Due anni nella blogosfera attorno al tema della scrittura possono essere pochissimi. O tantissimi. Dipende da quel che si va cercando. Sono ormai diversi i blog che leggo con una certa frequenza, quando si tratta di scrittura e lettura.
Non sempre commento, lo devo confessare.
Ho notato che ci sono alcune ossessioni ricorrenti che inquietano (o animano, o appassionano) alcuni aspiranti scrittori. Forse la parola “ossessione” è un po’ cruda, troppo diretta. Forse è meglio dire “ambizioni” ma al momento non me ne vengono altre.

Pubblicare a tutti i costi

Noto che molti aspirano alla pubblicazione, intesa come raggiungimento del grande pubblico. Ovviamente tramite casa editrice, con tutti i crismi che ne derivano.
E disdegnano l’autopubblicazione.
Ma non la disdegnano in quanto tale: la disdegnano perché in questo momento storico non è la via maestra per arrivare al grande pubblico. Nel loro immaginario la via maestra è la pubblicazione tradizionale. Se tra dieci anni la tendenza dovesse invertirsi, allora tra dieci anni sarà forse la pubblicazione tramite casa editrice a essere disdegnata, perché il grande pubblico, chissà, lo si potrà raggiungere solo tramite l’autoeditoria.

E qualcuno passa prima o poi per il self-publishing proprio perché vuole pubblicare a tutti i costi. Anche io sono passato attraverso il self: ma non ci sono passato perché volevo pubblicare a tutti i costi. Ho voluto fare dei lunghi test di piattaforma e per farlo, be’, la prima cosa che serviva era proprio un’opera da pubblicare. E così ho all’attivo quattro opere. Ma contano zero. Non lo dico per falsa modestia: lo dico perché tre di esse sono state a tutti gli effetti dei test. Per il resto niente marketing, niente pubblicità massiccia: solo link d’obbligo nella mia presenza web. E niente più.

Ne ho ricavato idee precise circa i meccanismi di self-publishing, idee di prima mano e non per “sentito dire” come capita di leggere qua e là su alcuni blog i cui autori sciorinano consigli senza mai sporcarsi le mani 😉 .
Mi son fatto un’idea molto precisa anche su quanto possa cubare un lavoro del genere (cioè: pubblicare in self, totalmente da zero). Chiaramente non ho idea (di prima mano, s’intende) di cosa possa significare avere a che fare con agenzie o case editrici.

Ma per il self, lo posso dire: non si scherza affatto, è un lavoro molto impegnativo.

Il lettore

Molti sono ossessionati dal lettore: come raggiungerlo, come convincerlo, come soddisfarlo.
Però IL lettore non esiste.
Esistono I lettori (plurale) e ognuno di essi dovrebbe essere “pensato” singolarmente. Ma la storia che si scrive è una e una sola, mentre i lettori possono essere decine, centinaia, migliaia. È impossibile scrivere una storia che piaccia veramente a tutti. Anzi: diciamo che una storia che susciti il 100% tondo degli entusiasmi mi farebbe inarcare il sopracciglio perché sono convinto che ci voglia sempre quel fisiologico 10-20 % di insoddisfazioni.

La perfezione nella scrittura

E che dire della perfezione? Sarò banale ma occorre ricordarlo: la perfezione non esiste.

Dunque perché dannarsi tanto nel voler scrivere un romanzo perfetto?
Perché darsi tanta pena per perfezionare un qualcosa che agli occhi di chiunque altro sembrerà probabilmente imperfetto?

La perfezione è figlia della soggettività, occorre farsene una ragione.
Ovviamente non parlo di perfezione da un punto di vista puramente grammaticale (quella è bene che sia perseguita al massimo). Parlo di perfezione narrativa, perfezione del ritmo, dell’intreccio, dei personaggi, dei dialoghi, dei colpi di scena. Perfezione anche in termini di attendibilità scientifica, storica, geografica. Per quest’ultime ci si può documentare quanto vuole prima di scrivere un romanzo. Ma è bene accettare fin da subito che non sono né necessarie, né perseguibili.

Non sono necessarie perché non stiamo scrivendo un saggio.
Non sono perseguibili perché tutto è soggettivo.

Come se non bastasse, scrivere un romanzo che rasenta quasi la perfezione, comporta una certa responsabilità.

La storia viene prima

Si potrà osservare che, condivisibili o meno che siano, ansia da pubblicazione, lettore e mania di perfezione siano comunque aspetti che riguardano fasi successive alla stesura di un romanzo.
Può essere.
Ma quante volte la nostra scrittura si fa influenzare da queste ossessioni?
Oppure (e direi: peggio ancora) quante volte torniamo sulla nostra scrittura correggendo e revisionando all’infinito sull’onda emotiva di queste ossessioni?

11 commenti su “Scrittura e altre ossessioni

  1. Volendo intendere la tua ultima come domanda reale e non retorica: mai abbastanza.

    1. Mai abbastanza. Anche io ho questa sensazione ricorrente. La noto quando rileggo un mio brano che più e più volte ho ritenuto perfetto (secondo me, ovviamente).

      Sembra che il tempo giochi brutti scherzi, come accade con le fotografie. Se prendo una mia foto di anni fa, ecco che mi rido addosso da solo per la faccia, la pettinatura, i vestiti… Eppure allora mi sentivo in posa perfetta.

      Mi sto convincendo che la stessa cosa accada con la scrittura e la lettura…

      Però prima o poi bisogna mettere il punto, quando si scrive.

  2. Ho superato l’ansia della correzione compulsiva dopo la pubblicazione del mio primo romanzo. Dopo moltissime revisioni ne sono uscita sfinita e naturalmente insoddisfatta. credo sostanzialmente si trattasse di insicurezza, peraltro comprensibile. Prima avevo pubblicato in self un diario di viaggio che era stato pubblicato molti anni prima ma che meritava ancora attenzione. Così ho scelto di ripubblicare in self. Anche per testare le piattaforme disponibili. Mi sono trovata molto bene, quel diario, che non aveva avuto molte revisioni conserva ancora la bellezza della spontaneità e dopo molti anni vende benissimo senza alcuno sforzo. Sono tornata al self dopo il romanzo con la pubblicazione di un manuale di oratoria. Ma ho scelto la piattaforma sbagliata. SI procede per tentativi, senza ossessioni 😉

    1. Le millemila revisioni hanno pure un effetto collaterale insidioso: fanno sfiorire la storia. Per quanto possa sembrarci bellissima la trama di una storia, a lungo andare perde il suo splendore ai nostri occhi. Non tanto perché la rileggiamo mille volte, ma perché le mille volte sono quasi una di fila all’altra…

      La cosa insidiosa è che dobbiamo tenere ben presente che un ipotetico lettore leggerà il nostro romanzo una volta. E se lo legge una seconda volta perché l’ha apprezzato, lo farà sicuramente a distanza di tempo. Quindi dobbiamo far tesoro delle nostre impressioni alla prima lettura e non confonderle con le nostre impressioni all’ennesima lettura che ci tocca fare in fase di revisione.

      Mica facile… 😛

      Come per i film: cosa succede se guardiamo il nostro film preferito per trenta sere di fila?
      Diverso è invece vederlo trenta volte ma facendo trascorrere del tempo tra una volta e l’altra…

  3. L’ossessione da pubblicazione l’ho persa, infatti ho appena rifiutato una pubblicazione più che buona, quando ho capito che talvolta è meglio tenere i manoscritti nel classico cassetto, questione di tempi e occasioni migliori, che quando i diritti sono ceduti, sono ceduti. La revisione da soli a sfinimento ha poco senso, se guidata da un editor capace allora ci si rimette le mani anche 5 volte (capitato), l’autocritica è difficile, si spazia dal “genio incompreso” al “faccio schifo”. I lettori sono importanti, è chiaro, ma essendocene di svariati generi, io come lettore forte non posso certo essere paragonata a chi negli ultimi 5 anni si è letto solo le sfumature per dire, se l’editore promuove il libro allora i lettori si trovano.

    1. Invece io non riesco a perdere l’ossessione per l’accuratezza. Anche a voler dare in mano un semilavorato a un editor, mi prende quella smania di voler mettere tutti i puntini sulle i, non solo in senso grammaticale (quello è d’obbligo) ma soprattutto nelle ambientazioni.

  4. Sì, ammetto che non scrivo più con lo spirito di una volta. Una volta mi bastava avere una grande idea per raccontarla, ora mi apparanoio con la verità che quella storia deve mostrare, il significato, la famosa idea di controllo e siccome sono certa di non saperle narrare le mie verità, mi perdo in forme di insicurezza da pusillanime che pregiudicano anche la bellezza e il divertimento nella scrittura.
    Poi leggo certe schifezze e rivaluto ogni critica che mi autoinfliggo, perché fondamentalmente sì, la soggettività non può essere ignorata, ma c’è un’idea oggettiva di “bello” e anche di “funzionale” da cui è impossibile prescindere ed è diventato questo il mio obiettivo, qualcosa di assimilabile all’utopia, ma che almeno mi fa sentire a posto con la coscienza di fronte a chi, dall’altra parte, fa lo stesso ragionamento (leggi: i lettori) e sono ingannati da qualche fanatico del self, per esempio. ????

    1. Ognuno insegue la propria idea di bello, sia quando si scrive, sia quando si legge. Credo che quando si scrive inconsciamente si tende a scrivere quello che si vuole leggere in termini di bellezza, armonia e funzionalità. Ma alla fine dobbiamo fare sempre i conti con la soggettività anche quando siamo lettori: ciò che piace a noi non piace a tutti…

      Quindi credo che al massimo si può arrivare a sentirsi a posto con la coscienza di fronte ai lettori come noi cioè che, grosso modo, hanno gli stessi nostri gusti e sensibilità.

  5. Più leggo gli inghippi da pubblicazione tradizionale o lo sbattimento per l’auto-pubblicazione (o auto-editoria) e meno voglia ho di pubblicare! 😀
    Se analizziamo le grandi vendite degli ultimi anni, ci sono belle storie scritte male (e lì si premia la storia, d’amore, d’avventura, di fantascienza…) e testi sublimi senza alcuna storia (vince la tecnica e la lirica, ma non la storia). Difficile avere entrambi, è come una bilancia: o pende per la storia o pende per la tecnica, o sta in equilibrio e rischia di passare inosservata.

    1. In merito alla pubblicazione tradizionale, l’impressione che mi sono fatto io è che spesso non si guarda né la storia né la tecnica. Si ragiona sul “vendibile”. E se qualcosa è in odore di “vendibilità”, storia-tecnica-lirica-originalità-eccetera vengono molto dopo.
      Basta guardare gli scaffali delle librerie: “La ragazza del treno” è stato un successone? Bene. Vai con tutti titoli di “La ragazza che”, “La ragazza di” ecc…

      Però la mia è solo un’impressione.

      Resta da capire se l’ossessione della vendibilità e/o della fama sia un’ossessione di chi scrive o di chi pubblica (figure che, nel caso dell’autoeditoria, tendono a coincidere).

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