Bloggando qua e là mi è capitato di leggere un post in cui viene presa in considerazione una categoria di lettori che, pur non leggendo un romanzo, sentenziano deliberatamente dicendo di non apprezzarlo. Ne è scaturita una discussione, con uno scambio di pareri tutto sommato condivisibili. Io mi son permesso di far notare, in tale discussione, che esiste anche un’altra ampia fetta di lettori, quasi speculare alla prima: cioè quella dei lettori che pur non leggendo un romanzo, lo promuovono più o meno sfacciatamente dicendo che è bello.
A volte mi chiedo cosa sia peggio: un lettore che stronca senza leggere o un lettore che promuove senza leggere?
Quando mi vengono di questi pensieri (eh, sì, ormai sono pensieri ricorrenti) mi torna in mente tutto il clamore mediatico che era seguito a Il codice Da Vinci. Ho avuto la “fortuna” (notare le virgolette) di leggere questo romanzo quando era appena uscito. Dan Brown era ancora uno sconosciuto (almeno in Italia) e non se lo filava nessuno. Ho messo le virgolette alla parola “fortuna” perché non mi riferisco al fatto di aver letto un romanzo eccezionale (ognuno si sarà fatto un proprio parere). Mi riferisco al fatto di averlo letto ben prima che raggiungesse la cresta dell’onda, quindi senza essere influenzato e spinto da quella curiosità generale, da quel contesto tipico in cui si è portati a dire: “Toh, guarda! Lo leggono tutti, quasi quasi lo leggo anch’io. Chissà cosa avrà di così eccezionale….”. Insomma, quel clamore che si crea di tanto in tanto attorno a qualche titolo, tipo le 50 sfumature di grigio.
Il codice Da Vinci aveva fatto un botto tale che c’era stato un periodo in cui pure i salotti televisivi, a ruota, ne parlavano nel bene e nel male, a seconda della “zerbinità” (passatemi il termine che, credo, non abbia bisogno di spiegazioni) del conduttore di turno nei confronti della chiesa cattolica. In una di queste ronde televisive, di tutte le celebrità che si erano affannate a dare il proprio parere mi era rimasto impresso un critico letterario (purtroppo non ricordo il nome) che, intervistato, aveva espresso il suo punto di vista. Non ricordo nemmeno cosa avesse detto. Ricordo però che l’intervistatore, a un certo punto, aveva chiesto: “Quindi lei l’ha letto il romanzo?”. La domanda era stata posta con quel tono di condiscendenza, quasi con il timore di aver fatto un quesito inutile vista la risposta ovvia che ci si aspettava.
Ma il critico, candidamente, rispose: “No.”
Poi rendendosi conto della figura poco dignitosa che aveva appena fatto, quest’ultimo si affrettò ad aggiungere “Però l’ho comprato.”
Come dire: l’ho comprato e sicuramente lo leggerò, sicuramente avrò questo parere. Sicuramente.
In quel periodo, in cui tutto il mondo parlava del romanzo di Dan Brown, dimostrare di non averne letto nemmeno la trama significava non essere al passo con la moda del momento. Quindi occorreva prendere posizione, dare un parere, un parere qualsiasi. E avere qualcosa da dire era diventato un must, tanto che, pur di far discussione e partecipare a quello strano “fenomeno collettivo”, andava bene anche prepararsi un parere sommario prima ancora di aver terminato la lettura.
Perché, sì, la lettura era diventata secondaria. Figurarsi la comprensione della lettura.
In questi giorni, il ricordo di questo fenomeno mi è tornato alla ribalta.
Stavo cercando un libro su Amazon, piuttosto corposo (quasi 600 pagine): si tratta di un romanzo storico ambientato a Monza nel Trecento. Quindi non esattamente una lettura da ombrellone.
Mi è caduto l’occhio sulle recensioni e ho trovato questa perla che, a mio parere, non poteva non meritare un post perché la dice lunga (ma che dico lunga? Lunghissima!) sul valore reale che possono avere le recensioni di un libro.
Perbacco! Ben 4 stelle date così, sulla fiducia. Davvero niente male. Quasi quasi mi vien da sospettare che la recensione sia stata scritta da un parente o un amico di fiducia.
Ma no, che vado mai a pensare? Dopotutto, come si può vedere dall’immagine, l’acquisto è verificato. Verificato dal sig. Amazon in persona, ovvero da quell’insieme di oscuri algoritmi che ostentano efficienza. Purtroppo nemmeno il sig. Amazon può arrivare dappertutto: al massimo può garantire che il libro sia stato effettivamente acquistato.
E la lettura? Dico: la lettura è verificata? Direi proprio di no, è fin troppo evidente. E il brillante recensore ci lascia pure con un amaro in bocca, visto che non potremo mai sapere “cosa avrà mai scoperto in quelle pagine”.
Post Scriptum
Non amo fare di tutte le erbe un fascio. Ovviamente non tutte le recensioni sono farlocche. Sicuramente una buona parte sono attendibili, un’altra buona parte non lo sono. E così sarà per sempre, per tutti i secoli dei secoli (qualcuno ha detto “amen”? Mi era sembrato… 🙂 ).
Personalmente, come lettore, ho sempre dato pochissimo peso alle recensioni.
Tuttavia bisogna sviluppare una sorta di sesto senso per saper individuare le recensioni di valore, quelle che possono spingerci ad assecondare o meno un acquisto. Inoltre bisogna imparare a leggere tra le righe perché è sempre difficile capire se una recensione, negativa o positiva che sia, viene espressa da una persona che ha i nostri stessi gusti e interessi.
Se poi si tratta della valutazione di un proprio romanzo, occorre maturare saggezza e distacco sia per non esaltarsi ad ogni recensione positiva, sia per non abbattersi ad ogni recensione negativa.
Comunque c’è da dire anche che su Amazon, alcuni rilasciano il voto non sul libro, ma sulla consegna. Il pacco è arrivato in tempo 5 stelle. Il libro mi è arrivato rovinato 1 stella. E il povero scrittore si becca un brutto voto perché Amazon ha consegnato male. 😀
Giusto. Si vedono anche tante recensioni di questo tipo. Tuttavia è evidente che si riferiscono al servizio e non al prodotto. Peccato solo facciano media… Mi stupisce che Amazon non abbia ancora elaborato un meccanismo per distinguere il voto al servizio dal voto al prodotto… Evidentemente non ne sentono il bisogno. Oppure è un aspetto che non ho ancora scoperto. 😀
Te ne racconto un’altra io di mister Amazon: ho un cugino che ha il mio stesso cognome (e sì, capita anche questo!) e, dopo avere letto il mio romanzo, poiché è rimasto molto sorpreso in positivo, ha deciso di scrivere una bella recensione che non è stata pubblicata perché, mi dicono gli esperti, Amazon blocca i giudizi di persone quando sospettano la truffa e la truffa dove si annidava in quel caso? ovvio, nell’omonimo cognome, come se un parente sol perché unito da legame di sangue con l’autore non potesse dire la sua. Questo per dire che il sistema di recensioni di Amazon ha più di una pecca e tu ne hai testimoniata un’altra: insomma, come puoi permettere a un utente di gradire il libro a titolo preventivo, mah!
Per quanto mi riguarda, sono tedesca in certe cose: non mi smuove alcun pregiudizio, io giudico solo dopo essermi sporcata le mani, al limite mollo la lettura per totale insoddisfazione e, in questo caso, non ho le carte in regola per lasciare una recensione seria.
Promuovere o stroncare sono i lati di una stessa medaglia: si fanno con cognizione di causa. Sempre.
Certo, ci sono diverse pecche.
Quello che apprezzo degli algoritmi di Amazon è che, in un certo senso, non guardano in faccia nessuno. Le miriadi di newsletter che vengono generate da Amazon in base ai gusti dei lettori, sono tese a spingere i titoli che, tra le altre cose, ottengono più recensioni. Quindi, a fronte dello stesso numero di recensioni, un titolo di un Ken Follett è sullo stesso livello di un titolo di, che ne so, un Darius Tred 😀 . E viene fatta promozione tanto dell’uno quanto dell’altro, ovviamente rispettando le preferenze degli utenti che decidono di quali generi letterari ricevere notizie.
Cosa che invece in libreria non succederà mai.
E’ molto democratico, insomma: è in questo senso che intendo dire “non guardare in faccia nessuno”.
Di contro, ovviamente ci sono tutte le pecche che vediamo, come quelle che dici tu e Marco. Eppure, da un punto di vista puramente informatico, basterebbe davvero poco per risolverle anche se resterà sempre impossibile capire se un libro è stato effettivamente letto.
D’altro canto io conosco un autore, di quelli big, che si è autorecensito da solo, su Amazon. L’ho “pizzicato” perchè ha scritto una recensione su un blog. La stessa recensione pari pari l’ho trovata su Amazon per quello stesso libro e andando a spidocchiare l’utente Amazon ho scoperto che si era anche autorecensito il suo, di libro. Hai capito, mò. E gliel’ho anche detto. Ha glissato con un “Beh, ma vuoi che un libro non piaccia al proprio autore?”
Beh, come ragionamento non fa una piega: un libro per forza deve piacere all’autore che l’ha scritto 😀 😀 😀
Scherzi a parte, io avevo sentito di una pratica simile: uno scambio di recensioni tra autori. Cioè: l’autore Pinco che scrive una recensione a 5 stelle all’autore Pallino. E questi ricambia il favore.
Naturalmente senza leggere i rispettivi libri, il tutto fatto quindi sulla fiducia.
Non è difficile immaginare che, oltre al favore, i due furboni di turno si scambino anche i testi delle recensioni per farle sembrare puntuali e precise, quindi più attendibili. Scambio che, di fatto, trasforma le recensioni in autorecensioni.
Bel tema, Dario, molto bravo. A me è capitato di dare giudizi “lusinghieri” a opere di amici che, se fossero state scritte da perfetti sconosciuti, non avrebbero ricevuto da parte mia lo stesso encomio… Credo sia normale e credo sia capitato a tutti. Per questo, in genere, preferisco non leggere cose scritte da amici e conoscenti. Non mi sentirei libero di dare un giudizio onesto. Forse non era proprio questo il tema del tuo post, ma credo sia in qualche modo un altro aspetto della stessa questione. Per quanto riguarda il giudicare, bene o male, senza aver letto, lo considero poco serio e comunque dannoso per tutti. È un po’ come scegliere di stare da una parte o dall’altra, di tifare una squadra o un’altra per il semplice colore della bandiera. Tuttavia, e sono serio nella domanda che ti sto per fare, credi davvero che gli amici della domenica riescano a leggere nel poco tempo che gli viene concesso tutti e dodici i romanzi che partecipano ogni anno al premio Strega? Sulla base di cosa votano, se davvero non dovessero riuscire nell’impresa? Una questione a cui cerco ancora una risposta…
Grazie per l’apprezzamento, Salvatore 🙂 .
Anch’io penso sia normale dare giudizi più lusinghieri quando si leggono opere di persone conosciute. Ci sta, anzi, a volte si viene proprio “incastrati”. Tuttavia, anche se generosi, si tratta sempre di giudizi dati dopo la lettura.
Quanto agli amici della domenica, non saprei che dire. Personalmente trovo difficile che proprio tutti riescano a leggere tutti i romanzi proposti, ma magari mi sbaglierò. E per il voto, onestamente non vorrei alimentare facili complottismi però ho sempre avuto strane sensazioni.
Diciamo che quando penso al premio Strega (ma lo stesso vale anche per altri premi), mi viene spesso in mente il Palio di Siena: c’è sì il giorno della corsa, ma i giorni precedenti c’è un gran “traffico” di intese e patti incrociati tra le varie contrade per far vincere l’uno o l’altro fantino.
Ma, dicevo, non mi piace fare complottismi sommari e mi tengo il beneficio del dubbio… 😀
Io i libri che fanno troppo “can can” li leggo un paio di anni dopo, generalmente. A volte però mi capita di precedere, di poco, l’esplosione marketing ma è raro perchè oramai appena escono…sono già best seller internazionali! 😛
Il marketing è sempre una spina nel fianco quando si tratta di scegliere una lettura: non solo vengono lanciati romanzi già best seller, ma pure gli autori (di fatto esordienti perché sono al primo titolo in libreria) vengono presentati come il nuovo Crichton, il nuovo Cussler, il nuovo Tizio, il nuovo Caio.
Il Codice da Vinci io l’avevo pescato davvero per caso. Tra l’altro l’avevo pure comprato in un supermercato dove sono soliti disporre i libri un po’ a casaccio, senza quel riguardo dettato dalle esigenze di marketing che di solito si vede di più nelle librerie.
Ciao. Darius.
Molto interessante il tutto, anche il tuo spazio del retro blog, stimolante e originale. Complimenti!
Concordo con la tua linea di pensiero.
Avverto nell’aria molta leggerezza e una buona dose di violenza nelle interazioni e nei giudizi, dove spesso
arroganza, pregiudizio e superficialità sono ritenuti diritti acquisiti, spazi espressivi entro i quali si esercita la libertà di scrivere anche senza pensare o senza minimamente modulare le proprie intenzioni.
Ho visto libri di una certa importanza, di scrittori di un certo calibro, (scrittori Einaudi e Adelphi) fatti letteralmente a pezzi da ragazzini inferociti e severissimi, infarciti di nozioni sul giusto scrivere, solo perché a livello stilistico non rispondevano ai canoni o ai diktat della loro ortodossia. Perché lo scrittore mostrava una certa involuzione nello sviluppo della storia, cose del genere, per poi passare all’attacco. O solo per il gusto di sparare a zero, semmai senza aver approfondito o in casi estremi, – come quelli
che mostri –senza aver nemmeno letto. Ma premere il grilletto con le proprie parole per alcuni è una forma
di appagamento, un po’ come il cornetto caldo a mezzanotte, il jogging sul lungomare o il Kick boxing: insomma un modo per dimostrare carattere in rete, dal proprio cantuccio o impero, attraverso l’aggressività e la presunzione di essere in possesso della verità assoluta, sulla letteratura, sul modo giusto di scrivere e di creare e sul mondo.
Ben venga una critica costruttiva, anche spietata, che in diversi casi potrebbe ritornare utile nella ricerca personale e artistica di uno scrittore, in certi casi anche illuminante, perché no. Fa parte del gioco.
La stessa leggerezza la evinco spesso anche da quei giudizi di assoluto buonismo, anche loro piuttosto gratuiti e superficiali, lanciati solo per presenziare con una strategia di magnanimità, o forse per sentire il calore e l’accoglienza di un nuovo gruppo di scrittura, con la speranza che lo stesso, quando sarà poi il tuo
turno, sia ugualmente placido e comprensivo nei suoi confronti – di solito parlo di scrittori in cerca di consensi e con il carattere opposto, al girone dei “violenti” di cui sopra. Ancora più grave quando un critico vero cada in certe trappole e sia stritolato dal meccanismo.
Sarebbe utile un rallentamento delle pulsioni emozionali e anche delle certezze, delle sicurezze
che in molti commenti mostrano dei personaggi impavidi, che conoscono il giusto modo
di costruire storie e soprattutto con la tendenza a insegnare a creare nell’unico modo ch ritengono giusto e plausibile.
Beati loro. Di solito chi non opera non falla.
Una volta un blogger distrusse un incipit di un mio racconto, (condiviso tra l’altro attraverso un piccolo progetto editoriale, con tanto di editing curato da una scrittrice del progetto), chiedendosi come fosse possibile che esistessero persone che trovassero il coraggio di mostrare un proprio scritto senza avere prima approfondito le regole base della sintassi della lingua italiana. Il tutto senza darmi diritto di replica, dal momento che questo blog non dava la possibilità di rispondere. Questo solo perché nell’incipit avevo osato una costruzione con una lievissima tendenza alla paraipotassi, (è stata una mia intepretazione, dal momento che non riuscivo a comprendere tanto clamore per un passaggio che avvertivo naturale e fluido nell’insieme, ma nulla di così catastrofico). Evidentemente quel passaggio andava a rompere un’ idea della lingua italiana ormai cristalizzata dentro la sua testa, che se trasgredita andava punita con l’astinenza, probabilmente.
Giusto per sorriderci.
Ci vuole molta pazienza, enorme umiltà e coraggio, di questi tempi.
Saluti e in gamba
Ciao Luigi. Ben arrivato sul mio retro blog e grazie mille per i complimenti. 🙂
Purtroppo quello delle recensioni è un mondo a parte. E’ sempre molto difficile interpretarlo e occorre una santa pazienza per dare il giusto peso a ogni singola recensione, qualora si decidesse di prenderle in considerazione quando si spulciano i titoli alla ricerca di una lettura. Non si può nemmeno optare per un approccio statistico (cioè guardando solo la media e la distribuzione dei voti) in quanto, come dice giustamente Marco poco sopra, ci sono pure le persone che si limitano a fare la recensione sul servizio di consegna di Amazon. E anche queste fanno media.
Quindi: togliamo le recensioni sul servizio di consegna, togliamo le recensioni palesemente arroganti, togliamo le recensioni farlocche (ne scopro tante quando mi diverto a leggere le recensioni DOPO aver letto un libro), sgrassiamo via la sedicenza (e la violenza verbale) di chi dice di saperla lunga senza mai aver scritto una riga… Cosa rimane?
A mio avviso ben poco…