“Ah, beato lei! Ha l’aria rilassata e scommetto che fa un mestiere che le piace!”
È cominciato così un dialogo tanto informale quanto inaspettato, fiorito in spiaggia con il vicino di ombrellone. Aria da professore prossimo alla pensione, rughe di esperienza mista a stress strisciante. E sguardo velato di malinconica saggezza inascoltata.

Ricambio con il migliore dei sorrisi di cortesia. Cosa dico? Che sono un’analista informatico, il che può voler dire tutto e niente? Il tipo ha l’aria ciarliera e annoiata. Per un attimo mi balena l’ideuzza di dire che sono uno scrittore di mestiere, solo per il gusto di vedere la sua espressione. Ma scrittore non sono e il gioco reggerebbe poco. Taglio corto.

“Non mi lamento” dico. “Mi occupo di informatica e diciamo che non faccio in tempo ad annoiarmi…”
“Eh, beato lei” ribadisce il professore. Mi chiedo se ho dato l’impressione sbagliata. “Lei non sa quanto mi annoio io. Io leggo…” aggiunge.

Leggo? Osservo la moglie del tizio sperando in uno sguardo che mi possa venire in aiuto. Ma è abbandonata sotto il sole, sdraiata, occhi chiusi in un’espressione decisa a ottenere al più presto l’abbronzatura da sfoggiare con le amiche. Forse dorme. O forse fa finta di dormire per non assorbirsi il copione di un dialogo che conosce a memoria dopo anni di matrimonio.
“E cosa legge, di bello?”
“Nulla, in vacanza non leggo mai, altrimenti non sarebbe vacanza” sentenzia sibillino.
Poi, divertito, aggiunge subito che di mestiere fa il redattore.
Il redattore? Bella, zio. Io mi son ben guardato dal dire che sono “analista informatico”, ché vuol dire tutto e niente, ma il professore mi ha superato in arguzia.
Chiedo se è un giornalista ma ottengo solo una risata sommessa, forse più irriverente nei confronti della categoria dei giornalisti che del sottoscritto.
“Ah, giovanotto. Faccio un mestiere che lei non immagina nemmeno. Oggi la gente ama gli inglesismi” aggiunge gesticolando all’aria. “E molti che fanno il mio mestiere amano dire editor invece di redattore. Ma parliamo di un mestiere che nessuno conosce, a parte gli addetti s’intende.”

Era il turno della mia di risata sommessa. Ma grazie al cielo non avevo lasciato il mio self-control sul comodino prima di partire per il week-end e sono riuscito a rimanere impassibile, facendo davvero credere al professore – pardon: all’Editor – di non avere la più pallida idea di chi fosse un’editor, di cosa faccia e in cosa consistesse il suo mestiere.
È cominciata così, del tutto inaspettatamente, la mia prima chiacchierata con un’editor. La quale, ci scommetto, sarebbe stata profondamente diversa se avessi davvero avuto l’incauto ardire di rispondere “sono uno scrittore” invece di “mi occupo di informatica”.

Primo atto

“Vede quanti libri ci sono su questa spiaggia?” dice il professore buttando l’occhio qua e là tra gli ombrelloni. “Tre quarti sono schifezze. Ma al pubblico piacciono le schifezze. Le dico per certo che i tre quarti che intendo io non passano più dalle nostre mani, ma passano direttamente al marketing” conclude sottolineando con ironica enfasi l’inglesismo.
Ma tu guarda che strano, penso sarcastico. Non l’avrei mai detto. Ma il professore va avanti a parlare, convinto di rivelarmi verità insospettabili.
“Lei legge?” mi chiede poi improvvisamente. Il suo sguardo inquisitore mi impedisce di pensare anche solo per un attimo di barare.
“Sì, leggo” rispondo con poca convinzione.
“Non abbia paura di dirlo” ribatte. “Pare che oggi gli italiani amino più scrivere che leggere. E la mia scrivania è piena di testi scritti da gente che non legge. E cosa legge, se posso chiedere?”
Grazie al cielo l’occhio mi cade nella borsa da spiaggia di mia moglie dove l’ultimo numero di Le Scienze mi è venuto in aiuto quasi bisbigliandomi la risposta.
“Riviste” rispondo.
“Ah, riviste. È già qualcosa.”
“E su quali libri ha lavorato di recente?” contrattacco io . “Se posso chiedere, naturalmente…”

Secondo atto

Il professore coglie lo sguardo complice della mia domanda come un invito a nozze. E mi snocciola un titolo insospettabile, un titolo che ovviamente, per motivi di privacy – e in tempo di GDPR ancora fresco 😛 – non posso svelare: *’****** *** ******.

Vorrei poter dire che sì, ho letto quel libro, che sì, mi è piaciuto molto, che sì, ho letto diversi libri di quell’autore e che no, l’ultimo libro (molto più recente di *’****** *** ******) mi ha deluso parecchio. Nascondo le mie risposte dietro gli occhiali da sole deciso a mantenere quell’aura di non-amante della lettura che mi sono inconsapevolmente guadagnato.

“Ne ho curato l’attendibilità storica” aggiunge poi il professore. “Ma poi per ragioni economiche mi hanno dati altri incarichi e non ho più potuto lavorare su quell’autore.”
“Economiche?” chiedo.
“Ah, giovanotto. Lei non ha idea di quanto sia infame il mondo dell’editoria.”
Toh, guarda. Altra perla di verità insospettabile, penso.
“Oggi il marketing viene prima dell’editor. Lo sa cosa succede quando un’opera arriva in ufficio? La mettono nel tritanumeri…”
Inarco un sopracciglio.
“Non faccia quella faccia, forse lei ne sa meglio di me visto che si occupa di informatica. Il manoscritto viene analizzato con il computer.”
“Analizzato?”
“Analizzato. In base al formato delle pagine, al numero, al carattere e tutto quanto vengono tracciati grafici relativi ai costi. Così la casa editrice ha subito un’idea attendibile dei costi di stampa, spedizione, distribuzione. Fa proiezioni su proiezioni variando le opzioni di stampa. Le faccio un esempio banale. Se stampasse un’opera di cento pagine ha bisogno di cento fogli. Per un’opera di mille, ne servono mille di fogli. Mi segue? Quindi ho un costo di produzione maggiore.”
“Certo, mi sembra ovvio.”
“Più tutte le variabili del caso. Tipo di carta, rilegatura, copertina flessibile, rigida, brossura, sovraccoperta, banda, eccetera, eccetera, eccetera. Poi fanno i grafici. La tal opera, in centomila copie nel formato “x” costa alla casa editrice “tot-mila” euro. Nel formato “y” costa meno. Calcola il rischio per ogni caso specifico e controllano se tale rischio è in linea con il bilancio previsto per gli anni successivi. Mi segue?”
“Certo.”
“Poi ci sono gli investigatori. Persone che vanno sull’internét a controllare i profili.”

Sorrido. Mi son sempre chiesto perché certa gente d’altri tempi tende a parlare di internet in quel modo: “elle” apostrofo e accento caricato quasi con espressione schifata sulla seconda “e”, più aperta del dovuto.
“Se l’autore ha già un seguito per i fatti suoi, allora guadagna chance di essere pubblicato… E poi l’opera passa ai roditori.”
“Roditori?” domando divertito.
“Sì, roditori. Sono lettori che leggono senza sosta, come topi intorno al formaggio. A volte mi chiedo se leggano col cervello o solo con gli occhi. Sentenziano senza cognizione di causa, giudicano esclusivamente secondo i propri gusti. A quanti è piaciuto questo libro?” conclude scimmiottando.
“I lettori beta…” preciso con illuminazione. Ma mi pento subito di essermi lasciato scappare un termine non proprio in linea con la cultura media di un non-lettore.
“I lettori beta, bravo” mi guarda il professore stranito. “E infine, ma solo alla fine e neanche sempre, si degnano di chiamare in causa gente come il sottoscritto. Caro mio, il mondo si è capovolto. Gente come me ormai è rara. E non lo dico per vantarmi. Sa quanti ce ne sono in Italia?”
“Mille?” sparo.
“Ah! Mille!” sogghigna stridulo.
“Cento?”
“Non arriviamo a trenta. Trenta persone che lavorano alla vecchia maniera, intendo.”
“E quale sarebbe la vecchia maniera?”
Il professore tituba per un attimo. E poi mi chiede: “Qual è l’ultimo libro che ha letto?”

Con cinismo e sangue freddo, calibro la risposta che, per quanto non possa svelare altri particolari sull’identità del professore, mi dà una ragionevole sicurezza di dare una piega interessante all’intera discussione e di destare il suo interesse.

Terzo atto

“Il protocollo ombra” dico. E non è un titolo a caso.
“Il protocollo ombra! Quella è una delle schifezze da spiaggia. E mi dica. Le è piaciuto?”
“A parte i refusi, intende?”
“Lei senza volerlo mi ha citato un esempio di opera che non è neanche passata tra le mani di un editor italiano. Intendo dire dopo la traduzione. Deve sapere che nell’editoria che conta, quella seria, l’editor viene coinvolto anche in fase di traduzione e post traduzione. Cosa che lì non è stata assolutamente fatta.”
Me ne sono accorto alla grandissima, penso.
“Inoltre” riprende “visto che mi cita i refusi, deduco che ha avuto una doppia sfortuna. Non solo ha comprato una schifezza ma si è pure imbattuto nella prima edizione! La seconda edizione, sebbene l’abbiano inserita in una collana bestseller, in realtà l’hanno fatto per correggere l’oscenità di errori di battitura fatti. Forse la consolerà sapere che qualcuno ha perso il posto a causa di quel titolo.”
“Bene. Però, non mi ha ancora raccontato quale sarebbe la vecchia maniera…”
“Ah, giusto. Vuole sapere come faccio io a valutare un testo? Lei come lo valuta prima dell’acquisto?”
“Titolo e trama” rispondo. Con studiata banalità, evito accuratamente di citare la mia abitudine di leggere anche l’incipit.
“L’errore che fanno tutti.”
“Be’, devo solo valutare come investire dieci o venti euro. Lei immagino che deve valutare se far investire tot-mila euro. È una responsabilità diversa. Non trova?”
“Bravo, giovanotto. Devo convenire con la sagacità della sua risposta. Io impiego diversi mesi per valutare un testo. E non lo leggo tutto. Affatto. Per essere bravi in questo mestiere occorre andare oltre i propri gusti. Quindi non mi fermo a titolo e trama. Nemmeno all’incipit. Lei sa cos’è l’incipit, vero?”
Annuisco. Va bene fingere l’ignoranza, ma a tutto c’è un limite. 😛
“Leggo scampoli di dialogo e fine dei capitoli. A caso.”
“E impiega mesi? Non dovrebbe impiegare meno tempo?”
“Lo faccio diverse volte. Ogni volta aprendo un punto a caso del manoscritto. Leggo una porzione di testo, un dialogo, qua e là. E mi segno le impressioni ogni volta. In una parola, sondo il testo. Tra un sondaggio e l’altro, lascio passare del tempo per dimenticare l’impressione annotata ed evitare di influenzare l’impressione successiva. Consideri che applico questo metodo su decine di testi contemporaneamente, quindi ho buone probabilità di dimenticare velocemente.”
“Ha l’aria di essere un metodo ben collaudato. E cosa annota di preciso nelle sue impressioni?”
“Note varie su stile, aspetti, punti di vista, ritmo, credibilità. Cosa migliorare, cosa limitare. Tutti dettagli da sviluppare in un possibile lavoro di editing più approfondito, qualora l’editore decidesse di accogliere il mio benestare alla pubblicazione. Nel mio caso specifico, curo la veridicità di particolari periodi storici. Ma questo è un di più, una mia fisima… Comunque lasci che le dica fuori dai denti un segreto: i migliori redattori sono gli ex-scrittori. Chi non ha mai scritto non può mai essere un buon editor…”

Qui sull’ “internét

Se avete letto tutto d’un fiato fino a questo punto, vuol dire che qui “sull’internét” ho messo bene in pratica i preziosi suggerimenti che ho carpito.

Sto scherzando. Ma “carpito” è il termine adatto: di suggerimenti non ne ho chiesti e non me ne sono stati dati, perché semplicemente mi son guardato bene dal dire che mi diletto in scrittura. Se l’avessi fatto, temo che o’ professore si sarebbe chiuso a riccio. Una cosa interessante, però, me l’ha detta.

“Guardo con molta attenzione la fine di capitoli, che devono essere lunghi il giusto e reggere il ritmo. Apro a caso e leggo sempre gli ultimi due/tre paragrafi di un capitolo, a volte anche solo l’ultimo. Se mi prendono e mi inducono a voltare pagina per leggere il primo paragrafo del capitolo successivo, allora è un bene. E se ciò accade per almeno tre o quattro volte nei miei sondaggi, allora mi convinco di avere in mano un buon romanzo. Ma questa è solo una mia fisima…”

11 commenti su “Editor, quello sconosciuto

  1. Bella zio, quanto avrei voluto essere lì! 😀
    Ammesso che questa non sia pura finzione letteraria, chi lo sa! Almeno, la spiaggia, quella puoi citarla? XD
    Comunque hai risposto esattamente come avrei fatto io, si vede che siamo due informatici (anche se io la parola “analista” non la uso mai, siamo “consulenti informatici” perché non ci limitiamo ad analizzare il dato ma forniamo anche consulenza hardware). E mai e poi mai avrei detto blogger!

    1. Finzione letteraria? Forse sì, nel senso che il personaggio era talmente istrionico che non mi stupirei se fossi stato io stesso la prima vittima di una sorta di alchimia teatrale “live” improvvisata sul posto. Della serie: magari ora lui va raccontando ai suoi amici di aver incontrato un pollo in spiaggia al quale ha fatto credere di essere un pezzo grosso dell’editoria…

      In ogni caso, dalle sue risposte, devo dire che sapeva il fatto suo…
      La spiaggia era quella di Alassio (che non è quella della foto): ma tant’è.

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  2. Wow, Darius, questo è il destino. Perdonami, ma dovevi approfittare, chiedere di più, saperne di più. Tuttavia, da editor o “attore” calato in questo ruolo, mi convince poco il suo metodo di lavoro: da una leggiucchiata di pagine di un romanzo a random che idea ti puoi fare di una storia. Però, colgo l’attenuante: se è una sua fisima… ????

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    1. Metodo opinabile, ne convengo. Tuttavia, dal parlare che mi ha fatto non credo che valuti uno scritto aprendo a casa qualche brano ma qualche decina di brani. Inoltre vista l’età non ho dubbi sul fatto che abbia affinato questa tecnica nel corso di tanti anni. Anzi: visto che ho fatto pure la figura dell’italiano medio-mediocre in fatto di letture, non escludo nemmeno che me l’abbia descritta per sommi capi…

      Dici che avrei dovuto approfittarne? Non saprei. Aveva proprio l’aria malinconica di uno consapevole di appartenere ad altri tempi. Mi ha quasi dato l’impressione di volersi estraniare dall’editoria moderna. Mah.

  3. Il metodo “leggo gli scritti un po’ a casaccio” mi lascia leggermente perplesso, ma ciò che davvero non riesco a capire è per quale assurdo motivo uno scrittore, tenendo conto che chi scrive lo fa innanzitutto per passione, dovrebbe fare quello che dal mio punto di vista è un passo indietro, accettare di diventare un ex scrittore per darsi all’editing di professione.

    La storia del marketing, purtroppo, è una triste realtà editoriale ormai consolidata. Pensa che l’anno scorso mi è stato “rifiutato” un romanzo da un’agenzia letteraria (“Il testo è ben scritto, i dialoghi sono efficaci e non ci sembra abbisogni di interventi. Lo divida in quattro romanzi, ciascuno con finale autoconclusivo, dopodiché potremo parlare di rappresentanza.”) perche ritenuto troppo lungo (a onor del vero un po’ lunghetto lo è) e pertanto troppo oneroso per le case editrici, le quali non investirebbero mai e poi mai una cifra importante per un autore esordiente e senza alcun seguito.

    1. Come dicevo a Marina, il metodo è discutibile anche se non mi è stato propriamente descritto come un “leggere a casaccio”. Va inoltre tenuto presente il contesto della conversazione – una chiacchierata in spiaggia – con tutte le attenuanti del caso.

      Mi spiace per la risposta al tuo romanzo. Sembra che il “tritanumeri” citato dal mio compagno di ombrellone sia davvero una metodologia esistente…

  4. Volendo sostituire ‘casaccio’ con ‘random’ (che se ho ben compreso è pressappoco il metodo adottato dal signore), che sarebbe più sottile, più diplomatico, diciamo, cambierebbe di certo la forma (e con questa l’effetto emotivo), tuttavia lasciando inalterata la tecnica nella sostanza 🙂 E’ chiaro che il nostro ragionamento sia da inquadrare in ottica ‘onda lunga di una chiacchierata in spiaggia’, proprio perché da ciò deriva, e quindi con tutte le attenuanti del caso, come fai coerentemente notare.

    Beh, Darius, riguardo l’esistenza del famigerato, fantomatico tritanumeri, a questo punto siamo in possesso di 2 indizi (la tua chiacchierata informale con il redattore in vacanza e la mia mail di risposta dell’agenzia letteraria); come nella famosa frase fatta, volendo parafrasare, ce ne manca soltanto uno per avere tra le mani una prova…
    Magari potrebbe apportarla proprio Marina, che mi pare di capire sia un’addetta ai lavori.

    1. A parte la descrizione colorita (“tritanumeri”), tipica di chi, specie se di una certa età, vuole tenere una certa distanza dalla tecnologia, ci sta che una qualsiasi impresa faccia analisi prima di decidere per un investimento. Dopotutto, una case editrice è un’impresa e il libro è un prodotto su cui investe. Quello che non mi aspettavo è che certe analisi venissero fatte PRIMA di certe fasi. Ma forse ci sta anche questo, nel senso che al giorno d’oggi certe analisi, specie se automatizzate, si possono fare in tempi brevi. Questa è una mia risposta da informatico… 😛

      Certo: si perde la poesia, perché il “prodotto” libro non è solo un insieme di pagine con parole stampate sopra. A volte è una porta verso un altro universo… e come si fa a quantificare un’universo? 🙂

      1. Effetto della strategica ottimizzazione delle risorse attuata dalle imprese in conseguenza della crisi, credo. Tutt’altro che poetico, ne convengo.
        A farne le spese, ovviamente è “l’altro universo”; il nostro universo preferito, che pertanto diventa un po’ meno infinito. Faremo buon viso a cattivo gioco: la metà di infinito è pur sempre… infinito 😉

  5. Gustosissimo questo dialogo, che in effetti ha qualcosa di “teatrale”.
    Non sai quanto spero di incontrare anch’io un editor magari in spiaggia come è capitato a te. Io lo avrei tempestato di domande, tu appari un po’ reticente, prudente.
    Mi ha colpito il suo modo di valutare un testo. Leggere random piuttosto che tutto il libro, guardare effettivamente con occhio esperto alla tecnica di scrittura. Mi piace assai.

    1. Forse dovevo cogliere l’attimo invece di farmi travolgere dall’imprevedibilità del momento. Ma obiettivamente non avrei avuto molte domande da fare, se avessi voluto entrare nello specifico…

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