Doveva essere un gioco. Ne è uscito un racconto. Qualche settimana fa bazzicavo su Facebook: in un minuto di caxxeggio terapeutico, mi sono imbattuto nelle foto di un luogo suggestivo e ho avuto l’ardire di commentare che “avrei potuto ambientarci qualcosa”. Non contento, ho chiesto tre parole a caso (troppo facile inventare a briglia sciolta 😛 ), un po’ come ai vecchi tempi di un contest che, ahimè, non è più stato ripetuto ( 😀 ). Bene: le tre parole, sparate a caso da qualcuno che, ci scommetto, in quel momento era in cucina a ramazzare sono state scopa, bilancia, spazzola. Dunque, ecco il quadro completo della sfida: ambientare nei pressi dell’Abbazia di Santo Spirito di Caltanissetta un racconto in cui una scopa, una bilancia e una spazzola hanno un piccolo ruolo.

Resta un quesito beffardo. E un quesito spinoso.
Cominciamo con il beffardo: avrò utilizzato veramente le tre parole? 😀
E quello spinoso: sarà un racconto all’altezza dell’esigente committente?
“Stupiscimi” mi ha detto. Eh, mica facile.
Però quello che conta è divertirsi. Divertirsi a scrivere e (spero) divertirsi a leggere.

Avventura nissena

Erano tre alberi maestosi. Un frassino e due faggi. Secondo la mitologia norrena, nelle notti di luna piena tre norne comparivano all’ombra di questi alberi. Di una bellezza sensuale ed eterea, tessevano il destino degli uomini nell’enorme intreccio della vita, ascoltando i loro desideri e rispondendo talvolta, si narra, alle domande che venivano poste loro da chi ardeva dal desiderio di conoscere il proprio futuro. Una sera di plenilunio venne da loro il re dei normanni. Goffredo, il cui regno stava vivendo un florido momento di pace dopo la conquista di tutta l’isola, volle conoscere il suo futuro domandando se Dorotea potesse diventare presto sua sposa. Ma il responso fu assai negativo. La norna del frassino, Vladalalcrivia, predisse che Dorotea sarebbe andata in sposa a un altro uomo e che quest’uomo avrebbe conquistato il suo trono e distrutto il suo regno. Goffredo, accecato dall’ira, maledisse le norne e, non potendo fare nulla contro le loro essenze incorporee, abbatté gli alberi fino a ridurli in ceppi. Ma subito gli alberi ricrebbero e in pochi giorni furono più maestosi di prima. Goffredo li fece abbattere di nuovo, ordinando di dissodare il terreno per rimuoverne le radici. Ma gli alberi spuntarono di nuovo, diventando ancora più alti e maestosi. Il re allora li fece avvelenare, ordinando ancora una volta di abbatterli e di dare loro fuoco. Ma gli alberi, con grande stupore del sovrano e dei suoi inservienti, crebbero di nuovo. Allora il re normanno, deciso a cambiare il destino predetto dalla norna del frassino, decise di giocare d’astuzia. Fece abbattere ancora una volta gli alberi e dopo aver sgombrato il terreno ordinò di edificare subito, nottetempo, le fondamenta di un palazzo. Al posto dei tre alberi vennero quindi deposti pesanti macigni e sopra di essi vennero collocate spesse lastre di pietre. Nei giorni seguenti, Goffredo osservava soddisfatto i cerchi di pietra che giacevano al posto degli alberi non più ricresciuti. Sicuro di aver cambiato una volta per tutte il proprio destino, ordinò di abbattere in tutta la Sicilia ogni frassino affiancato da faggi, comandando di collocare macigni e lastre di pietra, così che le norne non potessero più comparire sulla sua isola nelle notti di luna piena. Il giorno che venne posta l’ultima pietra, Goffredo diede una festa a corte comandando che Dorotea gli venisse data in sposa. In questo modo volle dimostrare a tutti i sudditi di aver piegato al suo volere persino il destino avverso. Ma quella stessa notte la morte lo colse nel sonno. E il nuovo destino fu lui fatale.

Il professor Sclavi chiuse il libro con un sorriso serafico.
“Bello” disse Ross sarcastico. “Ma a cosa ci serve questa storiella?”
Il professore ignorò il tono canzonatorio dell’amico e tornò a concentrarsi sulle sue carte.
“Storiella inventata, oltretutto…” puntualizzò.
Il professore sbuffò.
“Non è inventata” disse.
“Allora come lo spieghi il fatto che non è documentata da nessuna parte? Abbiamo consultato svariati tomi prima di venire qui in Sicilia. Abbiamo girato diverse biblioteche. E non mi pare di aver letto una storia simile, una leggenda… o una cronaca? Cos’è esattamente? E dove l’hai trovata?”
“Te l’ho già spiegato altre volte. Questa è la traduzione di un documento che mi ha fornito la contessa in persona.”
“Va bene, la contessa. Fa lo stesso: dove l’ha trovata lei? Come facciamo a sapere che è autentica? Lo sai che non mi piace lavorare sulle cose campate per aria…”
“Ho capito Ross. Ci sono buone probabilità che sia vera.”
“E buone probabilità che sia falsa…”
“E non ti bastano dieci milioni di euro per considerare solo le probabilità che sia vera?” lo incalzò Sclavi.
Avrebbe voluto ribattere, Ross. Ma il professore gli aveva già fatto capire in altre occasioni che dieci milioni erano una bella somma: cinque a testa, più che sufficienti per non fare troppe domande. Chi era esattamente la signora che custodiva con gelosia la propria identità? Era realmente una contessa? E quali erano i suoi veri interessi? Queste erano solo alcune delle domande che assillavano Ross, sempre inquieto quando riceveva denaro da persone sconosciute. Temeva che tanti soldi portassero anche guai. Ma il cospicuo anticipo che si era trovato accreditato sul conto corrente – cinquecentomila euro – l’aveva persuaso a soprassedere. Un totale di dodici bonifici, tutti con la medesima causale “consulenza scientifica e archeologica”, che avevano di fatto suggellato la sua partecipazione a quell’avventura. E l’idea di ottenere una cifra dieci volte superiore all’anticipo che aveva già in tasca era molto allettante.

“È fissata con la saggezza femminile” proseguì Sclavi. “E da quel che ho capito detiene una collezione privata di opere di ogni genere che ne celebrano la grandezza. Tutto ciò che è riconducibile al mito della Dea Madre, la Madre Terra, il femminino sacro e così via, è di suo gradimento. E questa leggenda delle norne di Goffredo sembra fatta apposta per il suo palato fine. Non trovi? Considera che la contessa ha origine siciliane e quindi puoi immaginare quanto possa avere a cuore questa vicenda…”
Ross annuì. Goffredo pareva aver incarnato alla perfezione la stoltezza maschile che soccombeva di fronte alla saggezza femminile. Neanche una femminista convinta avrebbe potuto inventare una storia migliore.
“Saggezza femminile e scienza” precisò Sclavi. “La contessa mi ha fornito diverse strumentazioni di cui ignoravo persino l’esistenza. E mi ha detto di venire qui in Sicilia a cercare le altre due pietre come questa.”
La pietra che estrasse, un autentico reperto di origine sconosciuta, aveva una peculiarità unica: nelle notti di luna piena emanava un bagliore tale da sembrare che brillasse di luce propria. Ross aveva già avuto occasione di osservare quel fenomeno. Davvero strabiliante.
“E l’indizio che ci ha detto lo conosci anche tu. Dobbiamo cercare i siti in cui, secondo la leggenda, Goffredo ha sigillato gli alberi delle norne. La contessa, per altre vie, è venuta a sapere che potrebbero esserci delle coincidenze con le chiese triabsidate. Secondo alcuni studiosi, il culto delle norne non è stato abbandonato del tutto dai normanni dopo la scomparsa di Goffredo. Ma con il passare dei secoli il culto pagano è stato soppiantato dal cristianesimo. E gli antichi luoghi di culto sono stati inglobati nelle chiese edificate in seguito.”
“Certo. Le tre absidi…” confermò Ross.
“Esatto. O meglio: il pavimento delle tre absidi. Ci sono diverse chiese qui in Sicilia che hanno questa caratteristica. E una di queste è quella che visiteremo stanotte. L’abbazia di Santo Spirito, poco fuori Caltanissetta.”

La frescura serale, dopo una giornata di caldo torrido, era davvero piacevole. L’aperta campagna nissena era diventata un susseguirsi di sagome d’alberi, disposti qua e là lungo le colline, i cui profili si stagliavano contro il blu chiaro della notte. Il tramonto era ormai ridotto a una pallida luce all’orizzonte e le stelle punteggiavano il cielo. La luna, già alta, non aveva ancora raggiunto l’apice della sua traiettoria: mancavano due ore. Più che sufficienti per entrare nell’abbazia e fare i dovuti rilevamenti.
Dopo esser giunti a destinazione con largo anticipo, per ingannare l’attesa si nascosero dietro alcuni alberi mantenendosi a debita distanza dalla strada.
“Credi davvero a tutta questa storia?” riprese Ross.
Il professor Sclavi, seduto con la schiena appoggiata al tronco di un albero, non rispose subito a quella domanda.
“Come uomo di scienza, direi di no” disse. “Ma la mia mente logica mi impone di credere a quel che vedo” aggiunse. Poi estrasse la pietra sconosciuta dalla tasca e la lanciò sull’erba, al di fuori della penombra dell’albero. Sotto il chiarore della luna, la pietra cominciò a brillare. “E amo cercare le spiegazioni per ciò che non conosco” aggiunse fissando la pietra.
“E come te la spieghi quella pietra?”
“Al momento non ho spiegazioni utili. Ma questo non significa che non ve ne siano. Forse quando troveremo le altre avremo qualche risposta in più. La contessa sostiene che ci sia un fondo di verità in quella leggenda. Le norne che comparivano solo nelle notti di luna piena. Chiaro: si tratta di un simbolismo. Come dire: la saggezza che si raggiunge a determinate condizioni. Forse la luce lunare? O più semplicemente un tipo sconosciuto di energia?”
“Energia?”
“Si, energia. Anche gli alberi che crescono repentinamente in pochi giorni diventando ogni volta più rigogliosi. Potrebbe essere un simbolismo che rappresenta una forma di energia vitale. Che magari si manifesta con la luna. Sono solo supposizioni, naturalmente. Ma a volte bisogna essere un po’ visionari per cogliere certe verità.”
“Concordo” rispose Ross. “Ma occorre anche tenere bene i piedi per terra. Ad esempio, cosa faremo ora in quell’abbazia? Ovviamente non potremo fare altro che un sopralluogo. Certo, la luce della luna piena filtrerà dalle finestre degli absidi. Ma poi? Ammesso che troviamo qualche indizio, qualche indicazione, non potremo certo tornare per abbattere la chiesa, tirare su il pavimento e metterci a scavare. Per cercare cosa poi? Altre pietre che brillano sotto la luna?”
“Questi saranno problemi della contessa. Dimentichi la bilancia…” disse Sclavi.
Ross rimase in silenzio. La bilancia, tra tutti i piccoli marchingegni forniti dalla contessa, era quello che più lo aveva turbato: un’ampolla di vetro contenente una soluzione acquosa in cui una polvere di ferrite rimaneva in sospensione. Attraverso un equilibrio apparente, la ferrite bilanciava con grandissima precisione il magnetismo terrestre, rendendo evidenti le più impercettibili variazioni. Un piccolo display posto alla base della bilancia, segnalava inoltre le variazioni della gravità terrestre. Per quanto potesse sembrare uno strumento di semplice fattura, racchiudeva una tecnologia che Ross, nonostante i suoi studi da ingegnere e i suoi trascorsi al CERN di Ginevra, non era riuscito a spiegarsi: quale legame univa il magnetismo terrestre con la forza gravitazionale? Per quel che ne sapeva, quello era ancora uno dei grandi enigmi irrisolti della scienza.
“La contessa ha detto che la pietra che abbiamo ora è stata trovata proprio con questa bilancia…” riprese Sclavi. “E ritiene che ci potrà essere utile nei nostri sopralluoghi.”

Mancavano poco più di dieci minuti. Entrare nell’abbazia era stato quasi un gioco da ragazzi. L’interno appariva spettrale: l’architettura essenziale che avevano studiato a lungo dall’esterno rifletteva fedelmente l’austerità interna di quel luogo. Le pareti di pietra erano sormontate da una volta a capriata che in quel momento era immersa nel buio più completo. I due tenevano le torce basse la cui luce rimbalzava tra le panchine di legno. Bastarono pochi passi per trovarsi di fronte all’altare, abbracciato dall’abside centrale ai cui lati si dislocavano subito le due absidi minori. Le tre piccole finestre verticalizzavano la luce lunare sui rispettivi pavimenti. Mancavano ormai pochi minuti all’appuntamento con la luna ma per quanto Ross si sforzasse di guardare a terra con la luce della torcia, non vedeva alcun particolare degno di nota. Pietre levigate da secoli di calpestio, intervallate da strisce di fughe chiare che, a prima vista, sembravano ottenute con volgarissimo cemento.
“Spegni la torcia, Ross.”
Immersi nel buio totale, i due avventori rimasero in piedi a lungo, osservando i poligoni di luce proiettati sul pavimento, apparentemente immobili.
“Noti nulla di strano?” chiese Sclavi.
Ross fece un profondo respiro per mascherare la propria impazienza.
“A parte due deficienti che guardano per terra nell’oscurità, direi proprio di no…”
“Risparmia il tuo sarcasmo e spostati verso il pavimento dell’altra abside… senza accendere la torcia. I nostri occhi devono rimanere abituati al buio per…”
“Vieni un po’ a vedere!” disse Ross interrompendolo bruscamente.
Il professor Sclavi si avvicinò e quasi inciampò contro il compagno che si era inginocchiato a terra.
“Ho visto un lieve bagliore…”
“Dove?”
“Dammi il tuo spatellino da archeologo…” disse Ross per tutta risposta.
“Il mio cosa?”
“Il tuo spazzolino… come diavolo si chiama. Quella specie di piccola spazzola che ti porti nel sacchettino dei piccoli attrezzi. Tiralo fuori, presto.” disse senza distogliere lo sguardo da terra.
Ross prese in mano il piccolo attrezzo e comincio a spazzolare con delicatezza la striscia chiara che separava due pietre inquadrate dalla luce della luna. Poi prese a spazzolare con vigore finché il bagliore, spostata la polvere di cemento che si era staccata, non si fece più evidente.
“Ecco, lo vedi ora?”
Sclavi osservava con grande apprensione, mentre Ross pensò bene di osservare il pavimento illuminato ai piedi delle altre due absidi. Non notava nulla di strano ma, senza perdersi d’animo, si concentrò ai piedi dell’altra abside minore. Senza aspettare che la luce lunare proseguisse oltre con il passare dei minuti, provò comunque a spazzolare al centro del rettangolo di luce. Nel frattempo sopraggiunse Sclavi con una scopa di saggina.
“Perfetto!” esclamò Ross. “Era proprio quello che ci voleva. Non sapevo che tenessi una scopa in tasca…”
“L’ho trovata qui fuori, tra alcuni attrezzi” rispose “Prendiamo la bilancia.”

Deposero lo strumento per terra, in corrispondenza del punto in cui avevano appena raschiato la superficie. Nel quadro ritagliato dal chiarore lunare, l’ampolla di vetro della bilancia era chiaramente visibile. Nel liquido trasparente si poteva distinguere la ferrite in sospensione: lentamente la polvere di ferro cominciò a muoversi come se una forza invisibile ne sollecitasse l’equilibrio. Trascorsero una manciata di secondi prima che avvenisse l’inspiegabile: la ferrite si dispose lungo una spirale conica il cui vertice puntava verso il basso.
“Qui c’è un’anomalia” disse Sclavi osservando il display della bilancia. “Un’anomalia magnetica. I numeri indicano che in questo punto circoscritto il campo magnetico terrestre è molto debole. Anche la forza di gravità è instabile…”
Ripeterono l’osservazione sul pavimento delle altre absidi. Mentre il fenomeno si ripeteva in corrispondenza dell’altra abside laterale, la ferrite si depositava violentemente sul fondo della bilancia non appena questa veniva deposta a terra, sotto l’altare.

Era ormai notte fonda e la luna era passata oltre.
“Dunque? Che ne pensi?”
Il professor Sclavi era pensieroso. Dopo aver registrato i dati della bilancia, stava contemplando le fotografie che era riuscito a scattare in quel breve lasso di tempo: grazie alle particolari impostazioni della fotocamera speciale, era riuscito a evitare il bagliore del flash anche se a quell’ora della notte la campagna nissena sembrava più desolata che mai.
“Penso che abbiamo trovato un indizio interessante. La bilancia parla chiaro. Là sotto c’è qualcosa. Il materiale di cui è fatta la pietra è lo stesso che è stato utilizzato nella posa di questo pavimento, anche se il suo impiego è circoscritto in quelle porzioni di pavimento illuminante dalla luna piena.”
“E pensi che sia un indizio? A me sembrano scarabocchi stilizzati. Sembrano ‘ipsilon’ capovolte. E non sono nemmeno tutte uguali…”
“Be’, scarabocchi o no, la posizione non può essere casuale” riprese Sclavi. “Si trovano al centro del pavimento circolare, non vedi? Prova immagina questo luogo senza abbazia. Avremmo tre cerchi di pietra, anzi, tre pavimenti circolari. Proprio come nella leggenda. Poi qualcuno, con il passare dei secoli, ha pensato bene di costruirci sopra una chiesa facendo corrispondere i tre cerchi con le tre absidi. Riesci a immaginare un modo migliore per nascondere qualcosa lasciandolo comunque bene in vista?”
Ross ascoltava in silenzio. Il ragionamento di Sclavi pareva ineccepibile.
“Guarda caso” continuò “le origini di questa abbazia sono normanne. Forse qualcuno dei sudditi di Goffredo ha voluto preservare una traccia dell’antico culto…”
Camminò in tondo per ruotare la visuale. I segni sul pavimento, cessato l’effetto lunare, erano quasi scomparsi del tutto. Ma nelle immagini fotografiche comparivano in modo netto. Sclavi, preso dal dubbio, ruotò l’ampio display della fotocamera per osservare le immagini e…
“E poi chi ha detto che sono scarabocchi?” esclamò.
Ross si avvicinò per guardare le immagini.
“Sono rune.”
“Rune?”
“Rune celtiche. Anzi, con ogni probabilità sono rune norrene.”
Ross ricordava che le rune erano simboli alfabetici delle popolazioni scandinave. Un altro punto di contatto con la mitologia dei normanni: doveva ammettere che le ipotesi di Sclavi non erano poi così remote.
“Dunque? Come procediamo ora?”
Sclavi sospirò. Non avevano più nulla da fare nell’abbazia.
“Non ci resta che tornare in Francia. Faremo un rapporto dettagliato alla contessa. Credo che avrà modo di far tradurre questi simboli e poi vedremo come si evolverà questa vicenda.”

Dopo aver rimesso tutto in ordine, uscirono e si dileguarono nella notte nissena.

(C) 2018 – Darius Tred

Post Post Scriptum

Perdinci, un finale aperto, direi apertissimo.
Cosa ci sarà mai sepolto sotto il pavimento delle absidi dell’Abbazia di Santo Spirito nei pressi di Caltanissetta?
Da dove proviene la pietra misteriosa che si illumina al chiaro di luna?
E quale legame simbolico la lega alla leggenda normanna?
E la contessa? Chi si cela dietro la sua identità?
Non posso scrivere tutto io 😛 : ho inventato una leggenda e l’ho messa in un racconto.
Ora lo lascio qui, a disposizione di chiunque vorrà mai continuarlo: chissà, magari cresce repentinamente come gli alberi della leggenda fino a diventare un romanzo, magari una saga.
Se qualcuno vorrà mai continuarlo, prima che lo faccia io (forse), dovrà però includere queste parole: tartaruga, panchina, cromoterapia.

 

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15 commenti su “Avventura nissena

  1. Il racconto lo leggo stasera… però, secondo me, Marina era in bagno non in cucina! A meno che non fosse in lavanderia. 😀

    1
  2. ????????????
    Per ora commento rapidamente e condivido su Fb (sono fuori e non posso concentrarmi), poi leggo con calma.
    Intanto per togliere ogni dubbio, hai ragione tu, Darius: ero in cucina, con la scopa in mano perché avevo rotto un bicchiere nel tentativo di recuperare una spazzola per capelli nascosta dietro la bilancia pesa ingredienti. Inca***tissima con mio figlio che ha osato poggiare un oggetto igienicamente del tutto inadatto a stazionare in quel posto.
    Torno, eh, e grazie per l’impegno mantenuto! ????

    1. Quindi il merito va tutto a tuo figlio. Dovresti premiarlo perché lui già “sapeva” : ha messo apposta la spazzola in quel punto. No spazzola, no racconto. 😀

  3. Letto! ????????????????
    Ho gradito l’andamento a focalizzazione progressiva, che è un’espressione che mi sono inventata per dire che l’oggetto del racconto sopraggiunge con calma dopo una storia che parte da lontano, sembra un elemento casuale: “fra tante chiese possibili, toh, ci sarebbe l’Abbazia di S.Spirito a Caltanissetta. Cominciamo da quella.” E questo “decentramento” mi è piaciuto. Ma qua l’unico che potrebbe continuare questa storia è il suo autore e per un sopralluogo consiglio una vacanza sicula con tappa a Caltanissetta. ????
    Naturalmente il massimo dei voti va alla capacità che hai avuto di inserire perfettamente le parole richieste: dirò a mio figlio che la spazzola è un utile attrezzo per scoprire la luce lunare, così la prossima volta che la lascia per caso in cucina, oltre alla luna gli faccio vedere le stelle. ????
    Ah, applausi alla fantasia, quella non ti manca mai non solo nelle trame che ti inventi, ma anche nei nomi che dai alle cose: le norne… mi hai fatto venire in mente “la fata fuggita”. ????????

    Tra l’altro, e concludo, Caltanissetta, che non è una città da tour indispensabile, ha però delle chicche da tirarci fuori un’intera raccolta di racconti: il castello di Pietrarossa che sovrasta il cimitero, le tombe dei “carusi” nell’ex miniera di zolfo di Gessolungo, i racconti popolari sui cunicoli che attraversano il sottosuolo della città creando dei sottopassaggi che erano vie di fuga o nascondigli ai tempi dei tempi…
    Materiale prezioso per i tuoi realfantasy. ????

    E infine di nuovo grazie: visiteò l’Abbazia di S. Spirito con uno “spirito” diverso, la prossima volta che tornerò nella mia città. ????

    1. Onorato del gradimento. 😀

      Potrei continuare questa storia, un giorno (nel caso, fammi sapere dove lascia la spazzola tuo figlio… 😀 😀 😀 )

      Sempre che nel frattempo nessuno raccolga la sfida con le nuove tre parole che ho sparato a caso io…

  4. Mi sono goduta questo racconto a voce alta e mi sono divertita molto.
    Belli gli stimoli di Marina e all’altezza la sfida del tutto superata.
    Scrivi molto bene. Il racconto è fluido, lo stile asciutto e gli ingredienti assai bene utilizzati.

    1
    1. Grazie mille per i complimenti, Luz. Onorato dal tuo apprezzamento. Onorato e incuriosito: non mi sono mai letto a voce alta, sebbene molti consigliano di farlo per sentire meglio il ritmo di un racconto. A dire il vero non leggo quasi mai nulla a voce alta. 😉

  5. Noto un certo disappunto per la mancanza di un nuovo contest webnauta… magari dopo che sarò sopravvissuta al Salone di Torino prima e al GDPR poi (voi utenti di wordpress.com e blogspot non siete toccati da questa brutta bestia) potrei anche pensare ad un contest estivo, chissà! Ho anche una mezza idea di quali potrebbero essere i premi… 😀
    Comunque bel racconto, come sempre. Solo che adesso ci tocca aspettare il prosieguo e temo che solo tu sia in grado di portarlo avanti (della serie: ti sei creato la leggenda, il mistero, gli strumenti, adesso pedala e vediamo come risolvi il rebus! 😛 )

    1. Grazie Barbara, il tuo complimento mi ha commosso.
      La tua citazione del GDPR, invece, mi ha fatto piangere.

      Che ci possiamo fare? Beviamoci sopra. 😛

  6. Ma scrivici un romanzo d’avventura, Darius, la storia è davvero intrigante e il luogo molto affascinante. C’è tutto ciò che serve, manca solo uno spazio adeguato alla contessa 😉

    1. Grazie per l’apprezzamento. 🙂

      Sarei un bugiardo se dicessi di non averci fatto un pensierino per andare avanti a scriverci sopra. 😉
      Diciamo che andando alla ricerca di chiese con tre absidi, ho raccolto un po’ di spunti e li ho messi da parte per sviluppi futuri. E lo spazio per la contessa lo si trova senza problemi…

      Al momento però devo chiudere altre storiacce che mi trascino da tempo. 😛

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