Scrivere bene. Scrivere con scioltezza. Scrivere con autorevolezza.
Qualsiasi scrittore farebbe carte false per avere questi talenti innati. Se poi dovesse avere l’ardire di scrivere storie molto attinenti alla realtà, potrebbe aspirare a giocare molto sul filo del rasoio, quello stesso labile filo che divide la realtà dalla fantasia, la verità dalla finzione, il vero dal falso.
Insomma inventare storie talmente ben scritte, strutturate e documentate da poter sembrare vere.
Molti scrittori lo fanno e lo fanno bene. Lo fanno onestamente, tanto che alla fine di ogni romanzo, molto schiettamente includono sempre una sezione in cui espongono in modo chiaro ciò che hanno inventato per distinguerlo da ciò che è realmente esistito. È il caso di James Rollins. Oppure di Ken Follett.

Di quest’ultimo mi ha particolarmente colpito La colonna di fuoco, uscito da poco. Dopo le quasi mille pagine di romanzo, ecco una bella sezione in cui il buon Follett espone, “papale-papale”, i frutti della sua fantasia. Con un titolo inequivocabile (“Chi è reale?”), la sezione comincia così:

“I lettori a volte mi chiedono quali personaggi di un romanzo siano figure storiche e quali siano inventate. Per chi è curioso di saperlo, ecco un elenco delle persone realmente esistite menzionate in La colonna di fuoco.”

È un vero peccato che non tutti i lettori vadano a leggersi tale sezione, esattamente come non vanno a leggersi le varie sezioni del tipo “Note dell’autore”, “Ringraziamenti”, “Bibliografia” eccetera eccetera che spesso accompagnano i libri letti. È un mistero: quando si finisce un romanzo, la parola “fine” spesso cancella mentalmente la volontà di sfogliare le ultimissime pagine, e risucchia con sé tutto ciò che vi è scritto. Fine.

Ecco quindi che lo scrittore si ritrova addosso, forse inconsapevolmente, l’enorme responsabilità della finzione, responsabilità che scaturisce dallo scrivere storie talmente belle, vivide, credibili che i lettori, pochi o tanti che siano, le riterranno vere. Storiche. Realmente accadute.
Storie così ben documentate che, persino all’occhio attento dei lettori più scaltri – cioè quelli che tendono ad approfondire eventuali tematiche trattate nel romanzo -, persino a loro appariranno un tutt’uno con la realtà conosciuta e comunemente accettata. Poco importa se tu, in veste di scrittore, alla fine ti pigli la briga di spiegare quale farina viene dal tuo sacco e quale no. La tua postilla verrà ignorata dai più.

Subentra allora una sorta di leggerezza con la quale si liquida via la faccenda: “Io scrittore la mia parte l’ho fatta. Ho scritto un romanzo, sono felice che sia piaciuto. Ho anche specificato nelle note finali ciò che è vero da ciò che ho inventato. È colpa mia se nessuno legge le note finali?”

Grazie al cielo non ho di questi problemi 😀 , visto che le mie opere, sostanzialmente ancora inedite, circolano ancora in un ristrettissimo giro di lettori.
Tuttavia la responsabilità della finzione rimane.

Effetto “Da Vinci”

A questo punto, il rischio di incorrere in quello che io chiamo impropriamente “effetto Da Vinci” è alto, altissimo. Come ho già avuto modo di dire in passato, ho avuto la “fortuna” di leggere casualmente Il codice Da Vinci quando era appena uscito, quando non era ancora diventato il fenomeno mondiale che tutti conoscono. Ho potuto quindi apprezzarlo senza essere influenzato dall’enorme circo mediatico che è arrivato dopo breve tempo (in questo consiste la mia “fortuna”).
Non entrerò nel merito di Dan Brown o della sua opera. Lo cito solo per ricordare una mia grande perplessità: la stragrande maggioranza dei lettori aveva preso per “vera” e “storicamente attendibile” la storia scritta da Brown ne Il codice Da Vinci. Ovviamente non mi riferisco agli intellettuali che si sono susseguiti nei vari salotti televisivi, attenti più a cavalcare l’onda che a rilasciare pareri autorevoli.
Mi riferisco alla gente comune: ricordo alcuni servizi televisivi dove venivano intervistate persone per strada, lettori più o meno entusiasti. Ricordo anche persone nel mio giro di amici e conoscenti. Emergeva palese il fatto che costoro non si erano affatto premurate di approfondire anche solo minimamente le varie questioni toccate dal romanzo. Dopo averlo letto, il fatto più eclatante mediamente ricordato era – è – che “Maria Maddalena era la moglie di Gesù”. Senza contare le idee più o meno confuse su Opus Dei, Chiesa Cattolica eccetera eccetera.
Onestamente non sono in grado di dire se nelle varie edizioni e ristampe del romanzo, il buon Dan Brown si sia mai preso la briga di scrivere nero su bianco quanto inventato e quanto storicamente reale o presunto tale, leggende permettendo. Il danno, in un certo senso, era fatto.

La responsabilità della finzione, insomma, non è una cosa da prendere alla leggera. Si rischia concretamente di “alterare la realtà”, ovviamente non la realtà reale delle cronache storiche e documentate, ma la realtà comunemente percepita. Complice l’eventuale successo editoriale (ma anche certa ignoranza culturale), arriverà un giorno in cui le sottili differenze tra la realtà reale e la realtà della finzione narrativa si fonderanno nell’immaginario collettivo.

Effetto “CRISPR”

A volte però mi chiedo se la volontà di alterare la realtà non sia insita nella natura umana.

In fin dei conti, l’arte può essere sì intesa come un continuo descrivere il mondo che ci circonda, come un desiderio di perpetuarne il ricordo, di esaltarne la bellezza. Ma in altri casi essa può esprimere anche una volontà più o meno nascosta di alterare la realtà, di desiderare qualcosa di alternativo. E quando dico arte intendo qualsiasi arte, non solo la scrittura.

Anche la tecnologia fa la sua parte: basta pensare alla realtà virtuale e alla realtà aumentata.

E la scienza? Be’ la scienza non scherza affatto. Se fino a qualche decennio fa, si limitava alla fisica teorica ipotizzando universi paralleli e multiversi, oggi la scienza ha fatto un gran passo avanti in molte altre discipline che, in fin dei conti, incarnano la volontà dell’uomo di alterare la realtà, di metterci del suo. Basti pensare a CRISPR, la sigla (tra l’altro, impropriamente usata) per identificare una serie di tecnologie di editing genetico. Editing genetico che, da notare, è ben diverso dalle tecniche OGM, atte a creare organismi geneticamente modificati.

Nel leggere questo articolo, inerente all’editing genetico di alcuni fiori, sono rimasto colpito da questa frase:

“Insomma il cambiamento introdotto per via biotecnologica è apparso indistinguibile da una mutazione naturale, cosicché i fiori risultanti non possono essere considerati transgenici sulla base delle caratteristiche finali del prodotto.”

Decisamente fuori tema

Arrivare all’editing genetico partendo dalla finzione narrativa è un bel salto, forse un bel salto fuori tema. Ma il comune denominatore è sempre quello: rendere indistinguibile la realtà originale dalla realtà modificata.

Tra duecento anni chi osserverà i fiori giapponesi citati nell’articolo non sarà in grado di capire che madre natura in origine ha creato i fiori bluastri mentre i fiori bianchi sono stati di fatto creati da un genetista, il cui nome è andato perso nel tempo. Certo: sarà possibile risalire al nome del genetista e ricostruire gli avvenimenti per distinguere l’originale dal non originale. Ma perché? Chi osserverà i fiori li troverà così naturali che non si porrà nemmeno il problema di dover fare distinzioni, di dover andare alla ricerca dell’originalità, della verità.
Allo stesso modo, tra duecento anni chi leggerà un Ken Follett con sufficienza, potrebbe scambiare le sue trame meticolose per cronache dei secoli passati.
E lo stesso varrà per qualsiasi autore. E, come nel caso del genetista, tra duecento anni perché porsi domande sulla verità quando la finzione è così ben costruita da sembrare vera?

Quindi andiamoci piano con la perfezione. E se proprio si vuole tentare di perseguirla, è doveroso concludere con una nota dell’autore.
Anche se pochi la leggeranno.

 

4 commenti su “La responsabilità della finzione

  1. Nell’edizione che ho io de Il codice Da Vinci c’è in terza pagina la scritta che si tratta di un’opera di fantasia, ma non credo sia sufficiente per alcuni. Del resto, molto del successo di quel libro è aver giocato sul filo del complottismo, ed è da capire se volere dell’autore o della casa editrice (una strategia per aumentare le vendite fa comodo ad entrambi). C’è da dire che per alcuni libri il compendio delle note sarebbe così elevato da dover produrre un altro testo a parte e qualcuno lo fa: Outlandish Companion è la guida ufficiale alla lettura della saga di Outlander, con le ricerche storiche, le curiosità, le scelte effettuate proprio in relazione alle verità storiche, addirittura ricette culinarie dell’epoca, della scrittrice Diana Gabaldon. Dal momento che la saga sono 8 libri, il companion è suddiviso in part 1 e part 2 (ogni quattro libri ne ha chiuso uno di guida). Purtroppo non ancora tradotto (e infatti capitolerò a comprare il cartaceo in inglese, uffa). C’è qualcosa di simile per il Trono di spade?
    Un esperimento simile, ma confezionato male, è La guida ufficiale illustrata alla saga di Twilight… ma a parte una bella intervista alla scrittrice e le canzoni con cui ha scritto ogni scena, non c’è molto altro. Mi sarebbe piaciuta una ricerca sui vampiri “classici” e i vampiri “vegetariani”, ma il testo sembra un prodotto editoriale, non tanto voluto dall’autore.
    Ma sono d’accordo con te, io che le appendici me le leggo sempre tutte (o quasi, quelle del Signore degli anelli ancora non le ho terminate! 😛 )

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    1. Concordo sul fatto che una nota in cui sostanzialmente si dice “questa è un’opera di fantasia” è un qualcosa di troppo scarno. Purtroppo non ho più con me la prima edizione de Il codice Da Vinci perchè l’ho regalata a non so chi dopo che a me hanno regalato l’edizione illustrata.
      È vero che potrebbe essere una strategia commerciale studiata. Origin si apre con una frase lapidaria: “Tutti i riferimenti in questo romanzo […] sono reali.”
      L’esatto contrario del classico mantra “ogni riferimento è puramente casuale”. Poi il fatto che è scritto subito all’inizio ha un che di provocatorio.

  2. Io leggo tutte tutte, ma proprio tutte le pagine (sfoglio fino al retrocopertina anche quelle bianche, figurati), però, in effetti, per i libri che piacciono a me, di solito, sono previsti solo note e ringraziamenti. Che siano opere di fantasia è detto all’inizio (con le rituali formule sulla casualità di personaggi e cose.) Dunque testimonio un’abitudine, più che un’esperienza analoga alla tua.

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