Sorprese dell’editing. Ho giochicchiato con il mio editor anticipandogli il titolo del mio romanzetto una settimana prima di inviargli il testo.
“Ti anticipo il titolo” gli ho detto. “Cosa ne pensi di Alberi, prodigi e maledizioni ?”
Una domanda innocua, la mia. Tuttavia ha innescato un fatto curioso.
“Non sa di romanzo” è stata la risposta lapidaria. “Sa più di saggio su pozioni magiche e sortilegi stregoneschi.”
Concetti chiave
Pozioni e sortilegi. Due paroline precise-precise che il mio titolo ha suscitato con estrema precisione tra le sensazioni del mio editor, prima ancora di leggere il testo. Il che, discorsi di editing e/o marketing a parte, dovrebbe essere esattamente la scintilla che dovrebbe scattare quando un lettore deve decidere di buttarsi o meno in una lettura: capire esattamente cosa lo aspetta.
E dove sta il fatto curioso che si è innescato? Che una “pozione” e un “sortilegio” sono due concetti chiave su cui è imperniata la storia. Un titolo azzeccatissimo, si direbbe. Il mio editor, nel frattempo, ha letto il testo e l’ha bucherellato di punti di domanda e sottolineature attorno alle piccole nefandezze che ho disseminato scrivendo.
Non abbiamo più avuto occasione di tornare sul discorso titolo, anche perché nel frattempo ne ho trovato uno più figo.
Tuttavia il dubbio mi rimane: un titolo che ha sortito sensazioni molto azzeccate avrebbe meritato una chance in più?
Il titolo bocciato
Il titolo più figo deve ancora passare alcuni esami da parte del sottoscritto, alcuni dei quali li avevo elencati tempo fa in un post semiserio. Il titolo bocciato, Alberi, prodigi e maledizioni, presenta effettivamente alcuni inconvenienti: si tratta di un’enumerazione, ovvero di un brevissimo elenco di tre parole che, per quanto breve e azzeccato, si presta alla confusione: il lettore, insomma, rischia di ricordare solo una parola, al massimo di due. E magari rischia di non ricordarle nemmeno in ordine: Alberi, prodigi e maledizioni reca con sé un accenno di musicalità che però permane solo se l’ordine delle parole resta tale: una storpiatura involontaria, del tipo “Prodigi, maledizioni e alberi”, già perde l’efficacia in un ipotetico passaparola. Già mi vedo a rispondere a domande del tipo…
“Com’è il titolo di quel libro che hai scritto sugli alberi? Prodigi o maledizioni?”
“Ah, ma poi quel libro là che hai scritto, La maledizione degli alberi, come sta andando?”
E via dicendo.
Il titolo più figo
Di tutti i racconti che mi è capitato di scribacchiare e che tengo ancora qui sul retroblog, devo dire che alcuni hanno un titolo che mi piace molto. Ovviamente tutto è soggettivo ma c’è un dettaglio che non riesco a trascurare: alcuni titoli continuano a piacermi ancora dopo mesi e anni. Insomma resistono, sono immuni da quella tentazione di cambiare che ogni tanto mi assale.
E quel che trovo affascinante è che mi sono “usciti così”, quasi senza troppi giri di pensieri e contropensieri. È forse questa la chiave? È questo il sortilegio stregonesco in grado di far comparire dal nulla un buon titolo?
Non è dato saperlo.
Alla fine il titolo fa parte di quell’alchimia quasi insondabile che è la copertina: un insieme di parole (il titolo, appunto), di colori e di suoni (il titolo deve “suonare” bene) il cui scopo è quello di richiamare l’attenzione del lettore, almeno per invogliarlo a leggere la sinossi che è l’anticamera della storia.
Poi, con la sinossi, si apre un’altra partita a scacchi.
Ecco, non avevo pensato alle storpiature dei lettori smemorati… forse perché se mi dimentico una cosa, ci pensa Google a ripropormela in automatico quando la cerco!
Il brutto è quando, nell’editoria tradizionale, cambiano un titolo che oramai davi per assodato. Porto ad esempio la nostra Sandra, quel suo “Non è possibile” che ha atteso per un anno la pubblicazione, ha cambiato titolo in “Quando non ci pensi più” (il quale ha la potenza di un incipit per qualsiasi affermazione: “Quando non ci pensi più [qualcosa che accade]” potrebbe essere usato come ottima leva di marketing). Però ho letto il libro e per me era molto più azzeccato “Non è possibile”, era l’esatto riassunto della storia, con parecchi richiami nella trama. Non è possibile [questo], non è possibile [quello]. L’unico problema è che è una negazione, quel “non” si presta male, dicono, nella memoria dei lettori. Il cervello non registra mai il termine “non” (pensa a quando iniziamo a dirci: “non devo addormentarmi” e ti addormenti; o “non devo farmi cogliere dall’ansia” e via che ti sale l’ansia…) e quindi il lettore potrebbe cercare “è possibile”.
Se devo ragionare come lettore, a me la negazione mi sale con un colpo d’occhio sulla copertina. Una copertina tetra e angosciante mi basta e avanza per “prestarsi male”. E poco importa se il titolo comincia o meno con una negazione. 😛
Grazie, per la citazione, Barbara. Purtroppo c’è un tormentone che si ripete con i miei romanzi: il primo titolo non piace mai, solo che fino al precedente, il secondo è sempre stato molto più azzeccato, questa volta no. A volte sì il sortilegio, come lo chiama Darius, quella folgorazione che arriva sotto la doccia o prima di dormire funziona molto bene, nel mio caso è stato così 4 volte.
Peccato che le folgorazioni arrivino sempre a casaccio e non a comando…
Trovo ragionevole la tua riflessione sul titolo originario: quella roba di alberi e sortilegi rischia di creare strane mescolanze di termini che non farebbero onore al tuo romanzo. E do ragione anche al tuo editor: un titolo così non solletica la curiosità. Dai, fai qualche sforzo in più! ????
E sia. Mi toccherà sforzarmi… 🙁
Sono d’accordo con il tuo editor, ma vedo che sei già oltre. Mentre lo leggevo mi veniva in mente Mary Poppins, fai un pò te… Certo il titolo dipende dal contenuto. Pensaci ancora, Sam
Incredibile come uno stesso titolo susciti le sensazioni più disparate…