono parlate dal più alto numero di persone (a spanne tre miliardi di persone, milione più, milione meno…).

      Quindi (e mi ripeto), volete che non tirino su 150mila euro con un battito di ciglia per darli al vincitore?

    3. Beh, questa mi sembra una contraddizione bella e buona. Mi spiego: se hanno intenzione di tradurre l’opera 1^ classificata anche nelle altre lingue, spagnolo compreso dunque, perché mai offrire 150 mila € al vincitore dell’edizione italiana a fronte dei 600 mila erogati al vincitore dell’edizione spagnola (non conosco le cifre, mi fido di quanto affermi)?
      Se le cifre che riporti sono esatte non può essere una questione di bacino d’utenza, non sembra anche a te, Marco? La discrepanza di 350 mila € non può essere giustificata chiamando in causa il fattore mercato, mi sembra abbastanza ovvio.
      Ciò che non è ovvio, invece, è il vero motivo di tale differenza, e francamente non ho abbastanza informazioni per azzardare un’ipotesi plausibile. Mah…

      1. Calogero quindi gli italiani dovrebbero sentirsi offesi perché offrono meno?
        Uno scrittore italiano che vincesse quei 150 mila potrebbe solo dire grazie. Nessun altro in Italia offre tali cifre.
        Poi è evidente che ci sono enormi differenze:
        1) il mercato spagnolo è molto più grande del nostro.
        2) Anche se l’autore italiano venisse tradotto, non sanno se potrà fare breccia con numeri importanti anche in un’altra lingua.
        3) da loro è un premio ormai consolidato, da noi è un azzardo.
        4) Ciascuno con i suoi soldi fa ciò che vuole.

        1. Offesi? Cosa c’entra l’offesa, Marco? Mica vengono qua a disonorare le nostre sorelle! 🙂

          Ti cito: “Nessun altro in Italia offre tali cifre.”
          Eccolo il vero motivo! Lo hai trovato senza neanche renderti conto (ma ciò non sminuisce il tuo senso del ragionamento): possono permettersi di offrire molto meno che in Spagna ed essere ugualmente appetibili perché le case editrici italiane, come mi fai notare, offrono ancora meno.

          Il fattore mercato, comunque lo si rigiri e a qualunque cosa lo si appoggi, continua a non stare in piedi.
          Traducendolo anche soltanto in lingua spagnola, considerato che da loro, come tu stesso riconosci, è un premio ormai consolidato (e aggiungo anche promosso da una CE di una certa rilevanza), farebbe breccia eccome, forte della reputazione e della CE e del premio, storico, stesso. E poi, con un mercato (quello di lingua ispanica) tanto ampio, vuoi davvero che ci rimettano? Basta pubblicizzare l’opera adeguatamente, pizzicando le corde giuste (opera pubblicata da CE di tutto rispetto, vincitrice di storico e rinomato premio…), e non dubitare che siano capaci di fare promozione, altrimenti sarebbero rimasti una CE minore.

          L’azzardo puoi trovarlo in ogni cosa che facciamo dalla mattina quando ci alziamo e per tutto il resto della giornata. Chi fa imprenditoria lo sa bene, e sa ancora meglio che, pur seguendo il principio della prudenza, il rischio imprenditoriale non può mai, in alcun modo, essere azzerato. Non si è mai vista l’imprenditoria pavida, solo quella calcolata, studiata.

          Mi trovi d’accordo che ognuno con le sue risorse può fare quello che gli pare, a maggior ragione quando la concorrenza locale non si svena di certo. Ti ri-cito: “Nessun altro in Italia offre tali cifre”. Rimane l’unica ragione logica e sensata.

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          1. Scusa, Marco, dimenticavo: a proposito del rischio imprenditoriale, il botta e risposta tra Darius e Salvatore partito da un tuo commento (Mozzi sul suo profilo si è espresso contro il premio…) è sufficientemente esplicativo. Lo riporto brevemente, tu comunque rileggilo pure per intero.

            Darius: “Il premio di 150mila euro io continuo a non vederlo come un rischio, nel senso che in un modo o nell’altro, verrà ampiamente ricoperto da entrate dirette e indirette. E poi, visto che parliamo di editore di caratura internazionale, penso che una cifra del genere, anche se andasse persa, non sposterebbe molto il loro bilancio.”

            Salvatore: “Anch’io penso che il loro sia un rischio calcolato. Stiamo parlando della De Agostino, 28° nella classifica mondiale degli editori, e della Planeta, 7° nella stessa classifica mondiale. Insieme sono un bel colosso. Possono permettersi di investire dei soldi ragionando sui vari e molteplici ritorni. Già il fatto che se ne parli così tanto, è tutto di guadagnato per loro.”

  16. La sempre attenta Chiara Beretta Mazzotta, come supponevo avrebbe fatto conoscendola, ne parla oggi nel suo blog. Bookblister. C’è solo da spolverare le tastiere, amici,

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  17. …fortuna che hai rimesso il link in Facebook Darius, sennò mi perdevo tutti gli ultimi commenti interessanti! (ma quella casellina “Notificami nuovi commenti via e-mail” non funsia?? io necessito input!) 🙂

  18. È tutto molto bello, abbagliante, stimolante… Ho sempre sostenuto che i concorsi letterari sono gli strumenti tra i più adeguati per farsi conoscere o, meglio, pubblicare in veste di emeriti sconosciuti, eppure da un po’ di tempo a questa parte ho notato che gli esordienti o chi ancora semplicemente “aspira” a diventare un nome circolante nel mondo della narrativa non hanno corsie parificate con chi già quel nome ce l’ha. Non è vero che un concorso garantisce linee di partenza uguali per tutti, o almeno questo è ciò che si fa credere, poi, però, quando c’è da proclamare il vincitore, i promotori (che sono le Case editrici direttamente interessate o le agenzie che a esse si appoggiano) vanno a pescare chi ha già esperienza nel settore, chi ha un nutrito curriculum letterario, chi ha collaborato con questa o quella Redazione, chi ha scritto bestseller e straguadagnato dalle vendite, perché è ovvio, puntano su chi può garantire un ritorno. Io, tu, tutti noi, che partiamo da zero, che numeri di vendita possiamo promettere? Non sarà mai la stessa cosa. Un concorsone come questo, con tutti quei soldi in palio fa gola a chiunque, ma a me personalmente dà pochissima fiducia. Per me verrà fuori un nome noto, non necessariamente famoso, ma con le giuste prerogative per supportare poi tutto il prosieguo del progetto (marketing, vendite, ecc.) Del resto, mi dà ragione quello che è successo in Spagna: hai visto chi ha vinto il concorso, no?

    1. Come tutti i concorsi, nasconde le sue incognite che ho illustrato nel post successivo. Alcune incognite sono più insidiose di altre. È anche vero che molte cose vengono decise dietro le quinte affinché siano garantiti certi ritorni (non ultimo: l’incremento delle vendite dei vincitori delle scorse edizioni, vedi Fuoco invisibile, per dirne uno…).

      Diciamo che questo concorso è degno di nota, se non per altro, per aver messo in moto meccanismi diversi dai soliti concorsi. Sarà interessante anche stare solo alla finestra, se si decidesse di non partecipare.

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