In questi ultimi anni ho collezionato una lunga serie di trame deboli nelle mie avventure di lettura. Potrei sfoggiare un lungo elenco e una serie di puntualizzazioni. Dopo aver stropicciato il naso per la trama debole di Mary, dopo aver inarcato il sopracciglio per la trama debole di Joel, sarebbe il turno della trama debole di Philip. Ho avuto il piacere di leggere La svastica sul sole, di Philip Dick. Ma il piacere va tutto (ma proprio tutto) al supporto delle temerarie compagne d’avventura: Marina e Barbara. E’ solo grazie al lungo scambio di mail che abbiamo avuto durante la lettura, che ho potuto proseguire. Grazie alle battute, alle osservazioni, alle rispettive perplessità e all’unanime stroncatura finale. Marina ne ha fatto un post egregio che si può leggere qui.
Se non fosse stato per loro, mi sarei fermato al capitolo cinque, in tempo per procedere alla pratica di restituzione.
Romanzo semplicemente privo di senso, con personaggi e vicende del tutto sconclusionate, surreali, grottesche, strampalate. Sfido chiunque, specialmente chi pensa sia un capolavoro, a provare a convincermi del contrario. Prego: la sezione dei commenti è sempre aperta. Scrivete o ignorate, ma, se scrivete, siate convincenti.
Senza prendere spunto da intellettuali o critici di varie levature, come Luigi Bruti Liberati nella cui postfazione dell’edizione che ho letto parla di “trovate geniali dell’autore” che francamente non trovo affatto geniali. Se questo è un genio, allora ci accontentiamo davvero di poco o nulla.
Perplessità
Lasciando al post di Marina tutte le mie perplessità, a questo giro ho cominciato a chiedermi in realtà un’altra cosa. Com’è possibile che un autore mediocre qualunque, per non dire scarso e privo di fantasia, diventi un autore best-seller, un classico, un cult e così via? Davvero basta il classico “film tratto da” per farlo diventare uno Scrittore con la “S” maiuscola?
Philip Dick, per chi non lo sapesse, è stato proiettato nell’olimpo degli scrittori dopo che, da uno dei suoi romanzi, è stato tratto il film Blade Runner. Un film che, sì, effettivamente ha avuto un successo enorme. Ma il punto è proprio questo: chi è il vero genio? Chi ha costruito il film “tratto da”? O chi ha scritto il romanzo? Se ne trovano a bizzeffe di film notevoli “tratti da” o “liberamenti ispirati da”. E spesso vengono da romanzi e autori sconosciuti.
E poi: ammesso (e non concesso) che il romanzo in questione sia anch’esso un capolavoro, com’è possibile che automaticamente si tenda a pensare che tutti i romanzi dell’autore in questione siano capolavori?
Riflessione
Comincio a pensare che forse non sia più una questione di trame deboli messe insieme dal tal scrittore. Forse l’anello debole della catena sta in chi legge, in chi decreta che un certo romanzo sia degno di nota. In chi, in modalità “pecora che segue il gregge”, tramanda questa idea, spesso senza nemmeno aver letto il romanzo. Comincio a pensare che l’anello debole siano gli editor, gli editori, i curatori, i signori dell’editoria che nell’arrabattarsi alla bell’e meglio per vendere di tutto di più, in ogni epoca, facciano passare cani e porci. (Questa frase l’ho barrata perché ne sono già convinto…)
Se tutti dicono che la tal opera è un capolavoro, quindi “per forza” è un capolavoro.
Alla fine il capolavoro non è l’opera, ma l’incantesimo che fa credere che l’opera sia un capolavoro.
Ripeti all’infinito che è un capolavoro, e la gente crederà che sia davvero un capolavoro. Se poi arrivi tu, lettore qualunque, e dici che è un romanzo pessimo, sei tu che “non capisci”, sei tu che “non cogli”.
Ecco, sì: certi romanzi è meglio non coglierli.
Lasciateli lì, sugli scaffali delle librerie, finché non diventano carta da macero.
Finale alternativo
Alla fine, scherzando, tra le conclusioni del nostro scambio di e-mail, Marina e Barbara mi hanno buttato lì l’idea di scrivere un finale alternativo. Era una trappola: lo sanno che non sono bravo in queste cose. Però, ammetto di aver pensato per un attimo di cogliere la sfida. Ma poi ho rinunciato: di solito i finali alternativi ti vengono quando apprezzi un romanzo piacevole. Un romanzo che magari ha un finale aperto, oppure un finale “sbagliato”, che poco si addice all’intreccio.
Qui è tutto il romanzo a essere “sbagliato”.
Post Scriptum (irriverente)
Spulciando qua e là tra le notizie sulla vita di Philip Dick, pare che abbia avuto una vita difficile, arrivando a fare uso di droghe come LSD. Non amo fare battute sulle disgrazie altrui, però il diavoletto sulla mia spalla sinistra ha sentenziato malignamente: “Neanche con il doping è riuscito a fare di meglio!”.
Frase irriverente.
Però non fa una piega.
Ecco. E io che speravo di poter dare un senso a questo romanzo almeno con un tuo finale alternativo! Durante la lettura condivisa, avevi già buttato là qualche idea brillante, per sistemare i pezzi sparsi seminati a caso (o a …Dick! 😛 ) dall’autore. Fino all’ultima riga ho sperato di trovarci un senso, e invece no. Mi resta da provare la serie tv su Amazon Prime, The Man in The High Castle. Anche di quella ho sentito meraviglie, ma chi ci crede più?!
Davvero hai trovato brillanti le mie idee sul finale alternativo? Troppo buona. Se davvero uno scribacchino qualunque può dare un senso a un romanzo così “osannato”, allora c’è qualcosa di grosso che non funziona in tutto il sistema. Mah!
Quanto alla serie tv, anche io ho pensato di dargli un’occhiata. Ma se dovessi farlo lo farei solo per il gusto di dare un volto ai personaggi e di vedere se mi sono immaginato bene le ambientazioni. Potrebbe anche succedere che la serie tv sia una cannonata, ma anche qui torniamo al discorso che ho accennato nel post: stiamo parlando di un qualcosa “liberamente tratto da”? Allora i meriti vanno al regista e agli sceneggiatori, non più all’autore.
Io sono un caso clinico: quando abbiamo finito di leggere questo romanzo? Non più tardi di una settimana fa? Ebbene, io ho già dimenticato tutto e mi sono pure arrabattata a scriverci un post! Non penso che vorrò rimediare guardando in tv la serie. Per il resto penso che se ha avuto il successo che ha avuto, evidentemente ha significato qualcosa per qualcuno, probabilmente nelle epoche di riferimento e se editori, editor e tutta l’allegra brigata ha spinto perché questo romanzo diventasse un best seller vuol dire che hanno fatto bene il mestiere che compete loro. Siamo noi lettori da pigliare a legnate: ci facciamo ingannare dal sentito dire, dalla fama conclamata, dai premi vinti… No no, noi no, gli altri lettori! 😀 😀
Probabilmente anch’io tra qualche tempo dimenticherò tutto. D’altra parte, tendo a ricordare meglio le letture belle e avvincenti… Esisteranno sempre lettori che si fanno abbindolare dai mestieranti della vendita. E continueranno a esistere pseudo-lettori che grideranno al capolavoro del Dick senza capirlo e magari senza leggerlo veramente con spirito critico…
Ciao Darius. Beato te che ti appassioni ancora alla letteratura
“Esisteranno sempre lettori che si faranno abbindolare . . .”
– E guai a farceli mancare. MI verrebbe da dire in veste di editore.
Ma allora come si può capire e valutare la qualità letteraria?
Scrissi qualcosa qui :
https://arteeordineanarchico.blogspot.com/2021/07/prima-parte-di-questa-serie-di-post-i.html
Il Dario in questione naturalmente non sei tu.
Ad oggi nessun parere mi ha fatto cambiare idea. Al contrario, ricevetti parecchi ringraziamenti per il pezzo. La questione a me sembra chiara.
Ciao Fabio. Mah, che dire? Definire “letteratura” il romanzo in questione direi proprio di no. Direi più “spazzatura”, che “letteratura”. E non solo per una facile rima… 😉
Ho letto il post che mi hai linkato ma sinceramente non colgo il nesso. O meglio: ho capito il senso del tuo post di allora, e capisco il sotterfugio che fanno alcuni (molti? tutti?) gli editori per trarre un facile guadagno da un’opera dallo spessore sostanzialmente inesistente.
Apro una parentesi (
Tu hai descritto questo sotterfugio in riferimento a un’opera self, ma è innegabile che lo si possa applicare anche a un’opera non-self. Altrimenti come si spiega la squallida mediocrità della maggior parte dei libri (non-self) che si trovano in vendita nelle librerie?
Quindi self o non-self non cambia nulla: parliamo semplicemente di “autore esordiente”. Che un qualsiasi editore può prendere a cuore per un qualsiasi motivo di simpatia.
) chiudo la parentesi.
Penso che la qualità letteraria la si può capire e valutare in base alla soddisfazione del pubblico: se su 1000 lettori, 998 restano soddisfatti, allora l’opera è buona. L’autore è capace. E’ probabile che le sue opere verranno ancora lette dai 998 lettori soddisfatti, che saranno pronti a comprare i romanzi successivi proprio perché soddisfatti.
Romanzo dopo romanzo, l’autore da “capace” diventerà “apprezzato”. Le sue opere da “buone” diventeranno “garanzia di qualità”. Ogni volta che esce un suo nuovo romanzo, i lettori, memori delle opere precedenti, si precipiteranno a comprarlo.
Questa per me è “qualità letteraria”. E la si costruisce nel tempo.
Non è “qualità letteraria” un qualcosa che il tal critico esalta secondo suoi metri di giudizio aulici. E questo è quel che a me è successo con Dick: l’ho letto per una proposta di lettura condivisa, ma avevo delle aspettative vista la fama pompata dalla critica. Fama ingiustificata, autoreferenziata: “tutti dicono che è un capolavoro, quindi è un capolavoro”.
No.
Per me non è un capolavoro.
Per me è spazzatura.
Molto peggio di certi self-publisher.
A me sembra che il nesso l’abbia inteso bene, gentile Darius. Quella del self è un esempio, ma ti garantisco – e dimostro – che il mondo dell’arte non è immune da tali, collaudati ‘sistemi’. se poi vogliamo estendere il concetto posso garantirti e dimostrarti con cognizione di causa, che purtroppo perfino il caso mediatico covid non è che la messa in atto degli stessi criteri, degli stessi paradossi presenti da tempo anche e soprattutto nel mondo della sanità, che la gente non riesce a cogliere del tutto. Purtroppo per me, il risveglio della coscienza è stato durissimo, il lavoro che avevo scelto di fare si è rivelato un colossale imbroglio, per effetto del quale le persone credono di esser curate, mentre in realtà vengono solo incanalate in un percorso che si propone fini ben diversi da quelli attesi, da quelli fintamente subordinati a un ippocratico codice di valori . Il professor Israel, al quale ho dedicato diversi post, è un matematico di riconosciuto merito e scarsa fama, che aveva compreso tutto, aveva intuito e dimostrato l’origine dell’inganno, dove comincia e come si sviluppa. Peccato che è passato a miglior vita, col lavoro lasciato a metà. Vi sono altri intellettuali perfettamente preparati sulla materia ma , guarda caso, negli ultimi tempi sono scomparsi dal circo del mainstream, che non li approva, non li ama. Poi abbiamo Jung messo al bando dalle scuole e ancor più dalle accademie. Chiunque si pronunci riguardo la possibilità di discriminare la realtà attraverso l’analisi, comprenderla a fondo, viene in qualche modo silenziato, democraticamente marginalizzato. Non stupisce che un giovane colto come te dichiari tranquillamente che la qualità la fa l’approvazione, il consenso. Dimenticando che il consenso e il gusto poggia su criteri selettivi, che vanno continuamente allenati e dei quali spesso non abbiamo alcun sentore e rispetto. Caro Darius, la ‘qualità’ di un opera non la fa, dunque, il pubblico pagante, più spesso invece, senza nemmeno rendersene conto, la subisce. Non voglio annoiarvi oltremisura , ora taccio