Ho installato Instagram sul cellulare. Non posso ancora dirmi entusiasta, ma voglio concedermi altro tempo. C’è un dettaglio che, però, mi ha subito colpito. Entrare nell’app è facilissimo: basta toccare l’icona e accedere. Per uscire invece no: devi cliccare sull’omino in basso a destra (1), cliccare sull’icona con tre righette in alto a destra (2), cliccare sulla voce “Impostazioni” posta in basso (3), scorrere fino in fondo (4), infine cliccare sulla voce “Esci” (5).
E, come se non bastasse, occorre dare pure la conferma (6).

In poche parole: ben 6 (sei) passaggi per uscire dall’app, di cui alcuni non certo immediati. Tuttavia non si tratta di pressapochismo. Anzi, sono convinto che chi ha progettato l’app l’abbia fatto con uno scopo ben preciso: tenere gli utenti sempre connessi.

Iperconnessione

Bella forza! Sembra che abbia scoperto l’acqua calda: è infatti ormai abitudine diffusa avere app social che si connettono automaticamente non appena si accende il telefono. Conosco addirittura gente che il telefono non lo spegne nemmeno di notte, per dirla tutta, anche se alcune persone hanno dei validi motivi.
L’utente medio, poi, è infastidito dal doversi ricordare mille password. E anche se le ricordasse, si annoia in fretta al pensiero di doverle digitare ogni volta. Quindi non ci si dovrebbe stupire se i progettisti hanno fatto un ulteriore passo avanti: dopo aver sdoganato da tempo la famosa spunta “Resta sempre connesso” sulle varie schermate di login che usiamo tutti i giorni, ecco che ora hanno pensato bene di nascondere velatamente le varie funzioni di uscita o di cancellazione account. Che non sono nascoste, sia ben chiaro. Ma bisogna cercarle bene… 🙂

Panopticon

Una volta attivato un account su una qualsiasi piattaforma social, ti compare sullo schermo dello smartphone una bella icona accattivante. Quasi ti fa l’occhiolino. Ci entri in un attimo, ci resti dentro perché non ti ricordi mai tutti i passaggi per uscire 😀 … Poi vedi che tutti condividono tutto. E tu che fai? Non lo usi? Cominci a usarlo timidamente e, guarda caso, ti accorgi di come sia più figo usare le immagini con tutte le varie funzionalità che ti mettono a disposizione: emoticon, gif animate, sfondi, funzionalità video. Ormai la prevalenza dell’immagine sulla parola è cosa assodata: Twitter da anni ha ceduto in questa direzione, consentendo di integrare i suoi cinguettii prima con le foto, poi con le gif animate, infine con i video di 6 secondi (e forse mi son perso qualche dettaglio di questa inesorabile evoluzione). Facebook da diverso tempo permette di usare sfondi colorati e font per rendere anche le semplici scritte e gli aforismi più evidenti e appetibili: d’altra parte, qualcosa si deve pur inventare per rallentare il frenetico scorrere del dito (o della rotella del mouse) verso il basso…
Per non parlare di interi social basati sull’immagine: Instagram, appunto.
Insomma il passaggio dall’iperconnessione a una sorta di limbo panottico dove tutti vedono (e fanno vedere) tutto, è quasi automatico.

Grandi vittime

In questa giostra digitale ci sono vittime illustri. La più fresca è Google Plus, la cui morte assistita è programmata da alcuni mesi e il prossimo aprile ci saluterà, andando a far compagnia a Google Buzz e Google Wave (e chi se li ricorda?). Per non parlare di Microsoft MySpace, autentica preistoria digitale, senza dimenticare Orkut e So.cl, destinati all’oblio prima ancora di godere delle luci della ribalta. Insomma: il cimitero digitale è già ben popolato, con lapidi grandi e piccole. E la prossima vittima illustre, a mio modestissimo nonché altamente opinabile e risibile parere, sarà… Twitter.

Piccole vittime

Ci sono anche le piccole vittime, naturalmente: gli utenti. Ma non parlo del folto popolo di gente che dà in pasto, più o meno inconsapevolmente, ampie fette della propria privacy. Parlo di gente che comunica o tenta di comunicare. I social, come tutti gli strumenti, sono mezzi utili. Basta saperli usare. E basta saper pescare i contenuti giusti e autorevoli. Ma penso che siamo comunque tutti piccole vittime perché, questi benedetti contenuti autorevoli, dobbiamo proprio andare a cercarceli.
Con tanto di rotellina di mouse finché, appunto, non ci stanchiamo di andare giù.
Quanto tempo abbiamo durante il giorno? Siamo in fila alle poste, nella saletta d’attesa del dentista, oppure in metropolitana. Cinque minuti? Dieci minuti? Un’ora?
Ecco: la discriminante è quella. I contenuti autorevoli che possiamo (sperare di) trovare senza troppa fatica sono racchiusi in quei cinque/dieci/sessanta minuti. Poi via: torniamo alla vita reale e alle incombenze quotidiane. E al prossimo giro digitale, altra galoppata social più o meno breve a seconda del ritaglio di tempo disponibile.

Comunicazione casuale

Serve a poco stabilire priorità nelle pagine e nei profili da seguire. Il nostro intento di partenza, senz’altro nobile, è quello di vedere prima certi contenuti rispetto ad altri. Ma per quanto ci si possa impegnare nell’essere selettivi e intransigenti, alla fine i contenuti che ci arrivano sono comunque troppi. Quello che fa la differenza non è più solo l’autorevolezza del contenuto ma anche, ahimè, il momento in cui un utente lo condivide.
Che non è mai il momento in cui qualcuno lo può leggere.
Eccoli lì, dunque, i due protagonisti dei social network: il signor Mittente e il signor Destinatario, uniti digitalmente nel bene e nel male, nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia. Finché rotella (del mouse) non li separa. I contenuti privilegiati sono dunque quelli che vediamo prima di stufarci a girare quella dannata rotellina.

Dunque?

La vita digitale sta diventando sempre più impegnativa, viste le insidie e le noie che porta con sé. Tuttavia, avere una presenza digitale per farsi conoscere, serve: non c’è dubbio. Un sito o un blog è il minimo che si possa fare, indipendentemente dal fatto che ci si dedichi alla scrittura, al giardinaggio o alla cucina. Qualche profilo social, oltre al sito/blog, è vivamente consigliato: una capatina ogni tanto, qua e là sui social, giusto per coltivare relazioni costruttive e giusto per rendersi più facilmente contattabili.
Bisogna però stare attenti a non eccedere e bisogna essere consapevoli che il web non è affatto immutabile. Personalmente diffido di tutti quei sedicenti guru che scrivono di regole auree per fare questo e quello. Ancora più se spacciano tali regole come regole sempre valide.

Doppia vita digitale

Di recente è saltata fuori qualche discussione interessante sull’opportunità o meno di adottare uno pseudonimo con cui firmare le proprie opere. Se ne è parlato sul Taccuino dello Scrittore. Credo che ognuno abbia le proprie buone ragioni per decidere di utilizzarlo o meno. Quello che bisogna tenere ben presente, in caso di pseudonimo, è che la propria presenza social potrebbe raddoppiare. Ma come? Ho sproloquiato finora sulle insidie dei social network e ora…

E ora consiglio di avere una vita digitale doppia. Sì.

Una vita digitale doppia non significa automaticamente doppia fatica: alcuni profili social possono essere fatti solo con la propria identità reale, altri solo per il nome d’arte. Insomma, vita e “pseudovita” (digitalmente parlando, s’intende 😉 ). La pseudovita la si può legare a doppio filo con tutto ciò che riguarda lettura, scrittura e narrativa in genere: sarà estremamente focalizzata su questi argomenti, senza interferenze con la vostra vita reale.

Il vantaggio notevole è la possibilità di dividere idealmente le platee: gli amici e i conoscenti vari tendenzialmente seguiranno la vita digitale (cioè quella costruita con la propria identità reale) come hanno sempre fatto, mentre tutte le conoscenze “scrittorie”, vere o virtuali che siano, seguiranno la pseudovita, focalizzata appunto su lettura e scrittura. E in questa seconda platea, quella legata appunto allo pseudonimo, finiranno i lettori, i potenziali lettori, i fans e i simpatizzanti di ogni sorta. Ne deriva quindi un secondo vantaggio, a mio parere notevole: tutte queste persone riceveranno solo notizie legate alla vostra scrittura.

Avere invece un’unica vita digitale in cui mischiare la vita reale e la vita “scrittoria” è inevitabilmente un’arma a doppio taglio: ogni volta che infatti si manifesta un parere in merito a qualsiasi cosa (notizie d’attualità, eventi, iniziative) si corre il rischio di perdere lettori. Per non parlare poi di quando si esprimono simpatie filosofiche, religiose, politiche, sportive. Certo, si possono guadagnare anche fette più o meno ampie di pubblico ma, dopotutto, bisogna piacere per ciò che si scrive, non per le proprie idee.

 

16 commenti su “Finchè rotella non vi separi

  1. Tu concludi dicendo: bisogna piacere per ciò che si scrive, non per le proprie idee.
    Giustissimo, ma io non ci riesco. Ipotizzo: autore X ha scritto un libro che incontra il mio gusto, valuto l’acquisto poi lui esprime opinioni favorevoli a Casa Paund (che manco so se si scrive così) ciao acquisto, non lo compro più. Mi spiace non riesco a scindere autore e persona, per questo sono contraria ai Nick, io sono molto attiva su Writer’s dream, ieri sono stata contattata in privato da una utente del Forum e tra le varie cose mi ha scritto “credo di averti riconosciuta, sei Sandra, leggo sempre il tuo blog” sai che ero persino contenta?
    E poi vabbe’ non sono su FB, nè Instagram.

    1
    1. Concordo. È difficile scindere autore e persona: ma questo è un ragionamento che facciamo noi da lettori. Seguiamo un autore, lo leggiamo, ci piace, ma poi veniamo a sapere qualcosa che ci disturba e… puff! Fine dell’incantesimo.

      Tu hai citato un esempio estremo: cioè quello di un orientamento politico, che trovo comprensibile.
      Ma ci sono cose molto più frivole per le quali si perdono (o guadagnano) lettori, indipendentemente dalla propria scrittura.
      Un autore si dice vegano? Ecco che i vegani lo sostengono, mentre i non-vegani lo osteggiano. Fa niente se questo autore scrive opere fantasy che non centrano nulla con le sue convinzioni alimentari.
      Un autore si dice tifoso romanista, interista, juventino? Be’, c’è gente che si fa influenzare da queste frivolezze.
      Commetti la leggerezza di esprimere un parere vax o no-vax? Tav o no-Tav? Tap o no-Tap?
      Tutte opinioni reali che una persona può legittimamente avere e che, in qualità di autore, rischia di pagare care.

  2. La vita si sta facendo sempre più complicata grazie a tutto questo. Io comincio a esserne stanca e sempre più spesso ho voglia di staccare tutto, ma poi vengo come risucchiata di nuovo. E pensa che non ho uno smartphone, figuriamoci se ce l’avessi…
    Per la divisione in due profili, capisco il principio e lo trovo giusto, ma per me corrisponde sul serio a una doppia fatica. Te lo dico perché dieci anni fa quando mi sono iscritta a FB avevo appunto due profili, uno per le attività scrittori/blog, l’altro per quelle private. Alla fine ne ho eliminato uno, perché stava diventando troppo complicato da gestire. E chi mi conosceva nella vita reale mi diceva: ma perché non posti nulla del tuo blog? Sembrava quasi che lo facessi per tenerlo segreto ai loro occhi.
    In merito invece all’ultima cosa che dici, ovvero al piacere per ciò che si scrive, la questione è delicata. Infatti sto scrivendo un post in questi giorni che parla anche di questo. In sintesi ti dico che sarebbe vero in teoria, ma non lo è in pratica. Autore e libro molto spesso finiscono con essere facce della stessa medaglia. A volte è un bene, altre no.

    1. Forse dieci anni fa era più difficile gestire due profili, rispetto a oggi.
      Che fa molto è anche la mole di contenuti che si vogliono creare, gestire e condividere: per farti un esempio, io su FB con la mia identità reale scrivo pochissimo, a parte qualche battuta goliardica a sfondo calcistico. Per il resto distribuisco solo “mi piace” e auguri di buon compleanno. FB lo uso molto di più lato pseudonimo.

      Twitter ce l’ho solo come pseudonimo.
      Instagram ce l’ho solo come identità reale perché lo sto studiando per lavoro (sigh, mi tocca…).
      Il sito web e i blog, poi, li ho solo per la scrittura mentre a livello “personale” (intendo dire per la mia vita reale) non li ho.

  3. Hai installato Instagram sul cellulare solo perché ci ho creato io un nuovo profilo?!
    Sto portando troppa gente alla perdizione… 😀 😀 😀

    Nemmeno io mi dico entusiasta. Già solo alla registrazione, mi hanno bloccato l’account sul mio indirizzo email. E non ti dico che trafila per sbloccarlo e dirgli che sì, io sono io, con quella faccia lì, quel nome e cognome lì e quell’indirizzo mail lì. Sul nome e cognome capisco la diffidenza, ho omonimi pure in politica, ma sulla faccia e sull’indirizzo no!! 😀
    (Pensa in caso di pseudonimo che confusione! Io sono io, però sono anche quell’altro io 😉 )

    Non parliamo poi dell’assistenza. Credo siano dislocati su Goblin, dietro a Plutone, perché parlano proprio un’altra lingua e non capiscono nemmeno le locuzioni più elementari, nemmeno nell’inglese informatico. Non oso pensare da dove arrivino i loro sviluppatori. Non mi stupiscono le 6 conferme per uscire dall’app, dato che ci ho messo 7 giorni e 11 mail per entrarci!

    Tornando però al punto focale del post, la doppia vita digitale.
    Vogliamo davvero credere che basti uno pseudonimo? Proprio tu? Non ti ricordi di quello là, che si spacciava per quell’altro là, e alla fine era solo quello lì? 😉
    La doppia vita digitale la puoi fare anche utilizzando i filtri di sicurezza che ogni social network mette a disposizione. Ah no, Instagram no, a conferma che allo stato attuale è na ciofeca.
    Cosa sanno i miei lettori di me, se non solo quello che decido di esporre? Anni fa i parenti mi accusavano di raccontare i fatti miei in rete (loro che la rete non la sapevano usare) e oggi che gli piacerebbe tantissimo sapere i fatti miei si sono accorti, avendo imparato un pochino ad usarla, che in rete non c’è proprio nulla della mia vita tripla carpiata 😀
    Bisogna piacere per ciò che si scrive, peccato che quel che si scrive derivi in gran parte anche della nostre idee e dal nostro vissuto. E quindi…

    PS. Lo smartphone lo spengo ogni sera. E la mattina alla riaccensione trovo che qualcuno alle 2.00 (Rome GMT) mi ha scritto: Where are you?? E quando sono di nuovo le 2.00 (LA GMT): Falling in love with the pillow… I’ll win the nap Challenge! 😀

    1. Per carità, lasciamo stare quello, quell’altro e quell’altro ancora. Che poi è sempre lo stesso. 😉 Lascia che dorma il sonno dei giusti… 😛

      Quanto a Instagram, in realtà l’avevo installato qualche mese fa per lavoro, come dicevo poco sopra a Maria Teresa. E quindi ho dovuto farlo con la mia identità reale. Non saprei che farmene lato scrittura. Però aspetto che matura un po’, non si sa mai…
      E poi non posso mollarlo proprio ora: son seduto in poltrona con il secchiello di pop-corn ad aspettare che Webnauta tiri fuori i conigli dal cilindro! 😀 😀 😀

      Io lo smartphone lo tengo spento perché non lo sentirei e perché una volta mi è suonato alle 1.30 (ero ancora sveglio). “Mi scusi, ho sbagliato numero….” Mavvafanggg@@@

  4. Hai fatto bene a estendere la discussione anche qui, a proposito dello pseudonimo che aiuta quando l’intento è quello di focalizzare l’attenzione del pubblico su ciò per cui vuoi che ti conoscano. Nel nostro caso è la scrittura e, per certi versi, ti do ragione: spesso la vita reale di una persona mi condiziona e, invece, se è un valido scrittore (e il mio interesse è solo questo) non dovrebbe fregarmi nulla se è uno che vota a destra o a sinistra, per dire.
    Comunque, gestire l’attività sui social è impegnativo: io sono su Fb e Tw, (fortunatamente Google Plus sta chiudendo: ero pure lì, ma dei tre era il più inutile) e sono ipresente in entrambi, mi verrebbe da dire, con ruoli diversi: su fb cazzeggio e mostro il mio lato scrittorio, pubblicizzo i post del mio blog, quelli interessanti di altri siti; su Tw faccio la lettrice prevalentemente, condivido citazioni, leggo con il mio gruppo di lettura. Ho impostato in questo modo la mia iscrizione sui social e, per ora, mi sta bene così. Impensabile rivolgermi al pubblico di Instagram (mio figlio insiste, ma non sono conquistata da un terzo account in rete)
    Poi, è vero quello che dici: per beccare post interessanti su fb devi scorrere e scorrere e scorrere… e il tempo è quello che è, le cretinate sono tante, l’altro da fare non manca.

    (Grazie per avere ricordato la mia riflessione sullo pseudonimo: … sono ancora qui che rifletto, io!) 😉

    1. Le riflessioni sul tuo blog non sono mai banali e anche se non commento tutte le volte, non mi passano mai inosservate… 😉

      Quanto a Instagram, se non fosse stata per una questione di lavoro, credo che anche io l’avrei schivato abbastanza agevolmente.

      …che poi, gira e rigira, i contatti che trovo su Instagram sono gli stessi che ho su FB: sembra sempre di andare a una festa con l’intento di conoscere nuova gente e poi trovi sempre gli stessi amici! 😀 😀 😀
      Ha un che di comico, questa dinamica…

  5. Non partirò per la morte assistita da Google + un social che non ho mai capito. Mentre Twitter mi parrebbe un peccato perderlo, personalmente lo uso per informarmi. Instagram ancora non l’ho capito. Lo uso ma a mio avviso non come dovrei. Ci vuole una laurea per maneggiare in modo corretto i social. Faccio del mio meglio per imparare ma è dura.

    1. Sento che è molto diffusa questa cosa di non patire lo spegnimento di Google+ .

      Twitter e Instagram invece sono in rotta di collisione: volendoli ridurre alla loro essenza più estrema, basta guardare il tipo di post che permettono di fare: cos’è un post su Twitter? Una frase con un’immagine opzionale. E un post su Instagram? Un’immagine con una frase opzionale.
      Dove sta la differenza sostanziale? Non c’è.

      La differenza strutturale, se così possiamo chiamarla, è invece notevole: Instagram ha alle spalle Facebook e Twitter no.
      Per questo motivo non so fino a che punto Twitter potrà reggere il confronto.
      Parere personale, ovviamente.

      Alla fine, saper maneggiare i social comporta anche saper fare questi ragionamenti “lungimiranti” per capire dove investire il proprio tempo.

      1. Certo Darius se le cose stanno come dici ha senso puntare su Instagram, social molto familiare ai più giovani, capace di rendere popolari perfetti sconosciuti. La differenza è però sostanziale : su Instagram le fotografie devono essere accattivanti, l’immagine è tutto. Su Twitter è ancora il contenuto verbale a farla da padrone. Comunicazione visiva Vs verbale. Chi vincerà?

  6. Nuova veste grafica? Rilancio sul mercato o compensazione affettiva? 😀 😀 😀

    Pirlate a parte, se bazzichi Twitter per un po’ ti renderai conto che non ce verso che diventi l’ennesima vittima sacrificale predestinata di Zuckerberg, per 2 (validi?) solidi motivi:

    1) è un canale di informazione immediata e aggiornata in VERO real time che trova e troverà sempre pubblico in cerca di informazioni e aggiornamenti;

    2) è una piattaforma di microblogging, molto meno impegnativa di un blog e di immediato apprendimento frequentata da una VERA marea di gente che muore dalla voglia di fare blogging e di comunicare al mondo il proprio pensiero.

    C’è da dire che essendo assai dispersivo Twitter non raggiungerà mai il successo ottenuto da fb.

    1. Come dicevo poco sopra a Elena, Instagram e Twitter mi sembrano uno il clone dell’altro.
      Solo che Instagram ha alle spalle Facebook.
      Sul fatto che sia dispersivo è senz’altro un grande difetto ma, volendo ben guardare, è un difetto che accomuna tutti i social network.

      1. Instagram però, a differenza di Twttr che è nazional-popolare, è più roba da vipppsss e fighetti, che sono pur sempre una minoranza (anche mentale nel caso di qualcuno).
        Aspetterei ancora a inviare il telegramma di condoglianze alla vedova passera 😀 😀 😀

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