Questo racconto è germogliato spontaneo da alcuni semi che un contest narrativo ha piantato nella mia mente accaldata. L’ho scritto in una località tropicale non perché mi ci trovavo in vacanza ma perché il clima tropicale è venuto in vacanza dalle mie parti 😀 . I semi hanno un nome preciso: sono parole che devono essere incluse nella narrazione. Possono essere scoperte seguendo questo link, dove è possibile trovare tutti i dettagli della sfida, il regolamento e i premi messi in palio dai vulcanici organizzatori del contest 😉 .
Le leggende di Annecy
«Dove sarà il nostro appuntamento?»
«Al porto franco di Ginevra.»
Scott sospirò.
«Il Bardo ha parlato chiaro» disse Guglielmo. «Vuole la mappa di Claire Tissot. E dovremo collaborare.»
Seduto al tavolino del caffè, Scott cercò di godersi il panorama del lago. Il porto franco di Ginevra, distante pochi chilometri dal punto in cui si trovavano, era uno dei posti più segreti e impenetrabili del mondo. La sua segretezza non nasceva dall’ubicazione, nota più o meno a tutti, ma dalla sua natura: un insieme di anonimi edifici che ospitavano innumerevoli caveau di svariate dimensioni, organizzati in un sito ad altissimo profilo tecnologico dove chiunque poteva custodire qualsiasi cosa in totale legalità. Gioielli, valute, oro, pietre preziose. Ma anche opere d’arte, sculture, reperti archeologici. Autentici tesori di cui non solo veniva celata l’esistenza, ma anche la provenienza e, spesso, la destinazione. Trafugare qualsiasi cosa da un posto del genere era un’autentica impresa, a meno che non si disponesse di un regolare permesso per accedere.
«E quanto ci paga il Bardo per questo servizio?»
Guglielmo non rispose subito.
«Vorrei prima capire che cosa indica questa mappa…» disse poi.
Scott rimase in silenzio con i suoi dubbi. Ordinò un altro caffè. Avere a che fare con il Bardo non era mai semplice, pensò. Ma doveva riconoscere che era un tipo audace. Le sue informazioni sempre puntuali, attendibili, mai banali. E soprattutto preziose. In tutti i sensi. La prima volta che aveva sentito quel nome d’arte, l’aveva trovato ridicolo. Ma con il tempo aveva capito che negli ambienti dei servizi segreti quel nomignolo incuteva un profondo timore reverenziale. Guardò l’orologio. L’attesa era ancora lunga.
«Tu che idea ti sei fatto, sulla mappa?» domandò.
«Be’» disse Guglielmo «se si tratta davvero della mappa di Claire Tissot, allora abbiamo a che fare con l’oro, forse. L’oro di Annecy. Secondo alcune storie, pare che Claire Tissot fosse una delle tre alchimiste della leggenda di Annecy…»
Scott ripensò alla leggenda. L’aveva letta nel dossier che Guglielmo gli aveva sottoposto, un dossier fornito dal Bardo. Quella storia affondava le sue radici nella seconda metà del Settecento quando in Europa cominciò a circolare una quantità insolita di oro. Alcuni storici sostenevano che provenisse dall’Alta Savoia, una regione alpina francese alle pendici del Monte Bianco. Dal momento che non erano mai state rinvenute miniere d’oro sulle Alpi, ben presto cominciarono a circolare le voci più disparate.
«In realtà erano figlie di un alchimista, un certo Gaston Adamantin-Tissot» riprese Guglielmo. «E pare che costui avesse trovato il modo di tramutare la roccia in oro. Un giorno partì per un viaggio senza fare più ritorno. Niente di strano, storie del genere riempiono le cronache di ogni tempo. Ma qui finisce la storia e comincia la leggenda» concluse guardando a sua volta l’orologio.
«La leggenda di Splendente, Luminosa e Brillante, le tre alchimiste di Annecy…» confermò Scott, memore del dossier.
«…oppure, se preferisci, la leggenda della maledizione di Adamantino.»
Scott rimase interdetto. «Questa parte mi manca…»
Guglielmo sorrise. «Forse manca pure al Bardo, ma non ci giurerei. In ogni caso, ne sono venuto a conoscenza.»
«La maledizione di Adamantino? Mai sentita nominare, se devo essere sincero…»
«È legata a doppio filo con il nostro Gaston. Adamantino non è altro che il suo cognome italianizzato. Mi risulta infatti che il buon Gaston Adamantin-Tissot deve aver fatto almeno tre viaggi in Italia. Secondo alcune mie fonti, è stato spesso nei pressi della Rocca di San Leo e a San Marino. Pare fosse in contatto con Cagliostro. Qui le vicende si intrecciano, è difficile capire dove trovare un fondo di verità… ma non perdiamoci per leggende. Il punto chiave è sempre quello: come dicevo, pare che Gaston abbia trovato il modo di tramutare la roccia in oro.»
Scott ascoltava perplesso. «Gli alchimisti miravano a mutare il piombo in oro, se non ricordo male…» obiettò.
«Ma il nostro Gaston non era un alchimista come tutti gli altri. Studiava la roccia: un tipo particolare di granito. E dove troviamo granito in abbondanza, se non sulle Alpi?»
Indugiarono con lo sguardo sulle montagne che avevano attorno.
«La maledizione di Adamantino nasce da un fatto curioso» proseguì Guglielmo. «Sembra che l’oro di Gaston fosse maledetto. Dopo la presunta trasmutazione non poteva essere utilizzato subito. Occorreva aspettare qualche anno prima di toccarlo, pena la morte dopo lunga malattia. Proprio la fine che ha fatto lo stesso Gaston prima di trovare un rimedio a questo inconveniente. Rimedio che rivelò in punto di morte al suo fedele assistente, Jean Foucault.»
«Rimedio rimasto segreto, suppongo…» commentò ironicamente Scott.
«No. La trasmutazione doveva essere effettuata nelle acque di un lago… la cui ubicazione è rimasta sconosciuta. Sospetto che la mappa di Claire Tissot indichi dove trovarlo.»
«È una storia avvincente ma la trovo assurda…»
«Forse ti stupirà sapere» aggiunse Guglielmo senza scomporsi «che in natura esistono processi spontanei di trasmutazioni metalliche. Letteralmente: metalli che compaiono al posto di altri. E indovina un po’ dove avvengono?»
Scott sollevò gli occhiali da sole incuriosito.
«Nei processi di formazione dei graniti» disse Guglielmo compiaciuto. «Guarda un po’ che coincidenza… Alcune equipe di geologi studiano il fenomeno da anni. Non riescono a spiegarsi la genesi di certe striature di metallo nei basamenti di roccia.»
Il quadro della situazione si fece più lineare. Sotto il manto ovattato delle leggende pareva essere nascosto qualche scampolo di verità.
«E la maledizione? Come te la spieghi?» domandò Scott.
«Nei processi naturali scoperti dai geologi avvengono cambiamenti a bassa energia nucleare. Generano radioattività di fondo. La mia ipotesi è che il processo di Gaston provocasse un’accelerazione di questa trasmutazione naturale, implicando un picco di radioattività. Ma nel Settecento non erano in grado di rilevare né spiegare la radioattività: e questo potrebbe essere all’origine della maledizione e della malattia di Gaston.»
«Ma non dicevi che aveva trovato un rimedio? Rivelato al suo assistente in punto di morte…»
«Esatto. E qui troviamo il punto di unione delle due leggende. L’assistente di Gaston, Jean Foucault, ricevette due rivelazioni. La prima era il rimedio alla maledizione: la trasmutazione doveva essere effettuata nelle acque di un preciso lago. La seconda: il nome e l’ubicazione del lago erano conosciuti dall’ultima delle figlie di Gaston, Claire. Diciamo che Gaston voleva assicurarsi che Foucault rintracciasse le sue figlie per condividere il segreto con loro.»
«Astuto…»
«Come sai dal dossier del Bardo, l’identità delle tre figlie di Gaston non era nota. Forse una di loro era Claire Tissot ma non vi è alcuna certezza. L’Alta Savoia, all’epoca, fu coinvolta in un paio di guerre di secessione. La popolazione fu messa a dura prova e intere famiglie migravano continuamente per sfuggire a battaglie e saccheggi. Per questo le tre donne non avevano con sé l’oro. Secondo la leggenda, le alchimiste di Annecy all’occorrenza sapevano dove andare a prenderlo: si dice che sparissero per alcuni giorni sulle montagne per poi tornare con l’oro necessario. Sospetto che la mappa indichi dove trovare questo lago.»
«Bingo. Potremmo tenercela.»
«Difficile» rispose. «Avremmo il Bardo alle costole. Forse potremmo falsificarla… Ma torniamo a noi: lui vuole che entriamo nel porto franco di Ginevra per prelevare un piccolo scrigno di legno contenente la presunta mappa di Claire Tissot con alcune pietre d’oro. Non ho la più pallida idea di come abbia fatto il Bardo a sapere della sua esistenza» continuò. «Così come non ho la più pallida idea di come funzioni questo aggeggio che ci ha fornito» concluse. Estrasse un piccolo dispositivo e lo posò sul tavolino.
«Il rilevatore» esclamò Scott riconoscendolo. Guglielmo gliene aveva già parlato. «Davvero quell’affare è in grado di rilevare oro a distanza?»
«Non rileva oro a distanza» ribadì. «Rileva entropia residua di oggetti a distanza. Si tratta di un fenomeno collaterale della radioattività di fondo. E il Bardo mi ha informato che solo l’oro dello scrigno ne è caratterizzato. Questo gioiellino arriva direttamente dal MIT di Boston, dove lo stesso Bardo vanta contatti di prim’ordine. Ci sarà indispensabile: nell’edificio in cui entreremo, ci saranno decine di caveau, oro in tutte le forme. Dovremo dirigerci verso il caveau indicato da questo rilevatore. Ci basterà tenerlo in tasca: e lui vibrerà di fronte alla porta giusta. È lì che troveremo lo scrigno.»
«E l’edificio?»
«Ce lo indicherà la guardia all’appuntamento di stasera. Ci presenteremo con il nostro lasciapassare…»Il giorno seguente Scott e Guglielmo si trovavano su uno yatch. La sera prima, prelevare lo scrigno era stato un gioco da ragazzi. Ma la guardia, oltre a indicare loro l’edificio, aveva anche comunicato l’ultima richiesta del Bardo: farsi imbarcare sull’Ondivago, uno yatch di lusso che li avrebbe portati sulla sponda francese del lago. Osservò con rammarico lo scrigno: la mappa, corredata da scritte in occitanico, indicava l’ubicazione del lago proprio come si aspettava. Ma essa era incisa sul fondo di legno. Forse uno stratagemma per alimentare la leggenda della maledizione: per poterla leggere era infatti necessario estrarre le pietre tramutate in oro contenute nello stesso scrigno, pietre probabilmente radioattive. Ma quel che preoccupava Guglielmo non era tanto la radioattività, ormai esaurita da secoli, quanto il fatto di dover condividere quel tesoro con il Bardo. Se la mappa fosse stata vergata su pergamena, sarebbe stato più semplice falsificarla.
Richiuse lo scrigno, accarezzando la scritta incisa sul coperchio: “ClaFouTis”. A prima vista non ne aveva compreso il significato. Ma poi capì: Claire Foucault Tissot. Jean Foucault aveva rispettato le ultime volontà di Gaston condividendo il segreto con le sue figlie.
E forse si innamorò di Claire.
(C) 2018 – Darius Tred
Problemi con il pallottoliere
Fine del racconto. In occasione del primo contest ero arrivato lungo con il mio raccontino, fregandomene bellamente del limite di battute imposto (8000, se non ricordo male). Questa volta il limite è stato un po’ più largo ma stavo facendo di peggio: il Mezzo libero racconto si è sviluppato un po’ troppo liberamente e allora, pur essendo nato come “sfida nella sfida”, l’ho concluso includendo le parole richieste ma ho deciso di metterlo nel cassetto. Non sono per niente bravo a tagliare, decisamente.
Allora sono ripartito da zero, elucubrando un nuovo intreccio e tenendo il pallottoliere di fianco al monitor. ‘na faticaccia immane! E poi? Scopro tragicamente che ogni editor conteggia a proprio sentimento.
Il signor Nottepadd Plas-Plas sostiene di contare 10.349 caratteri: mi conta doppie le virgolette e, se ho capito bene, mi conta pure il CrLf (a capo). Immagino dipenda dalla codifica dei caratteri.
Il dottor Maicrosoft Uord, dal canto suo, dice: “10.000 caratteri tondi-tondi! Bravo Darius! Ti fidi o vuoi contarli di persona?” Ripenso alla leggendaria precisione della Maicrosoft, ai suoi mantra (“La memoria non poteva essere read” …) e quasi quasi sono tentato di contarli di persona. 😀
L’editor del professor Uordprex invece è più pigro, conta solo le parole: 1564. Ma almeno è d’accordo con il numero di parole rilevate dal dottor Uord…
Alla fine ho deciso di fidarmi del dottor Uord perché ho trovato questo articolo interessante 😀 …
Due chiacchiere (non richieste) con l’autore (cioè con me)
Quel “ClaFouTis” è una genialata! 😀
Un po’ meno sulle altre parole, che per non lasciarti sopraffare dalla loro presenza, hai trasformato in nomi propri o nomignoli. Ma nel complesso devo dire che questo racconto “ci sta parecchio”!
E noi ci fidiamo di Word… Notepad ++ è un mondo a parte, anche se la cosa è curiosa e meriterebbe indagini. 😉
È la tassa da pagare per i limiti di battute! So bene che almeno un paio di parole son dentro a forza. Il mezzo libero racconto, per la cronaca, era già a quota 50mila quando ho deciso che non si poteva più tagliare… 🙂
Sono d’accordo con Barbara (ho riconosciuto il contest su cui sto lavorando anch’io) come hai introdotto Clafoutis è geniale. Bravo. Un racconto a metà tra fantasia e lezione di scienze (anche la “magia” alchemica lo è). All’inizio credevo però fosse ambientato qualche secolo fa. Il Mit mi ha spiazzato ma in ogni caso, complimenti. Non ho capito se alla fine è in gara. Affilo la penna ????
Grazie, troppo buona. Spero di essere in gara: può succedere che abbia sfiorato i 10.000 caratteri, magari qualcuno li conterà e quindi sarò fuori concorso. Ma quel che conta è divertirsi e io mi son divertito a scrivere. Spero si diverta anche chi legge.
In ogni caso, affila la penna e buttati nella mischia! 😉
Ummi Ummi se sfori puoi rimediare o scatta la ghigliottina? ????
Complimenti. Grande dimostrazione di fantasia in questo racconto Temibile avversario, in bocca al lupo per il contest.
Grazie mille, davvero. Sei troppo buona, non penso affatto di essere così temibile… 😉
Ricambio l’augurio: in bocca al lupo anche a te!
Studio degli argomenti trattati, coerenza narrativa, inventiva vivace… e potrei continuare.
Complimenti, Darius. Che il contest abbia già un vincitore?
Se proprio (ma se proprio) dovessi fare un appunto (che nessuno ha chiesto), allora direi che il tuo racconto lambisce appena l’azione, senza entrare nel vivo; d’altro canto comprendo perfettamente che le scene d’azione valide contano un numero di battute che va oltre le 10 mila in questione, per tanto inserire una scena con personaggi “attivi” sarebbe stato umanamente impossibile.
Ottimo lavoro 😉
Grazie Calogero, troppo buono.
Condivido pienamente il tuo appunto: c’è poca azione. Ma hai anche già colto il motivo: con un limite di 10 mila battute è molto difficile (almeno per me) descrivere efficacemente scene d’azione. Azione o meno, credo che un limite di battute imponga comunque a chi scrive di rinunciare a qualcosa, anche se è comprensibile che per contest e concorsi è necessario stabilire tali limiti.
E’ difficile per chiunque. Non credo proprio che gli altri concorrenti abbiano scritto scene d’azione alla Fast & Furious.
I limiti sono ovviamente necessari, magari basterebbe soltanto alzare il limite di battute a 150 mila, per andare bene 😀
… ma probabilmente troveremmo modo di considerare poche anche le 150 mila, sai com’è…
Proposta interessante: 150mila battute per il prossimo contest! Sono sicuro che Barbara sarà più che d’accordo, anzi: d’accordissimo! 😀 😀 😀
Allora cominciamo già ad affilare i pennini e rabboccare i calamai 😉
150 mila battute per inserire una scena d’azione???
“Un pugno secco lo mandò a terra. Sentì la mandibola spezzarsi in due.”
A scuola da Raymond Carver vi mando!! 😀
Nella vita c’è sempre da imparare ma Carver non è esattamente il primo autore a cui penso quando voglio imparare qualcosa. Nemmeno quando voglio leggere qualcosa di bello, a dire il vero. A dirla proprio tutta, non lo considero proprio… 😛
Hai assolutamente ragione, Barbara, 150 mila sarebbero poche per fare un lavoro giusto 😀
Ciao Darius,
nel caso ancora non conoscessi l’esito del contest evito di fare spoiler e mi limito a farti i complimenti. Anche questa volta sei entrato nella rosa dei migliori 🙂
Ciao! Visto, visto. Grazie mille per i complimenti. Anch’io ti faccio i complimenti per il tuo racconto. Ora non ci resta che aspettare il prossimo contest di Barbara, quello da 150mila battute… 😀 😀 😀
Grazie, apprezzo molto.
Forse ho sbagliato a proporne solo 150 mila; non so se riusciremo a starci dentro. Sai quanto puo’ essere insistente il richiamo del foglio bianco… quella smania di riempirlo di parole 😀