Non ne avrei dovuto parlare. Non era previsto. Non lo volevo e, soprattutto, non lo meritava. Dopo le trame deboli (di Mary, di Joel e di Philip), avrei dovuto “omaggiare” la trama debole di Cixin Liu?
No.

Avevo deciso di non farlo per un motivo molto semplice: non si tratta di una trama debole, ma di una trama molto ma molto fragile, la cui fragilità è però abilmente nascosta da una spessa aura di scienza. Sembra quasi che l’autore abbia voluto esagerare con la scienza, come se “tanta scienza” = “tanta autorevolezza”. Ma gratta, gratta, sotto così tanta, a volte troppa scienza, la logica di fondo non regge.

Non dovevo parlarne, dunque. Ma, leggendo la rubrica I bastioni di Orione sull’ultimo numero de Le Scienze (numero 670 per chi volesse approfondire) mi sono un po’ indispettito. Ed eccomi qua, non con la solita “trama debole” ma con il problema dei tre porci.
Il che, scritto per inciso, non è un grossolano errore di battitura: sono le tre esclamazioni che ho fatto leggendo quel libro lì. Lo stesso citato nella rubrica.

Quella che segue non è una recensione ma uno spoiler a tutto spiano: rivelerò ampie parti della trama, esattamente quelle che mi hanno fatto esclamare “Porcamiseria!”, “Porcavacca!” e “Porca di quella pu…zzola!”. Ecco spiegato il “mio” problema dei tre porci.

Quindi se qualcuno ha intenzione di leggere il romanzo, si fermi qui e non prosegua oltre: lettore avvisato, mezzo salvato.

Porcamiseria!

Un vizio di fondo che ho ravvisato nel leggere questo romanzo è quello che io considero una sorta di velato “antropocentrismo”, cioè il fatto di pensare che una possibile civiltà aliena sia simile alla nostra.

Quando dico “simile” non intendo dire strettamente umanoide, ma intendo simile a noi culturalmente e socialmente. In altre parole, perché dobbiamo pensare che anche le civiltà aliene abbiano un re, un imperatore, un capo, una classe di sacerdoti/scienziati, e via dicendo?
Perché dobbiamo pensare che abbiano un modo di comunicare simile al nostro, con messaggi che presuppongono una predisposizione mentale simile alla nostra?

Niente. I messaggi rimbalzano con facilità da una civiltà (la nostra) all’altra, senza grossi problemi di traduzione, di possibili incomprensioni, di probabili malintesi in quelle che noi chiameremmo interpretazioni semantiche.

Porcavacca!

Altro stereotipo, quasi scontato: naturalmente, la civiltà extraterrestre è  “tecnologicamente avanzatissima”. Poteva essere altrimenti? Sorvoliamo su quest’altro cliché.

Ci sono però alcuni piccoli dettagli su cui mi risulta un po’ difficile sorvolare. Cito Michele (il curatore della rubrica) per ricordare che la civiltà aliena è in grado di

“trasformare protoni in supercomputer intelligenti in grado di comunicare tra di loro tramite effetti quantistici. Qui Liu si sbizzarrisce con l’immaginazione ma non rinuncia al suo approccio rigoroso: pagine e pagine per raccontare la creazione di questi sofoni, gli esperimenti falliti, la teoria su cui si basano. Non si accontenta di ammantare di scientificità le invenzioni più fantasiose, ma fa grandi sforzi per renderle plausibili”.

Ora, caro Michele (e cari tutti quelli che fanno “Oh”…”) ci sono alcune cosette da considerare prima di parlare di “approccio rigoroso” e di “rendere plausibile” qualcosa.

Primo: nel romanzo, Liu trita i maroni al lettore dicendo che questi alieni dominano almeno sette o otto dimensioni della materia, mentre noi terrestri, poveri sfigati, riusciamo al massimo a dominare tre dimensioni, quattro considerando anche il tempo. Però, questi alieni, nonostante tutto, sono “spaventati” dal nostro progresso scientifico, temono di essere superati nell’arco di un paio di secoli (che poi: perché contano il tempo come noi?) e quindi optano per offuscarci la mente attraverso i loro protoni-sofoni… Mi sembra un po’ tirato come ragionamento. Potrei (e dico “potrei”) accettarne l’originalità, ma pensare a questo approccio come qualcosa di “plausibile” proprio no.

Secondo: se davvero questi alieni sono in grado di dominare sette o otto dimensioni della materia, dovrei presupporre che abbiano conoscenze di matematica enormemente più avanzate delle nostre.
Quindi: possibile che non siano riusciti a risolvere il problema dei tre corpi? Eh, sì, perché alla fine il problema dei tre corpi è sostanzialmente un problema matematico. Per noi, terrestri sfigati, è irrisolvibile, ma per gli alieni che riescono a “trasformare un protone in un supercomputer intelligente”, dominando dimensioni della materia che noi umani non riusciamo neanche a immaginare, il problema dei tre corpi dovrebbe essere una bazzecola.

Porca di quella pu…zzola!

E sulla Terra? Abbiamo qualche strafalcione anche qui, naturalmente.

Tanto per cominciare, buona parte della storia è ambientata presso un radiotelescopio in Cina, dal quale viene appunto spedito il messaggio iniziale che verrà recepito dalla civiltà aliena. Si innescano una serie di dinamiche che non sto a raccontare, ma a un certo punto un magnate miliardario decide di costruire un secondo radiotelescopio più grande su una nave portacontainer. Una di quelle navi gigantesche, insomma.

Ora: io non sono un astrofisico, non sono un astronomo, non sono uno scienziato, ma se c’è una cosa di cui ha bisogno un enorme radiotelescopio per funzionare regolarmente… è la stabilità. Deve essere fermo e saldo per essere sintonizzato e puntato su piccolissime porzioni di cielo. Ci sarà un motivo se i radiotelescopi vengono costruiti in cima alle montagne.  Mi riesce difficile immaginare questo enorme radiotelescopio a bordo di una nave, in balia delle onde.

Apoteosi dell’orgasmo scientifico-narrativo

E la scena nello stretto di Panama? Vogliamo parlarne? Parliamone, così diamo un senso anche all’immagine del post.

L’intreccio del romanzo impone che la nave gigantesca in questione, a un certo punto, debba essere distrutta in un modo molto particolare mentre passa attraverso lo stretto di Panama. La procedura di transito prevede che il passaggio avvenga con una velocità molto lenta. In questo frangente, per distruggere la nave, si decide di “affettarla” in tutta la sua lunghezza con (sigh) “lame nanotecnologiche” dello spessore di qualche atomo. Al lettore viene quindi descritta questa enorme e invisibile ghigliottina, ma riporto il brano originale:

La Giorno del Giudizio era proprio sotto di loro, adesso, e stava per entrare in contatto con la cetra letale. Quando la prua toccò il piano immaginario tra i due tralicci, quello spazio in apparenza vuoto, Wang si ritrasse nelle spalle. Ma non accadde nulla. L’immenso scafo della nave continuò a scivolare in mezzo alle due torri d’acciaio. Metà del bastimento era ormai passata, e Wang cominciò a dubitare della reale esistenza dei nanofilamenti. Ben presto, però, un piccolo segnale fugò ogni suo dubbio. Notò che una piccola antenna, piantata sulla cima estrema della sovrastruttura, si ruppe alla base e ruzzolò di sotto. […] Dopo che la poppa ebbe superato i tralicci, la Giorno del Giudizio continuò ad avanzare alla stessa velocità, come se tutto fosse nella norma. […] Wang udì che il suono del motore si tramutò prima in uno strano lamento, poi in un fracasso assordante.

Ora, dico. Non mi capita tutti i giorni di affettare una nave così grande, ma basta un piccolo esperimento mentale per capire come questa scena non possa stare in piedi.

Immaginiamo di dover affettare una baguette per la lunga. Se lo facessi di colpo con un colpo di ketana giapponese come Ghemon, ho una ragionevole certezza che la baguette resti intatta, benché tagliata in due per la lunga. Colpo secco e fulmineo, assestato con precisione chirurgica in una frazione di secondo.

Se tagliassi la mia baguette molto lentamente (esattamente come la nave che passa lentissima lungo lo stretto di Panama), mi aspetterei di vedere, mentre taglio, briciole di pane che cominciano a sfaldarsi lungo la lama, man mano che procedo per tutta la lunghezza. No?

Tornando alla nave, questa passa attraverso le “lame” come se nulla fosse, le attraversa per intero rimanendo tagliata ma, stranamente, non imbarca acqua, rimane intatta, cade una piccola antenna (ma non il radiotelescopio gigantesco…), il motore “esplode” solo dopo che “la poppa ebbe superato i tralicci”. Che poi, come possa una “lama” dello spessore di pochi atomi non venire spezzata dagli ingranaggi del motore di una nave mentre questi girano, resta davvero un mistero.

Ecco quindi servita l’apoteosi del non-senso. Un chiaro esempio di come un autore si faccia prendere dall’orgasmo scientifico-narrativo. A cosa serve “ammantare di scientificità le invenzioni più fantasiose” (per usare le stesse parole di Michele della rubrica…), quando, sotto sotto, si perde di vista il minimo buonsenso pratico?

Il successo della serie tv

Eppure la serie su Netflix pare sia un successo. Come è possibile? Semplicissimo: cito di nuovo Michele, il curatore della rubrica. La serie di Netflix è stata

diretta dai registi del Trono di Spade, che hanno trasferito buona parte dell’azione dalla Cina all’Inghilterra, riscritto diversi personaggi, accelerato il ritmo e diluito parecchio la componente scientifica.

Grazie tante.
Praticamente hanno tenuto solo il titolo.

4 commenti su “Il problema dei tre porci

  1. Io la serie di otto puntate l’ho vista in venti giorni: no, per dire che io e mio marito dividevano la singola puntata (più o meno di quaranta minuti) in due anche tre parti, tanta era l’attenzione! In pratica, dopo dieci minuti di film andavamo a coricarci gonfi di sonno. E ti ho detto tutto!
    Forse con la fantascienza occorre rinunciare al cavillo ragionevole, la fantascienza deve fare scroscio, quindi anche esagerare, ma lo dico dal basso della mia indifferenza verso un genere che non pratico.
    Comunque grazie per avere chiarito meglio la faccenda, se non altro hai chiarito anche a me le idee 🙂

    1. Be’, tecnicamente anche Crichton avrebbe “esagerato” con la fantascienza riesumando nientemeno che i dinosauri. Ma lui ha esagerato con stile, rendendo plausibile (lui sì!) ciò che non lo è. Davanti a questi artisti rinuncio volentieri al cavillo ragionevole… 😉

  2. E pensa che poteva essere peggio, poteva diventare facilmente Il problema dei quattro porci, se ci aggiungevano anche il Porca paletta! XD
    Ma parliamo degli altri tre. Sul primo, l’antropocentrismo (adesso so che termine usare, grazie!) è una cosa che, da profana della fantascienza, ho sempre notato anch’io. Mi sono detta: probabilmente l’uomo è limitato nella sua fantasia e non riesce a concepire qualcosa di realmente diverso. Però mi sovviene il film Arrival (tratto da un racconto recente) e lì gli alieni sono “eptapodi” (sembrano dei poliponi) e scrivono in strani geroglifici circolari. Ecco, questo l’ho trovato più sensato.
    Sul secondo, la civiltà tecnologicamente avanzata e gli sproloqui letterari… qui dovrei leggere per farmene un’idea e capire la differenza con un Michael Crichton di Jurassic Park. Se la spiegazione del romanzo di Crichton è la stessa del primo film, quando gli scienziati arrivano nel parco e l’uovo si schiude, dieci e lode! Per altro, sto leggendo La grande rapina al treno di Crichton e le parti più affascinanti sono proprio le sue ricostruzioni della vita dell’epoca, usi e costumi, così da comprendere le scelte dei personaggi.
    Sul terzo, il radiotelescopio sopra una nave container, non ha molto senso nemmeno per me. Puoi mettere tutti gli stabilizzatori che vuoi, ma è in balia di mare e vento, tornado compresi. Idem col taglio della baguette in acqua, che non convince nemmeno me. Però magari, in altre occasioni, mi lascio prendere dalla storia (però lo scrittore deve essere bravo, “alla Crichton” diciamo) e non me ne accorgo proprio.
    E vabbè, intanto proseguo con Crichton. 😉

    1. Arrival è un gran bel film: gli alieni migliori che ho visto finora. Ricordo perfettamente i loro geroglifici circolari: una gran genialata, collegata proprio alla loro natura “circolare”. Poi anche le loro astronavi “verticali”: governavano la forza di gravità a loro piacimento. Questi sì che sono avanti tecnologicamente.

      Se ripenso al “problema”, sì, be’… I porci sarebbero molti di più. Se mi fossi dilungato ne avrei tratto un post kilometrico.
      Diciamo che il materiale non mi sarebbe mancato.

      Devo però ammettere che un aspetto del libro mi è piaciuto molto: l’ambientazione in Cina, tutti i riferimenti storici alla Rivoluzione Culturale e le introspezioni sui personaggi che l’hanno vissuta. Tutta roba bellamente “spazzata” via nella serie tv, mettendo di mezzo l’Inghilterra (che nel libro non c’è proprio…) e riscrivendo alcuni personaggi.

      Il tuo amico Crichton (dì la verità: ti sta piacendo. E ringrazia chi te l’ha fatto conoscere…) in Jurassic Park non tradisce: nel libro certe scene sono persino migliori, ma tutto sommato il film è abbastanza fedele.

      La grande rapina al treno è piaciuto molto anche a me per le descrizioni dell’epoca.
      E se hai occasione di guardare il film subito dopo, secondo me ti piacerà anche quello.

      Poi a ruota ti consiglio Timeline: penso sia ancora migliore di Jurassic Park.
      E c’è pure una storia d’amore.
      Anche qui: ti consiglio il film subito a ruota.

      Spero di averti scompigliato abbastanza la coda di lettura.

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