Quanto può influire un titolo? Le risposte più ovvie si sprecano. E sono talmente ovvie e intuibili che non serve nemmeno elencarle. È sufficiente una risposta lapidaria ed estremamente sintetica: dunque, quanto può influire un titolo? Molto. Punto.
Ma il titolo di cosa, esattamente? Il titolo di tutto. Il titolo di un articolo di giornale, il titolo di una canzone, il titolo di una notizia. Oppure il titolo di un post, magari di questo stesso post.
E naturalmente anche il titolo di un romanzo: a colpo d’occhio, il titolo deve offrire uno spaccato attendibile di quel che annuncia.
Deve quantomeno fermare l’attenzione del lettore e indurlo a leggere la sinossi. Da lì in poi ci penserà la sinossi o quarta di copertina a fare il resto del lavoro. Ma come viene un titolo?
Il titolo vien scrivendo
Ho appena messo fine a una fatica letteraria. È ancora presto per definirla “romanzo” o “racconto”.
È ancora presto per decidere se pubblicare e come. Per il momento ho messo il tutto a decantare nella mia cassettiera in solido legno di faggio. Ho notato tuttavia un fenomeno strano che forse è mio personale. Avendo l’abitudine di affidare un titolo a ogni singolo capitolo, ho notato che, dei circa cinquanta capitoli che ho scritto, per almeno tre quarti di essi il titolo l’ho deciso durante la stesura del testo. Mi succede così, in pratica: comincio a scrivere il capitolo, scrivo, scrivo, scrivo e poi, durante la stesura, mi si accende una lampadina con il titolo più congeniale da affidare al capitolo terminato. Non è sempre stato così: ma di cinquanta capitoli, almeno quaranta volte la dinamica è stata questa.
Questo titolo s’ha da cambiare
E alla fine, per la prima volta, mi è successo di cambiare titolo anche alla storia stessa. Sono partito con “Il pastore grigio” e sono finito con un altro titolo.
Ho fatto una prova semplice-semplice, una prova empirica e sicuramente discutibile. Ho chiesto a mia moglie (totalmente a digiuno della trama, nel senso che non ha ancora letto nulla di nulla): “Un titolo come Il pastore grigio che cosa ti fa venire in mente?”
Mi ha dato una risposta interessante. Che però non ci azzeccava nulla con la mia storia… 😉
Quindi, già poco convinto di mio, ho deciso di cambiare il titolo dopo due notti di elucubrazioni galattiche 😉 . Partorito un nuovo titolo, ho chiesto sempre a mia moglie, la quale ha sentenziato quasi subito con un “decisamente meglio”. Si potrà obiettare su come abbia fatto a dire che è decisamente meglio dal momento che non ha letto ancora niente. Be’, se l’è cavata dicendo che il nuovo titolo è molto più accattivante e che sarebbe decisamente più invogliata a leggerlo.
Chi decide il titolo?
Ma alla fine chi decide il titolo? Si direbbe che la persona più titolata a titolare sia proprio l’autore. Chi meglio di lui? Eppure si sa che il mondo è pieno di titoli cambiati da persone diverse dall’autore, non solo in ambito letterario. Si cambia il titolo per varie esigenze: migliore collocazione in collana, migliore intercettazione di pubblico, miglior appeal, miglior non-so-cosa. Posto che qualunque sedicente guru che si senta titolato a titolare non ha comunque la sfera di cristallo per sapere quale titolo possa essere migliore di altri, a volte mi chiedo se abbia senso che una persona diversa dall’autore si occupi di trovare un titolo a opere altrui. Domanda che lascio a me stesso per il futuro: per ora dico che se mai arriverà il momento in cui qualcuno insisterà per farmi cambiare titolo, be’, questo qualcuno dovrà essere molto più che convincente 😉 .
A cosa serve il titolo?
Domanda idiota: personalmente ho già fatto riflessioni semiserie sulla scelta di un titolo. Alla fine, un titolo è solo un titolo. Mi chiedo se, nell’era digitale che ormai viviamo quotidianamente, il titolo non debba avere “solo” – virgolette d’obbligo – il compito di essere univoco, oltre che accattivante: alla fine serve solo per far trovare in maniera univoca l’opera in internet, così che si possa individuare subito l’autore, il suo sito, i suoi eventuali profili social. E perché no, anche recensioni attendibili. Alla fine, se il titolo deve convincere un potenziale lettore a spendere al meglio quella benedetta manciata di euro, il lettore attento fa proprio questo: cercare in rete. Quindi la domanda più sensata (ma forse è meglio dire più provocatoria) è: a cos’altro serve il titolo?
A cosa serve veramente il titolo
Alla fine rimango con questo dubbio: vuoi vedere che il titolo serve più dopo la lettura?
Forse serve a ricordarsi dell’opera, serve a ricordarsi dell’autore o dell’autrice.
Serve a ricordarsi di aver letto una bella storia.
Un buon titolo deve indurre il lettore a farsi delle domande.
E allo stesso tempo deve aiutare a ricordare le risposte.
Nel mezzo, tra le domande sorte e le risposte avute, ci sta… la lettura.
Preferibilmente avvincente.
Tua moglie ti ha dato una bella mano : scegliere un titolo fuorviante è una bella grana per uno scrittore. Non voglio apparire superficiale, ma se non conosco l’autore è proprio il titolo che mi colpisce. Nel bene e nel male…
E’ molto utile avere qualcuno totalmente a digiuno di quel che si scrive perché in questi casi le impressioni sono più genuine…
Te lo dico perché io sfruttiamo mio marito all’osso ????
Giusto! Mogli e mariti devono essere spremuti fino all’osso, in questo genere di attività di supporto. 😀 😀 😀
Curiosità personale: ma tu lo sfrutti anche per la lettura?
Io tendo a non coinvolgere mia moglie, un po’ perché non ha tempo (legge un sacco di robe sue “tecniche” e di “saggistica”), un po’ perché mi è più utile come potenziale lettrice che come lettrice “post-lettura”. Quindi la coinvolgo su eventuale scelta di titolo, sinossi e copertina con domande molto empiriche del tipo “meglio così?” o “meglio cosà?” …
Mi interessa di più saggiare la sua curiosità di lettrice in fase di potenziale acquisto, insomma.
Poi, è ovvio, anche in questi ambiti conta molto la soggettività personale.
Allora Darius, per quanto riguarda i racconti, che sono brevi, si. Lui è molto critico ed è capace di ficcare il coltello nella piaga dei miei limiti in modo chirurgico. Quindi mi serve un sacco, vede ciò che io non vedo. La lettura no. Non ha testa…
Nel senso che non ha voglia, i romanzi sono troppo lunghi! Magari gli leggo i passaggi più delicati
Pare che il titolo conti talmente tanto da essere diventato lavoro da copywriter.
P.S.: bello il ciocco-cassettiera. Che titolo ti fa venire il mente? 🙂
Questa mi giunge nuova. Mi auguro che il copywriter legga il romanzo prima di partorire un titolo…
Il coccio-cassettiera in realtà è troppo piccolo per contenere un manoscritto: diciamo che è il cassetto simbolico che contiene i miei romanzi-nel-cassetto. Quindi non centra nulla con il titolo…
Non ci conterei troppo. Indipendentemente dal contenuto, il lavoro del copy è scegliere parole accattivanty e convincenty.
A quanto riferiscono i bene informati, al giorno d’oggi si vende più in merito al lavoro di un buon copywriter che di un buon autore.
Se le cose stanno effettivamente così mi chiedo come mai allora i romanzi non li scrivano questi benedetti copy, che invece si limitano a corredarli di titolo e quarta (sarà mica perché poi si dovrebbe chiamarli romanzy?)
Copy o non copy, vivo nell’illusione che chiunque decida il titolo di un romanzo debba quanto meno leggerlo. Le parole accattivanty, come le chiami tu, devono essere accattivanti più per il lettore che per il motore di ricerca.
Perché è il lettore che legge il romanzo, non il motore di ricerca.
Perché il motore di ricerca, per quanto possa essere animato da un’intelligenza artificiale che crediamo superiore alla nostra, in realtà è ancora molto fallace: basta vedere quanto (poco) sono calibrati i risultati prodotti mentre navighiamo. Io lo vedo dalla newsletter stessa di Amazon: di 10 titoli proposti in ogni e-mail, forse 2 o 3 rispondono ai miei “gusti” (che il signor Algo Ritmo tenta di decifrare dai miei click…). Dico 2 o 3 ogni 10 newsletter, non OGNI newsletter…
E poi quali sarebbero i titoli accattivanty partoriti dai copy? Tutti quelli che cominciano con “La ragazza di”, “La ragazza che”, “La ragazza su” pensati dopo il boom de “La ragazza del treno” ? Copy genialy, direi… 😉
In effetti nel mio romanzetto c’è una ragazza. Una ragazza che a un certo punto gira nel bosco con la balestra. Ecco: se un copy mi propone “La ragazza con la balestra”, io la balestra la impugno per prendere la mira… Ma non sono così crudele: al copy darei 10 secondi di vantaggio per correre lontano. 😀 😀 😀
Precisiamo che a scrivere per i motori di ricerca è il SEO. Il copy scrive per l’acquirente. Sono due forme di scrittura abbastanza diverse, per obiettivi e per contenuti. Ancora diversa è la scrittura dell’autore che, come sai molto meglio di me, scrive per sé e per la storia.
Le newsletter pubblicitarie non mi degno più nemmeno di aprirle: la profilazione folle non dà risultati accettabili, è solo un business.
Per evitare che il copy ti proponga ‘La ragazza con la balestra’ devi scrivere una sinossi che non contenga le parole ragazza e balestra, in modo da sviarlo con una finta manovra 😉
Ci sono editor che con le loro idee sul titolo hanno fatto la fortuna del romanzo.
Giulia Ichino ideò La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, che inizialmente aveva un altro titolo.
Ovvio che il libro l’avesse letto.
Ecco, questa cosa mi consola: quindi, come dicevo poco sopra a Calogero, la mia non è un’illusione.
Ben vengano idee altrui purché si abbia letto il libro.
Ho seguito con interesse, sul tuo blog, l’evoluzione del tuo titolo da “Non è possibile” a “Quando non ci pensi più”.
che, ammettilo, ti ha ispirato il post 😀
Certo! Non è la prima volta e di certo non sarà l’ultima.. 😉
E se ti dicessi che zia Diana Gabaldon sceglie i titoli dei capitoli nella tua stessa modalità, cioè mentre sta scrivendo? Per i titoli dei libri invece, ora può permettersi di deciderli in autonomia e nessuno le contesterà nulla, ma alla prima uscita Outlander (cioè “straniero”, che proviene “out of land”, fuori dal paese) si chiamava “Cross Stitch” (punto croce, intendendo sia gli incroci tra passato e futuro, sia il punto di sutura usato dalla protagonista che è un’infermiera). Ai britannici piacque e rimase così. Gli americani che rilanciarono il testo, ne chiesero uno più avventuroso e lei propose appunto Outlander, facile da ricordare e immediato da comprendere. Sono convinta che fu la sua fortuna.
Un buon titolo è sempre un’alchimia un po’ difficile da trovare. Non sapevo di questo retroscena di Diana Gabaldon…
Sicuramente nel caso di Outlander il titolo è stato molto azzeccato, sia per la sintesi, sia per la facilità.
Però devo essere sincero: ragionando esclusivamente da autore esordiente/sconosciuto, i titoli formati da una sola parola mi lasciano perplesso perché, statisticamente, sono più soggetti a subire doppioni. Lato SEO sarebbe un disastro. Se poi, per sfiga, un autore famoso sceglie il mio stesso titolo buttando fuori un nuovo romanzo dopo il mio, sono spacciato 😛 .
Certo, autori del calibro di zia Diana non hanno di questi problemi: raggiunta la fama, oltre a decidere il titolo che vogliono, possono offuscare qualsiasi romanzo uscito prima con il medesimo titolo.