Alla fine non ha voluto farmi un guest post. “Che roba sarebbe?” Domanda lecita per una persona che non ama frequentare il web, che schiva i social e che si attiene a usare la tecnologia solo “quando strettamente necessario”. Ho avuto occasione di fare una chiacchierata con una persona che scrive storie e ora mi ritrovo qui a riordinare gli appunti che mentalmente mi son preso. Non che avesse rivelato chissà quali verità insondabili ma, ecco, il suo pensiero un po’ mi ha incuriosito perché alcuni passaggi li ho trovati condivisibili. A partire da questo: il primato della storia.

La storia migliore da raccontare è quella che vive di vita propria, mi ha detto. Quella che, appena ti viene in mente, ti trasmette come sottofondo quella strana sensazione di essere sempre esistita, di essere sempre stata lì ad aspettare che qualcuno la raccontasse, una storia che a volte non ha bisogno nemmeno di essere costruita.

Perbacco. Già una frase del genere mi darebbe da pensare a lungo, ma l’evolversi della discussione non mi ha concesso tregua.

Nella vita puoi imbatterti in tante belle storie. Basta leggere, guardare un film, ascoltare persone che raccontano. Molte storie sono belle ma le migliori sono quelle che non sono costruite artificiosamente. Tanta gente scrive convinta di raccontare storie avvincenti. Ma le costruisce. E magari le costruisce pure bene. In realtà scrive perché vuole fare soldi, acquisire fama, notorietà e vive la scrittura e le storie che scrive come un mezzo per arrivare a ciò. Un’impresa. Non nel senso di impresa titanica: impresa nel senso stretto della parola, cioè di attività di produzione per guadagnare. C’è chi crea e vende prodotti, c’è chi vende servizi… e c’è chi inventa storie.

Personalmente non ci vedrei nulla di male. Ma…

Il problema è che tante storie vengono confezionate come prodotti per arrivare sotto forma di libro in libreria. Si cura il prodotto-libro, trascurando la storia che contiene. E spesso la storia viene deformata: le viene cambiato il titolo, viene tagliata, allungata, diluita in saghe e se non addirittura rivista per farla assomigliare ad altre storie che già hanno avuto successo. Viene omologata per compiacere le mode del momento. Tutto per cosa? Per aumentarne la visibilità, la “vendibilità”, il successo. Con il risultato che la stragrande maggioranza delle storie, essendo insipide, viene dimenticata dopo quel mese, forse due, di notorietà effimera.

E su questo non ci piove. Un discorso arcinoto, direi.

Occorre recuperare il primato della storia che si vuole raccontare. La storia, il suo messaggio: deve essere più potente di tutto. Non bisogna dannarsi a perfezionarne le singole parole perché la perfezione non esiste. Ed è inutile svenarsi: il primo che la riterrà imperfetta nelle singole parole sarai tu tra dieci anni. Quando la rileggerai sicuramente ne vorrai cambiare qualcuna, sicuramente vorrai riscrivere qualche frase. Rassegnati. Scrivi e lascia leggere. Chi amerà la storia non avrà tempo di pesarti le parole. E chi ti peserà le parole si perderà la bellezza della tua storia.

Ineccepibile. Davvero. Oddio, niente di trascendentale, ripeto.
Però è bene tenerlo appuntato da qualche parte.
Così, giusto per ricordarselo.

16 commenti su “Scrivi e lascia leggere

  1. Condivido al 90% e ti spiego quel 10 che manca.
    Il rischio non soffermandosi troppo sulle parole è di incorrere in frequenti frasi fatte (manderei al rogo ogni “bella vista” e “in bella mostra” che trovo così abusati), quindi sono più per le parole sono importanti e cerchiamo di variare il lessico, e pure di costruire qualcosa di diverso da soggetto, verbo, predicato e ciao.
    Vero tuttavia il fatto che volendo costruire troppo si perde quella bellezza più autentica e io che ho fatto l’esperienza ravvicinata di scrivere con molti paletti puntando agli editori blasonati con editor e agente che spingevano, suggerivano, cassavano, erano in disaccordo tra loro con me in mezzo e scrivere senza interpellarle posso dire che sì con il secondo metodo ho raggiunto un risultato molto più potente che preferisco, poi in fase di pubblicazione, se mai arriverà, vedremo quale tra le 2 storie avrà avuto la meglio.

    1. Troverai strano che condivido quel 10% che hai spiegato.
      Tuttavia mi sembra di vedere una sostanziale differenza tra chi scrive (e pubblica un libro) e chi lo legge.
      Cerco di venire al dunque citando le stesse figure che hai citato.
      Che differenza c’è (tra le tante) tra scrittore-editor-agente da una parte e il lettore dall’altra parte della barricata?
      Il numero di volte che leggono la storia.

      Lo scrittore leggerà la propria storia decine e decine di volte prima di passarla a editor e agente.
      I quali (presumo) la leggeranno più volte (una decina? Di più? Di meno?) vivisezionando dove serve.
      E il lettore? La leggerà una volta.

      E ancora: scrittore, editor e agente faranno le loro riletture a raffica, una dopo l’altra a seconda dello scopo che devono perseguire (e i relativi tempi “tecnici”).
      Il lettore, se rilegge una storia una seconda o anche una terza volta, lo farà lasciando passare tanto tempo tra l’una e l’altra rilettura.

      Insomma: il lettore gode quasi sempre della bellezza della Prima Volta.
      Il problema, a mio modo di vedere, è che questa Prima Volta la si vede spesso “a colpo d’occhio”, senza badare troppo ai particolari.

  2. “Chi amerà la storia non avrà tempo di pesarti le parole. E chi ti peserà le parole si perderà la bellezza della tua storia.”
    Vero. Con la differenza che deve essere scritta bene, se ogni tre secondi il lettore incespica in un errore grammaticale o ortografico, farà fatica a seguire la storia. Ci sono quelli che stanno a guardare gli stereotipi (ma chi di noi non ha un “amico stereotipo” al fianco? una semplificazione, certo, ma tutti rientriamo in determinate categorie), ci sono quelli che si perdono a contare i “disse” e i “rispose”, ma il lettore non lo fa. Il lettore si siede lì e si immerge nella storia, non gliene frega niente né delle frasi fatte, dei modi di dire, degli avverbi, vuole sentire la storia. Ho letto testi che meritavano dal punto di vista lessicale, ma la storia non mi ha lasciato nulla, zero. Mancava d’anima. Poi leggi romanzi considerati di serie B e dopo dieci anni riesci a ricordarti ancora una determinata scena, come se l’avessi vissuta. Quella è la storia pura.
    Il problema, come dice Sandra, è che per arrivare al lettore devi prima passare per la filiera. E’ la filiera che spulcia il testo. E tra vent’anni forse saremo ancora qui a discutere quanto bene la filiera faccia il suo lavoro…

    1. Io ho inteso che quel “pesarti” le parole fosse riferito proprio a quei lettori che contano i disse, i rispose e gli avverbi.
      Quanto alla filiera, sappiamo tutti che fa il suo lavoro.
      In teoria.

      In pratica, alla pubblicazione “da filiera” arrivano allegramente anche tanti strafalcioni. 😛
      Ma non cadiamo nel solito discorso: anche questo è uno stereotipo… 😀 😀 😀

  3. Parole sante che forse dovrebbero essere ricordate più spesso. L’artificiosità da lettori si percepisce e dà fastidio. Penso che un bravo scrittore dovrebbe cercare un compromesso tra la scrittura che sgorga in modo spontaneo, con una storia che quasi si racconta da sé, e la cura delle parole, della prosa, i miglioramenti, il pesare ogni termine. Si dovrebbe individuare il confine tra il miglioramento e l’artificiosità e non varcarlo mai. Vero poi che dopo un tot di tempo tutto quello che abbiamo scritto ci sembrerà brutto a prescindere. Perfino io che sono un po’ maniacale ho deciso che d’ora in poi non rimetterò più mano a vecchi scritti.

    1. Ecco, giusto: spontaneità e artificiosità. Bisognerebbe trovare il giusto equilibrio.
      Come se non bastasse, bisogna trovare un equilibrio equilibrato 😀 , perché ovviamente il giusto equilibrio che dici tu non va bene per tutti i lettori.

  4. Quello che citi (di chi lo ha detto: certo, tutti tu li frequenti i tipi schivi : D) lo vedo più come la scusa di chi finirà per autopubblicarsi e non ne faccio una battuta per aizzare la solita polemica. Intendo dire che mettere il lettore al centro di tutto ciò che concerne la scrittura è come dire che l’unico fine di ogni storia che curiamo è depositarsi nella mente del lettore, chiunque esso sia, senza nulla concedere a tutti quei passaggi che io reputo necessari.
    Io sono arrivata alla mia personale conclusione, ma è troppo lunga da spiegare, così me la tengo per me. 😛

    1. Spesso si dice che i lettori non sono tutti uguali (e meno male). Anche gli scrittori non sono tutti uguali (grazie al cielo 😀 ): quindi non ci vedo nulla di strano se qualcuno scrivesse con l’unico fine di “depositare una storia nella mente del lettore”.
      A volte i passaggi intermedi risultano superflui, altre volte necessari.

      Dipende dal talento di chi scrive. ;-P

      P.S.: io sono schivo e frequento tipi schivi… 😀 😀 😀

  5. Bisognerebe avere una mente talmente ispirata da cucire storie avvincenti confezionate con la massima naturalezza addosso al lettore (per ricollegarmi a quanto, giustamente, fa notare Sandra); Storie capaci di nascere già prive di artificiosità e SEO friendly, per usare un termine che capisco poco ma che ultimamente va tanto di moda.
    In parole povere lo scrittore dovrebbe essere una sorta di intelligenza artificiale (altro argomento attuale), con l’anima però.
    Un talento che (avercene), ahinoi, va ben oltre l’umana condizione 🙂

    1. Che si tratti di un talento non indifferente, sono d’accordo. Ma che vada ben oltre l’umana condizione mi sembra un tantino esagerato. 😉

    1. Mi chiedi troppo… 🙂
      Ho già sgarrato pubblicando i suoi pensieri in forma anonima senza chiederglielo, confidando nel fatto che bazzica poco in rete… 😛

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