Rubo questo titolo da un articolo che mi è capitato di leggere, il cui occhiello ha catturato la mia attenzione:

“Lamentarsi per la durata dei film è diventata una moda. Ma l’arte richiede tenacia e pazienza.”

L’articolo cita alcune pellicole particolarmente lunghe, oltre ai recenti Napoleon e Oppenheimer: Titanic, Avengers, Avatar. E io aggiungo Interstellar e Contact. E potremmo mai tralasciare Il Signore degli Anelli? Ma, numeri a parte, il nocciolo della questione, riporta l’autore dell’articolo, sembrerebbe essere condensato in questa frase che trovo un po’ provocatoria:

“Abbiamo una vita frenetica e, nel vortice dell’esistenza, nessuno vuole stare fermo più del necessario”.

Nessuno chi?

Mi son sentito chiamato in causa, non perché faccio parte di quel mucchio selvaggio che non vuole “stare fermo più del necessario” ma, al contrario, perché credo di essere ancora uno di quelli – tanti o pochi, non saprei – che invece vogliono stare fermi.
Mi piace stare fermo al cinema a vedere i film lunghi, quando la lunghezza è giustificata.
Fermo nelle letture lunghe e impegnative, quando la trama o l’intreccio sono avvincenti.

Cinematografia e narrativa

Perché dovrei sentirmi punto sul vivo da quella frase provocatoria? Dopotutto si parlava di cinema e della durata di alcuni film. Ma ecco il fulcro del mio cortocircuito: cinematografia e narrativa sono due forme d’arte profondamente diverse, ma hanno qualche aspetto fondamentale in comune. Raccontano storie, tanto per cominciare. Offrono reinterpretazioni, rivisitazioni, nuovi punti di vista. Spesso rievocano anche intere epoche. Creano o ricreano luoghi. A volte, tratteggiano interi universi. Tutte cose che ci servono per evadere. Tutte cose che richiedono tempo per essere create ma, soprattutto, richiedono tempo per essere raccontate come si deve, perché “l’arte richiede tenacia e pazienza”.
Tenacia e pazienza nel regista, come nello scrittore.
Tenacia e pazienza nello spettatore, come nel lettore.

La giusta misura

Ogni capolavoro deve avere la giusta misura, questo è fuori discussione: non deve essere necessariamente lungo per essere tale. Tuttavia, se davvero si pensa di avere “una vita frenetica e di non poter stare fermi più del necessario”, allora certe storie non fanno per noi. Certe storie forse non le meritiamo.

2 commenti su “La misura del capolavoro

  1. Giusto. Questo mordi e fuggi ha stancato. Però a ognuno la propria esigenza: io, per esempio, che non amo le lunghezze o le lungaggini, evito direttamente di vedere film infiniti e resto fredda di fronte a libri enormi (ma le rare eccezioni sono state le mie letture migliori, dico con onestà). Che poi i registi si siano un po’ abituati a superare le tre ore di film…questo è pure vero, però eh!

    1. Diciamo che oltre ad avere il talento di saper raccontare storie, bisognerebbe avere anche il dono della sintesi quando serve. Invece molti registi e autori partoriscono trilogie e saghe come se non ci fosse un domani, come se “lunghezza = capolavoro”…

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