Il video di cui mi sono appuntato il link (a mia futura memoria) mi offre interessanti spunti su cui riflettere. Si tratta di qualche verità scomoda.

Video Bookblister - 10 verità scomode sull'editoriaE quindi eccomi qui: poso la tazzina di caffè fumante nella penombra della notte e riassumo in modo estremamente sintetico il punto 2, 3 e 5.
Fare l’editore è un lavoro folle.
Fare lo scrittore è un lavoro folle.
Fare l’agente letterario è un lavoro folle.

C’è solo un dettaglio che non mi torna. Se davvero questi tre lavori sono così folli, perché esistono persone che lo svolgono?
È possibile che siano così folli da non accorgersi di fare un lavoro folle? 😀

Lo scrittore folle

Che fare lo scrittore sia un mestiere folle (che poi, come citato nel video stesso, mestiere non è), potrei essere molto d’accordo anche se non per i motivi citati nel video. Chiara Beretta Mazzotta dice che

“sei talmente appassionato del mondo che passi la maggior parte del tuo tempo chiuso in una stanza a raccontarlo. Quando hai finito, se sei abbastanza bravo, devi convincere il tuo agente di aver fatto un buon lavoro, che a sua volta dovrà convincere l’editore che quello è un buon lavoro, che a sua volta dovrà convincere l’ufficio stampa che quello è un buon lavoro, che a sua volta dovrà convincere i lettori che quello è un buon lavoro. Ma se le cose non andranno per il verso giusto e il tuo libro non vende abbastanza dopo che è stato pubblicato, passeranno due o tre settimane e il tuo libro tornerà indietro”.

Dunque: se ho capito bene, la follia di chi scrive non sta esattamente nello scrivere ma nel tentar di convincere che quel che si è scritto è buono. Convincere chi?
L’agente, l’editore, il lettore.
Un ragionamento che, seppur condivisibile, presenta per lo scrittore qualche zona d’ombra assolutamente incontrollabile.
Infatti uno scrittore potrebbe anche essere “abbastanza bravo da convincere un agente di aver fatto un buon lavoro”. Perché no?
Ma come può sapere se l’agente sarà abbastanza bravo da convincere un editore?
E come potrà sapere se l’editore (convinto dall’agente) sarà abbastanza bravo o se nel suo ufficio stampa saranno tutti così bravi?
Ecco, sì. Credo che da questo punto di vista lo scrittore sarebbe davvero folle se pensasse di poter controllare queste zone d’ombra piene zeppe di variabili del tutto imprevedibili.

Il verso giusto

Ma le parole che mi danno più da riflettere sono tutte in quella penultima frase: “se le cose non andranno per il verso giusto”. Ecco, mi chiedo: qual è, esattamente, il verso giusto? Soprattutto chi (e come) stabilisce il verso giusto? In base a quali parametri?
Ovviamente lo scrittore non può saperlo. Verrebbe da pensare che il verso giusto venga stabilito dalla triade agente-editore-lettore, ciascuno spinto dai propri interessi che non sempre sono gli stessi dello scrittore (quest’ultimo sarebbe davvero folle se la pensasse così).
Quindi, più per amor di obiettività che di complottismo, è lecito pensare che “il verso giusto” venga deciso da qualcuno nella triade, senza dimenticare che, in quella triade, ci stanno altri due folli: l’agente e l’editore… 😀
Tenderei a escludere il lettore per due motivi: uno, costui è più che legittimamente spinto dai propri interessi e dalle proprie preferenze, nonché dal sacrosanto diritto di spendere i propri soldi come meglio crede. Due, costui in realtà è un “costoro”: i lettori sono infatti decine, centinaia, migliaia. Ed è fisiologicamente impossibile (per lo scrittore che scrive) soddisfare tutti i lettori in ogni singola soggettività. Mentre invece l’agente e l’editore sono persone singole…

Lo scrittore veramente folle

Ora, tra tutti questi folli e folletti, può accadere che emerga lo scrittore veramente folle, vale a dire lo scrittore che si chiede: “Perché devo convincere un agente letterario della bontà del mio libro, il quale dovrà poi convincere un editore, il quale dovrà convincere l’ufficio stampa, il quale dovrà convincere il lettore?”
In seconda battuta, lo scrittore veramente folle si chiede: “Non posso convincere direttamente io il lettore saltando a pie’ pari gli altri due folli ?”
Ecco dove sta, forse, la vera follia: il decidere di fare tutto da sé.
Ma davvero è una follia? O meglio: davvero è una follia più folle della prima? 😛

Dubbi

Chi fa da sé fa per tre. Lo diceva anche mia nonna. Ma la saggezza popolare, almeno in questo caso, serve a poco.
Fare da sé (dove per “fare” non intendo scrivo e pubblico subito in self) è una follia.
Fare con la triade è una follia.
Ecco, forse è questa la verità più scomoda: due follie diverse ma insidiose, dalle quali si può scappare solo mettendo la propria opera nel famoso cassetto anziché optare per un qualche tipo di pubblicazione.
Ma mettere romanzi nel cassetto equivale più o meno a sostenere che si scrive per puro piacere e che non si è interessati a nessun tipo di pubblicazione.
E a volte basta solo questa scelta per essere definiti, appunto, folli… 🙂
Dunque? Dunque, niente.
“Stay hungry, stay foolish”… 😉

18 commenti su “Lavori folli

    1. Molto bello. Mi piace questo tuo punto di vista. Forse la chiave è proprio questa: nella vita siamo tutti un po’ folli in quel che facciamo, ma ognuno trova la propria grande bellezza nel farlo… 🙂

  1. Steve Jobs diceva agli altri “Stay hungry, stay foolish”, ma lui non era solo affamato e folle, è riconosciuto che era pure un tantiniello stronzo. 😀
    E se volessimo andare a vedere bene bene, non è che lui abbia avuto successo “creando” qualcosa, ma “vendendo” qualcosa creato da altri. Temo che dovremmo considerarlo più un editore, che uno scrittore…
    Di Steve Jobs tutti si ricordano, di Wozniak in pochissimi. Potere del marketing. Pardon, dell’ufficio stampa.
    Si è folli quando si fa un mestiere che piace pur essendo pagato poco, con le minori probabilità di successo del vincere il superenalotto.
    Ma i soldi non fanno la felicità, no?

  2. La cosa interessante è questa. Se prendi il discorso di Chiara e lo analizzi, è ciò che io ho predicato per anni, del perché il self da autore indipendente, è una strada abbastanza sensata, in un mondo editoriale composto da troppe incognite. Eppure, questi stessi concetti sull’editoria complicata, se li dice Chiara, i detrattori pensano: che verità illuminanti. Quando certe cose le dicevo io: ma questo è folle.
    Vedi come gira il mondo.
    Semplice constatazione la mia.

    Sulla follia di andare self o pubblicare con editore, ti posso raccontare di me con Salvatore. Il grande Anfuso.

    Confrontandoci su questo tema abbiamo chiarito qual è la discriminante fra noi perché lui sceglie l’editoria e io il self publishing. In pratica lui ritiene di poter ricevere la gran botta di sedere che allineerà tutti contenti lo scrittore che scrive, l’agente che ti ama, l’editore che ti sceglie e il lettori che vanno in giubilo per te.

    Io viceversa, non considerandomi particolarmente fortunato, e credendo che la botta di sedere te la devi costruire da solo, non credo affatto in quell’allineamento astrale, così scelgo senza rimpianti di fare tutto da me.
    Sarò folle a modo mio, ma della follia che mi rende padrone del mio destino. Ma è anche vero che, esponendo le mie idee self a Chiara, lei per mail una volta mi ha detto che se il mio modo di concepire il self, lo applicasse l’editoria su se stessa, l’editoria avrebbe risolto gran parte dei suoi mali.

    Comunque Chiara quando parla di Verso giusto, intende una cosa precisa.
    Cioè la vendita concreta del libro. Un libro appena pubblicato in libreria, se non raggiunge una soglia ottimale di vendite, dopo poche settimane viene rimesso nei cartoni dai librai e rispedito all’editore. Amen, quel libro non ha funzionato, si passa al prossimo, con buona pace dello scrittore che era felice d’aver convinto un agente, d’aver trovato un editore, d’essere finito in libreria e splash, sogno finito perché il libro non è andato. E questa è la sorte che capita al 90% se non di più dei libri che finiscono in libreria.
    Il verso giusto è quella soglia tra il diventare uno scrittore riconosciuto e il ritornare al mittente perché in pochi o nessuno ti hanno filato. Pazienza.

    1
    1. Infatti ho trovato condivisibile buona parte del discorso esposto nel video, esattamente come ho sempre trovato condivisibili i tuoi ragionamenti che ho già letto altrove. Alla fine siamo qui a parlare di una serie di verità scomode, anche se non sono sicuro di aver capito fino in fondo per chi, in realtà, sono davvero scomode.

      Forse c’è una buona dose di follia per tutti quanti (scrittore, agente, editore, lettore) e anche una certa bellezza, come dice Sandra.

      Io resto convinto che fare bene un lavoro in self (dove per “bene” *NON* intendo scrivo e pubblico subito senza avvalermi di supporti esterni) non sia poi così tanto più folle del tentare la gran botta de cu’ del grande Anfuso 😀 .

      Resta sempre quella strana sensazione che probabilmente questa cosa qua, agente letterario ed editore non sono così folli da dirtelo chiaramente in faccia. E anche vero che, oggettivamente, non tutti i bravi scrittori sono anche bravi a gestirsi come brand: è proprio un altro mestiere.

    2. “…se li dice Chiara, i detrattori pensano: che verità illuminanti. Quando certe cose le dicevo io: ma questo è folle.”
      Stavo per scrivere che la differenza è lo spazio: Chiara lo dice da dentro la filiera editoriale, tu lo dici da fuori. E i più pensano che le regole del gioco le puoi conoscere solo dall’interno.
      Poi mi sono invece ricordata del fattore più importante.
      Chiara è bionda, e tu no. Blonde Power! 😀 😀 😀

      …scusate, non potendo ammazzare un cliente dovevo trovare maniera di sfogarmi. Torno nel mio sottoscala.

  3. Non sono certo di aver capito, Darius, probabilmente a causa del periodo di confusione che sto passando da 38 anni e mezzo a questa parte.
    Se
    1) non riesco a raggiungere le case editrici, che poi, diciamolo, sono l’ambizione di ciascuno che si arrabatta a scrivere, anche di chi lo nega, a parer mio;
    2) non posso permettermi collaborazioni esterne (editor, grafici e compagnia cantanti);
    3) escludo la possibilità di scrivere per il famigerato cassetto:
    cosa mi resta da fare? L’inappuntabile Chiara Beretta Mazzotta cosa suggerisce (volendo escludere l’opzione darsi fuoco col propellente per missili o “buttare le pagine che non portano in una bella libreria”)?

    1. Poni domande spinose…
      Se vuoi ti svelo una mia tattica: tra 5/10 anni il mondo dell’editoria sarà completamente diverso da come lo conosciamo oggi. E forse le tue domande spinose non avranno più ragion d’essere.

      Nel frattempo?
      Non so te, ma io sono nella mia fase creativa. In questi 5/10 anni scribacchio le mie tre/quattro operette serie e poi si vedrà.
      Tra 5/10 anni, proprio perché l’editoria sarà cambiata, forse non sarà più una follia “convincere un agente, che convinca un editore, ecc…”, come dice CBM.
      Oppure tra 5/10 anni forse non sarà più una follia fare da self come sembra oggi.

      Chissà.

      2
      1. 5-10 anni sono un tempo bello lungo…
        Pure i Convintoni di Marina fanno ora smontarsi come la panna col latte caldo 😀

  4. Io sposo in toto la frase della Beretta Mazzotta che chiude la superclassifica. 🙂
    E secondo me, ha fatto questo illuminante video per scoraggiare i soliti convintoni che pensano che sia sufficiente avere una storia da raccontare fra le dita per essere scrittori: chissà quanti gliene capitano, è un evidente grido di ribellione, un “basta, abbiate il buon senso di fare un passo indietro” urlato, in maniera elegante, per i “buon intenditori”. 😉

    1
    1. Sibillina, sei… 🙂

      Volendo ben guardare, di frasi che “chiudono” (non solo la superclassifica) CBM ne ha dette molte: ne ha dette per i convintoni che vogliono fare il lavoro folle dello scrittore. Ne ha dette anche per i convintoni che vogliono fare il lavoro folle di agente ed editore… 😉

      Diciamo che è un video illuminante per tutte le categorie di convintoni… 🙂

      1
      1. Sì, appunto: ti dice, forse nemmeno tanto fra le righe, che fare lo scrittore è un mestiere impossibile, perché, se vuoi seguire le vie canoniche, incontri muri molto più spesso invalicabili che non (agenti, editori e compagnia bella); se vuoi fare da te devi accettare di accontentarti di un pubblico di amici e parenti.
        Vuole scoraggiare i temerari o aprire gli occhi agli sprovveduti.
        Insomma: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” in questo mondo.
        Forse coltivare altri sogni non sarebbe male!

        1. Parli come una che ha appeso la penna al chiodo…

          Diciamo che forse bisogna solo dare la giusta dimensione a tutte le cose, calibrando opportunamente le aspettative.
          Fare lo scrittore non è un mestiere. Se guardo tutti i grandi autori, nella vita hanno sempre fatto altro (medici, avvocati, professori, giornalisti…). Gente che ha studiato altro, ha fatto altri mestieri. Poi, spesso in un secondo momento nella vita, queste persone hanno cominciato a scrivere.
          Ne consegue che non hanno mai deciso di vivere di scrittura. E forse è questa la chiave di tutto perché, subito in partenza, ti scrolli di dosso tutte le ansie da prestazione e le relative aspettative.

          Certo, alla fin fine, si tratta di avere il coraggio di ridurre la scrittura a un hobby.
          Ma vogliono farti credere che anche questo “hobby” sia un lavoro folle, perché al giorno d’oggi, abituati come siamo al tutto-subito o al fare-soldi-sempre-comunque-subito, chi si dedica a qualcosa che si pone un attimo al di fuori di questa logica, è sostanzialmente un mattacchione che ha un gran tempo da perdere.

          Fermo restando che ognuno è libero di coltivare i sogni che vuole… 😉

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