Non sono uno che ama farsi pubblicità. Mi diverto a scribacchiare qua e là e a volte pubblico qualche aggiornamento sui social network, arena che, per motivi vari, non amo alla follia.
Capita però che qualcuno degli amici e conoscenti che arriva a leggere le mie storie mi fermi per strada e mi dica: “Ehi, ho letto il tuo ultimo post”. E da qui parte un breve scambio di battute, più o meno di circostanza.
Alcune di queste battute sono ricorrenti: quando trovi il tempo di scrivere? quello che hai scritto è vero o l’hai inventato? quante copie hai venduto?
Altre sono amichevoli: beato te che non hai un ca@@o da fare e trovi il tempo per scrivere ‘ste cose qui… (tipica frase degli amici più veri 😛 ).
Sorvolo sulle mie risposte. Sono più o meno le solite, facilmente immaginabili.
C’è una domanda però che ogni tanto arriva, ed è questa: ma come ti vengono certe storie?
Come mi vengono certe storie
Lasciamo perdere i soliti cliché su come-quando-perché arrivano le ispirazioni.
Quello che penso quando sento questa domanda è la carrellata di articoli, libri, letture varie che mi vado a procacciare per dare forma alle mie creazioni narrative.
È chiaro: per ogni post, racconto o romanzetto c’è sempre la scintilla iniziale, l’idea di base da cui parto. Ma poi tutto il resto è documentato, sia per far convergere la realtà verso la finzione, sia per rendere verosimile quest’ultima. Tuttavia è difficile riassumere in una risposta da due-battute-due tutto quel che decido di leggere prima di mettere insieme una storiella.
E quindi il più delle volte, glisso.
Ma le fonti?
Glissando o tergiversando a seconda del contesto, ripenso ogni volta che, in fondo in fondo, l’idea di rivelare le mie fonti non mi piace.
Il mio pensiero è spesso questo: se rivelo le mie fonti, fomento i pregiudizi.
E qui la mia poca esperienza di scrittura si intreccia con la (mai) sufficiente esperienza di lettura. Mi capita spesso di leggere libri di cui non condivido l’idea di fondo. Quello che però mi attrae spingendomi alla lettura è il voler scoprire in che modo l’autore decide di argomentare la propria tesi. Il mio approccio è dunque questo: non ti credo ma prova a convincermi. La cosa sorprendente è che tracce di idee adatte per la mia finzione letteraria le trovo sia nei libri con idee condivisibili, sia nei libri al limite del complottismo conclamato.
Ecco quindi che se, alla domanda “ma come ti vengono certe storie?”, dovessi rispondere citando certi titoli, mi resta addosso l’impressione di essermi giocato quel poco di credibilità appena conquistata.
Tutta farina del mio sacco?
No. Certo che no. Non mi piace far passare l’idea che sia tutta farina del mio sacco. E al mio blog (dove parlo solo delle mie storie) affido tutti i post per approfondire i vari aspetti. Sul mio blog faccio alcuni strappi alla regola, citando link e titoli (ma non tutti 😀 ).
Mi piace però l’idea di un lettore che, letta una mia storia, non riesce a distinguere il confine tra la realtà e la finzione. Mi illudo di essere stato bravo.
Se non nella scrittura 😛 , almeno nell’intreccio 😀 .
Se non nell’intreccio, almeno nell’aver suscitato interesse.
Non ti pare che certe volte la domanda “ma come ti vengono certe storie?” (si, la fanno anche a me, ma credo sia la seconda in classifica dopo “ma è autobiografico?”) in realtà si celi qualcosa del tipo: “ti conosco fin dalle elementari, eri una schiappa completa a scuola, com’è possibile che adesso scrivi racconti?” oppure “sei una persona ordinaria, timida, insignificante, non puoi avere una fantasia tale da scrivere addirittura un racconto originale, dove l’hai già letto?” oppure “non si può scrivere ciò che non si conosce, quindi, che razza di postacci frequenti, mentre la meni a tutti che sei sempre a casa?”
😀 😀 😀
I tuoi dubbi sono tutti più che leciti. Quello che posso dirti con sicurezza è che la domanda in questione viene posta con sincera curiosità. Poi, da dove possa arrivare tale curiosità (cioè: quale delle tue domande sia celata), non saprei… 😀
Invece, devo dire che “ma è autobiografico?” non me l’ha mai chiesto nessuno… 🙂
In realtà, Dario, ciò che mi incuriosisce non sono le tue fonti ma il metodo con cui ci arrivi, il criterio di selezione. Per me i buoni autori hanno un criterio , il resto è marginale. Ma gli editori questo criterio, a parte la puntuale valutazione di mercato, ce l’hanno? (…da una preziosa dritta di Werner H.)
Wow! Meno male che qui non c’è il codice sfrangia palle. Un saluto
Caro Fabio, sui metodi personalmente non ho molte regole. Diciamo che sono molto trasversali. Credo che non possa essere diversamente se ci si prefissa l’intento di scrivere storie originali… 🙂
NOn penso che peschi a casaccio nel mucchio indistinto delle notizie in rete. Solo la vita può concedere questo privilegio (quello di dare un senso al caos). in quanto alla cultura e all’originalità,… mah! Mi fornisci spunti di riflessione.
No, decisamente non pesco a casaccio. Anzi: per certi percorsi di ricerca bisogna fare tutto tranne che pescare a casaccio.
lo sospettavo…
Uno ne ho letto, racconto, e sono rimasta spiazzata dalla fantasia pazzesca. Sarei tra quelle che ti chiederebbe “ma da dove ti è venuto?”
Siccome ti reputo uomo dalle interessanti risorse, mi piace immaginarti davanti a qualche articolo scientifico a spremerti sul modo di utilizzare un particolare per costruirne una storia tra finzione e realtà .
Fonti o non fonti, secondo me con certe predisposizioni ci si nasce! ????
Onorato dell’idea che ti sei fatto di me! 🙂
Posso dirti che non hai immaginato molto lontano dalla realtà… 😛
piu’ che altro ci dev’essere predisposizione alla vita: ‘amo ciò che vien scritto col sangue’, diceva un signore, tempo fa. Le fonti poi…se non hai vissuto pienamente delle fonti te ne fai un baffo.
La predisposizione alla vita non guasta: aiuta molto a immedesimarsi in personaggi, reazioni e dialoghi. Poi sono d’accordo che delle fonti, in alcuni frangenti, ce ne si fa un baffo… 😉