C’è una scena che mi è piaciuta più di altre. Quella in cui si stava discutendo il lancio della nuova canzone. Era nuova per il contenuto, nuova per la musica proposta. E nuova anche per la lunghezza.
E quale di queste novità era lo scoglio più insormontabile per il produttore?
Quello meno artistico, vale a dire la lunghezza.
“La lunghezza standard dei brani che passano le radio è di 3 minuti”, aveva sbottato il poveretto.
E la nuova canzone, purtroppo per lui, era lunga oltre 6 minuti. Praticamente il doppio.

La scena di cui sto parlando è tratta da Bohemian Rhapsody, un film uscito di recente. Difficile dire se quanto esposto nella scena del film sia accaduto realmente perché, trattandosi appunto di un film (e non di un documentario), si sa che la licenza poetica, il “liberamente tratto da” e le varie interpretazioni che ne derivano godono spesso di una buona dose di libertà. Personalmente ho apprezzato molto l’intera trasposizione cinematografica ma al di là degli apprezzamenti soggettivi, mi è piaciuto molto come sia stato sottolineato il tratto predominante di Mercury: ovvero il continuo rompere gli schemi.

Certo: sappiamo tutti come alcuni artisti gli schemi li abbiano rotti fino all’eccesso. E pure oltre…
Però quello che mi chiedo, a volte, è proprio questo: il successo è una conseguenza del rompere gli schemi?
Oppure il successo è garantito dal sottile rispetto (e perpetuarsi) delle regole standard?

Perfezione

Domande inutili perché ce la caviamo sempre pensando che la perfezione non esiste, che i gusti sono gusti (il che è vero). Avrei voluto dire un paio di cose sulla perfezione ma qualcuno mi ha anticipato e l’ha fatto molto meglio di come avrei potuto fare io. E poi: va bene scrivere egregiamente, va bene progettare con meticolosità e ben venga architettare un’ottima storia. Ma il tentare di perseguire la perfezione, oltre che impossibile, reca con sé la non indifferente responsabilità della finzione.

Posto quindi che la perfezione non esiste (e su questo punto si può essere più o meno tutti d’accordo), sulla base di quali elementi si può stabilire che un editor sia meglio di un altro? Oppure che un editor, molto professionale e adatto ai più, sia adatto anche per me?
Solo l’esperienza diretta e indiretta ci può venire in aiuto… A tal proposito mi viene in mente un tipo di editor citato da Marco Amato (che mi permetto di quotare di seguito) nei commenti a questo post di Elena Ferro:

“Ad esempio, nella ricerca dell’editor, ne avevo trovato uno da cui sono fuggito subito. Lui concepiva soltanto i romanzi come alta letteratura. Un Camilleri e un De Giovanni per lui erano da cestinare. Un best seller immondizia. Se ti leggono due soltanto ma lettori colti un successo. Insomma avrei dovuto pagare soldi per suicidarmi nel fondamentalismo letterario.”

Ecco: fondamentalismo letterario è una definizione che trovo molto azzeccata e che quasi riassume questa tendenza generalizzata a credere che esistano regole auree che descrivono la perfezione letteraria.

Rompere gli schemi

Ma anche quest’ultima domanda (quale editor scegliere?) potrebbe rivelarsi superflua dal momento che, ammesso e non concesso che si trovi l’editor adatto e che si arrivi a pubblicare l’opera, questa non sarà perfetta. E non lo sarà mai, nemmeno dopo che è passata dalle mani dell’editor che abbiamo scelto.

Per convincercene basterebbe rileggere un proprio racconto a distanza di anni. Ha passato una fase di editing? Ha ricevuto l’ok dell’editor? Magari è pure stato pubblicato? Sarebbe curioso sentire cosa ne pensa lo stesso autore quando lo rilegge dopo diversi anni. Davvero non cambierebbe nulla? Davvero non riscriverebbe meglio certe frasi? Eppure era perfetto.

Forse anche in questo bisogna chiedersi se non sia il caso di provare a rompere gli schemi. Al momento pare che lo schema più efficace sia: scrivi l’opera->trovati un’editor->fai di tutto per pubblicare. Forse bisogna avere il coraggio di ridimensionare la figura dell’editor e di considerarlo più alla stregua del lettore zero. O del lettore uno. Il che non significa esattamente fare a meno dell’editor ma considerare che comunque si tratta di una persona e, come tale, opera secondo proprie soggettività tecniche (ma anche emotive) più o meno inconsce. E queste soggettività potrebbero non essere in sintonia con quelle dell’autore o, peggio ancora, con quelle del pubblico per cui si vuole scrivere.

Forse bisogna avere il coraggio di tentare altre strade. Se qualcuno pensa al self-publishing, in realtà sta ancora una volta pensando secondo gli schemi, e forse secondo uno schema ancora peggiore: scrivi l’opera->trovati una piattaforma di self-publishing->pubblica a tutto spiano.

Altre strade

Sul blog di Elena parlavo di dieci editor ma la mia era un’ovvia esagerazione. Tuttavia sentirne un paio in tempi diversi potrebbe essere un metodo interessante, specialmente se si vive la fase di editing come un momento di crescita e non come un supplizio. Bisogna essere bravi a gestire le critiche ma ancora più bravi a considerarle in modo oggettivo per capire se stanno in piedi o no.

Un altro modo per rompere lo schema scrivi l’opera->trovati un editor->fai di tutto per pubblicare potrebbe essere quello di… sostituire l’editor. Di solito questa ipotesi provoca nasi arricciati e ciglia inarcate: ma siamo sicuri che un gruppo di lettori beta di cui ci fidiamo ciecamente (non amici e parenti, chiaramente) non sia meglio di un singolo editor? Tutti pronti a dire “no, l’editor e il lettore-beta sono due figure diverse ecc… ecc…”. Vero.
Ma questo potrebbe essere un altro schema da rompere: tanto è vero che esistono lettori beta più attenti di certi editor, o lettori beta che colgono subito strafalcioni come il sole che tramonta a est 😛 …

Provo a girare la domanda: supponiamo di ottenere un responso critico di un editor professionista e il parere entusiasta di dieci lettori beta. In altre parole: pur dando motivazioni diverse, i dieci lettori beta apprezzano la nostra opera. A cosa daremmo più peso? Al parere critico dell’editor o al parere entusiasta della nostra piccola platea beta?
Qualunque risposta pensiamo di poter dare è bene tenere presente che la piccola platea, che piaccia o no, è molto più affine ai lettori che un giorno compreranno la nostra opera. Con questo non voglio dire che l’intervento di un editor professionista sia inutile ma che, semplicemente, l’editor ha un approccio alla nostra opera di tipo tecnico mentre i lettori-beta hanno un approccio più emotivo, più sensibile alle emozioni, più genuino e spontaneo, volto a cogliere meglio la trama del nostro racconto e le vicende dei nostri personaggi. Scevri come sono dalla concentrazione sugli aspetti puramente tecnici, i lettori beta hanno una maggiore predisposizione all’immedesimazione.

E se alla fine della lettura saranno soddisfatti, saranno molto più propensi a innescare l’effetto del passaparola…

Apertura mentale

Come ho già detto altrove, personalmente faccio sempre molta fatica a inserirmi in questo genere di discorsi: alla fine sono più i dubbi che le certezze, più le domande delle risposte. E le poche risposte che credo di potermi dare ovviamente sono opinabilissime e discutibili.

Nelle mie peregrinazioni virtuali mi imbatto in blog e siti che mi inducono a pensare che stia sbagliando tutto. Altre volte in chicche che mi spronano ad avere apertura mentale: di recente, per strani giri di navigazione in internet che non sto a raccontare, mi sono imbattuto nell’intervista che Carl Sagan fece anni fa al Dalai Lama.

Si parlava di scienza e buddismo. A un certo punto Sagan pone una domanda interessante: chiede, in sostanza, cosa succederebbe se un giorno la scienza dovesse fare scoperte in contraddizione con la dottrina di una grande religione. Una grande religione come il buddismo, ad esempio.
La risposta è sorprendente: “Non è un problema” dice il Dalai Lama. E aggiunge:

“La cosa importante è la tua ricerca perché dovresti conoscere la realtà, non quello che dicono le scritture.”

Niente male come apertura mentale. Una risposta che, praticamente, dovrebbe essere un mantra valido per tutte le scienze, tutte le religioni, per tutte le convinzioni di qualsiasi natura, in tutte le epoche. Del resto, sebbene in forma molto più compatta, lo stesso concetto, per chi sa davvero cercare, lo si può ritrovare anche nel vangelo di Giovanni: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32).

Liberi da cosa, esattamente? Be’, tanto per cominciare, liberi dagli schemi.

32 commenti su “L’editor e la perfezione

  1. Ciao Darius, vedo che il tema ci sta appassionando, dunque grazie per la citazione. Anche io oggi rifletto sul tema dell’apertura mentale, anche se non la cito esplicitamente, perché mi sono convinta che lavorare on un editor non significhi affidarsi acriticamente ad esso. La discussione avvenuta a margine del post che tu citi mi ha in qualche modo rafforzata in questo orientamento. Quando parlo di mantenere una visione critica, intendo una visione esterna alla relazione tra autrice e editor. Questo consente il necessario distacco per osservare noi due e la storia cui giriamo intorno senza perderla di vista.
    Esiste l’editor, esiste l’autore ed esiste la storia, che ha una vita sua. Non possiamo trascurarla. Alla fine Chi decide di questi tre? (e dire che non ho citato i beta, altrimenti la faccenda si complicava)? Nessuno dei tre e tutti e tre è per me l’unica risposta.
    Buona giornata

    1. Stavo giusto leggendo il tuo post di oggi…

      Ho visto la discussione che è scaturita all’altro tuo post, dopo il mio commento. Ho trovato risposte interessanti, per le quali non ho saputo cogliere l’attimo per rispondere a ciascuno. Quindi ho optato per racchiudere il mio pensiero (e i miei dubbi…) in un post a parte qui sul mio blog, con le dovute citazioni.

      È un tema, questo, che credo sia destinato ad appassionare sempre chiunque decida di cimentarsi con la scrittura. Io rimango sempre con i miei dubbi e questo è senz’altro dovuto al fatto che tu sei un passo avanti a me (io sono ancora nella fase di stesura della mia ultima fatica narrativa…).

      1. È una bella discussione, ancora viva. Sono temi che riguardano chi scrive, prima o poi. Ma solo passandoci attraverso ci si può fare un’opinione definitiva

  2. FYI: la scena del film è vera. La sapevo pure io, che pure non ho visto il film, da qualcosa letto o sentito troppi (?) anni fa. O meglio: è vera a meno di non essere una leggenda metropolitana, tanto da essere stata inglobata nel film. 🙂

    1. Sì, pare che la scena è vera. Ma (ho letto dopo aver visto il film) pare non sia vero che a fronte di quello screzio i Queen abbiano rescisso il contratto con la casa discografica (EMI). Cosa che invece fanno accadere nel film proprio al termine di quella scena, con Mercury che spegne la sigaretta sul contratto del discografico per dargli il benservito…

      Il tutto sempre al netto delle leggende metropolitane… 😉

  3. Vogliamo rompere davvero gli schemi? scrivi l’opera->buttala 😀 😀 😀
    Mi pare di capire che al giorno d’oggi gli schemi siano questi:
    scrivi l’opera->trovati un’editor->fatti trovare un’agenzia di rappresentanza->fatti pubblicare prima della pensione
    scrivi l’opera->trovati un circolo di beta lettori->partecipa ad un master in web marketing->pubblica in self-publishing->utilizza il tuo master per vendere milioni di copie->quando ti chiama una casa editrice che vuole acquistare i tuoi diritti anche per un film->svegliati
    (mi piace sto giochino…)
    scrivi l’opera->trovati un’editor giusto per dire “è stato corretto da un editor”->self-publishing->regala il libro per Natale e compleanni (con quello che risparmi di regali ti sei pagato l’editor… forse)
    scrivi l’opera-> for (i=1; i == perfetto; i++) { attendi 3 mesi-> revisione }
    (purtroppo nessuno sa il valore di “perfetto”, quindi la condizione di uscita non è mai soddisfatta…)

    1. Non so come mai, ma mi hai fatto venire in mente “Le dodici fatiche di Asterix”: penso sia inutile specificare quale fatica mi hai fatto venire in mente… 😀 😀 😀

  4. Noto come negli anni ci siamo affinati in arzigogolamenti letterari nei quali stiamo prendendo gusto a ingarbugliarci: la perfezione non esiste. L’editor non serve o serve solo se sai riconoscere quello giusto. Chi è dunque l’editor giusto? Meglio uno stuolo di beta lettori, perché sono un campione accettabile di lettori finali, quelli con cui dovremmo confrontarci. Però, vuoi mettere la visione tecnica di un editor? e ritorniamo a questa figura.
    Tagliamo la testa al toro: autopubblichiamoci e chi s’è visto s’è visto. No, aspetta, siamo scrittori seri, prima il lavoro deve passare sotto le grinfie di qualcuno che trovi il migliorabile: un editor? Uno, due tre beta readers? e torniamo al punto di partenza.
    in pratica, giriamo attorno alla montagna per spostare sempre in avanti il momento (e la responsabilità) di scalarla. Finalmente e senza troppe chiacchiere. 😛

    1. Si direbbe che tu prediliga lo schema che va per la maggiore: scrivi, trovati un editor e fatti pubblicare.
      Ognuno è liberissimo di fare ciò che meglio crede.

      Ma mettere in dubbio questa prassi non significa esattamente evitare le proprie responsabilità.
      Non significa girare intorno alla montagna, anche perché bisognerebbe capire cosa ci vediamo in cima alla montagna per decidere di scalarla: la pubblicazione? Il successo? La fama?

      Be’, allora ci sono tantissimi sentieri che portano in cima alla montagna. Affidarsi a un editor, per quanto possiamo ritenerlo un passaggio necessario e imprescindibile, non garantisce che la scalata vada a buon fine.

      1. Pensa all’editor della Janeczek…!! 😀
        Che la montagna non l’ha scalata, ha preso la funivia. Se non addirittura l’elicottero.

      2. Sì, in sintesi direi di sì: avessi un manoscritto e volessi pubblicarlo mi rivolgerei a un editor. SE volessi pubblicarlo… e SE avessi il manoscritto, perché la scalata, per me, non è l’obiettivo finale: intendevo dire che invece di arrovellarci su chi debba mettere le mani sul nostro lavoro e come lo si debba fare, dovremmo scriverlo sto benedetto lavoro!

  5. Per me un editor (io invece ne conosco anche di maschi) è prima di tutto un professionista che non ha nulla a che vedere con il lettore beta. L’editor non solo ha letto tanto, ma ha studiato per fare il suo mestiere e ha – chi più chi meno – esperienza in quel settore.
    In secondo luogo, conosce (o dovrebbe conoscere) il mercato editoriale.
    Per il resto, dipende che cosa vuole lo scrittore dall’editor. A mio parere, prima di tutto dovrebbe voler avere accanto qualcuno che lo guidi nella progettazione della struttura narrativa e che ne segua gli sviluppi. Di conseguenza il mio schema è: ho un’idea>progetto la struttura narrativa>cerco un editor con cui discuterne>preparo la prima stesura>la rivedo con l’editor… etc. etc.
    Questo perché a me interessa produrre un buon testo (no, non perfetto, ma quanto meno decente) prima di pensare a un’eventuale pubblicazione.

    1. Negli schemi che ho abbozzato nel mio post, nella fase “scrivi l’opera” tendo a metterci dentro tutto: idea narrativa, struttura, intreccio, sviluppo, stesura. E poi rilettura, rilettura, rilettura e rilettura. E tra una rilettura e l’altra passano settimane o mesi.

      Il tutto cercando di produrre un buon testo. E mi capita di lavorare di più tra una rilettura e l’altra…

      1
  6. Io non credo che esistano degli schemi. Quando guidiamo l’auto seguiamo le regole del codice della strada e il buon senso. Anche se il limite di velocità è a cinquanta chilometri orari ma c’è un mucchio di gente, non è che acceleriamo fino a cinquanta.

    L’editoria esiste da più di cento cinquant’anni, ma l’editoria moderna, quella che magari abbiamo iniziato ad apprezzare con Maxwell Perkins, che abbiamo ammirato nel film Genius, da circa settant’anni.

    Lo standard editoriale è semplicemente un approccio che fino ad oggi ha funzionato abbastanza bene. E per standard editoriale intendo la selezione del manoscritto, l’editing, la correzione di bozze, la pubblicazione e la promozione.

    Molti critici a questo sistema sostengono: ma allora Flaubert? E allora Manzoni? E Dumas e Dickens? Tutta questa gente erano geni e gli scrittori di oggi incapaci perché hanno bisogno di un editor?

    In realtà, quando si citano questi scrittori, si citano appunto i grandi che hanno superato la prova del tempo. Quindi le loro opere in qualche modo erano “perfette”, tra virgolette.
    Eco ha confessato che per anni ha coltivato l’idea di riscrivere il Conte di Montecristo. Semplicemente perché Dumas veniva pagato a parola, dai giornali, il suo era un romanzo d’appendice. E Dumas non dico che ai suoi tempi doveva pagare le bollette, ma per permettersi la carrozza o i viaggi in Italia, abbondava nelle descrizioni e nella poderosa mole che è il Conte di Montecristo. Questo capolavoro, se editato, potrebbe essere scritto in metà pagine e magari sarebbe anche più avvincente. Lo stesso Dickens, anche lui d’appendice, spesso si diverte in descrizioni lunghe e bizzarre. E infatti quando leggiamo questi classici, tendiamo a perdonare le imperfezioni piccole o macroscopiche. Hanno un’aurea di intoccabilità.

    Per essere breve, che già rischio di diventare lungo, anche uno scrittore self publisher, che pur possedendo la piena libertà, farebbe bene a scegliere lo stesso standard editoriale di editing e correzione di bozze. E’ un metodo vincente. Perché a meno che lo scrittore sia Dickens destinato a durare nei secoli, e aggiungo cosa molto improbabile, perché delle migliaia di scrittori di oggi, appena una manciata potrà durare nei secoli, ecco, provare ad essere professionali è una buona cosa.
    E dico professionali, proprio perché con un editing fatto bene, ci si affida a un professionista. Poi si può discutere se il singolo editor è un professionista, quanto è professionista, se è un improvvisato… ci può essere di mezzo tutto, anche l’imbonitore e tu sei la sua prima cavia. Ma sono scelte che si compiono, se si può scegliere.

    Perché se l’editor te lo assegna l’editore, o ti piace o non ti piace, devi seguire le sue indicazioni, altrimenti non ti pubblica.

    In tal senso, proprio sul blog di Chiara, ricordo di un caso emblematico.
    Sono andato a cercare il post, lo metto qui e sono certo che ti piacerà un sacco, anche per i miei commenti perplessi. Era il lontano 2014 e allora seguivo da poco il blog di Chiara. E fra l’altro il romanzo di cui accenno nei commenti, è il romanzo che qualche mese dopo diedi in valutazione a Chiara. Come per Elena, non ero buono alla prima. Da quella valutazione ne uscii così deluso che quel romanzo l’ho accantonato e non l’ho più riaperto dal 2015. Semplicemente dopo la valutazione di Chiara mi sono rimesso a studiare la scrittura e posso dire con coscienza che senza quella valutazione che mi palesasse il mio fallimento, non avrei potuto compiere i passi di questi ultimi anni. Comunque leggi la testimonianza su Bookblister. Per fortuna, nel rileggere il mio commento di allora, sarei ancora coerente. Non accetterei mai di cambiare genere al mio romanzo, cestinare i tre quarti e ripartire soltanto dalle prime sessanta pagine. Però c’è anche da dire, così come mi ha fatto notare Chiara nei commenti 8nel 2014 ero ancora un po’ acerbo di editoria), che grazie a quel compromesso, Pozzato ha pubblicato ancora e avviato una sua carriera di scrittore. E quindi qui si apre un altro punto. Tu pur di avviare con l’editoria che conta una carriera di scrittore, saresti disposto a un tale compromesso? Io no, ma mi rendo conto che io appartengo a un altro pianeta. E tu e gli altri? 😛
    Ecco il link: https://www.bookblister.com/2014/11/11/marcello-pozzato/

    1. Ho letto i tuoi commenti su Bookblister (oltre al post, s’intende…). Li condivido in pieno.

      Stravolgere così visceralmente un romanzo non mi sembra per niente sensato. Pieno rispetto per l’autore che invece l’ha fatto.

      Io non lo farei mai. E non lo dico per una questione d’orgoglio: se capitasse a me, davvero non avrei nessun problema a rimettere tutto nel cassetto e a dire arrivederci (o anche addio) a tutti quanti, editor, editore e compagnia bella. Sarebbe infatti evidente che non sono capace di scrivere o che, volendo proprio essere ottimisti, non è un romanzo adatto alla pubblicazione.

      E siccome penso che il mondo non abbia affatto bisogno del mio romanzo, non vedo perché dovrei sputare sangue per riscriverlo secondo le direttive di chi mi dice di stravolgerlo: “Nel momento in cui entri di diritto nella casa editrice saltano fuori le date. E quelle non le tocchi. Arrangiati come vuoi, scrivi di notte e dormi di giorno in macchina, fai tutto il sabato e la domenica in full immersion. Affari tuoi.”

      Ma anche no. Scelte di vita che non condivido ma che rispetto.

      P.S.: per curiosità sono andato su Amazon a vedere qualche recensione del romanzo in question, Il punto sublime. Nessuna recensione. Zero. Vedo che è stato pubblicato nel 2011… Possibile che nessuno, dico nessuno abbia lasciato lo straccio di una recensione? Cosa mi sfugge?

  7. L’editor non cerca la perfezione, ovvio deve esserci a livello di grammatica, sintassi, coerenza, ma il vendibile. E su questo lavora e fa lavorare l’autore.
    Che un o una editor sia giusto per noi lo si capisce abbastanza in fretta, meglio se si è in tempo per andarsene, perché si rischia di faticare tanto e ottenere boh, magari anche la pubblicazione ma a un prezzo molto elevato.
    Per rispondere a Marco quassù sui compromessi dipende di che entità e per pubblicare con quale editore, ma anche con quale mia storia, ero troppo legata a Le affinità affettive che partiva da un diario personale per accettare i tagli proposti e infatti li rifiutati e poi fu l’editore a tornare a cercarmi, attualmente sarei più morbida anche perché è l’editoria a essere diventata molto più dura. Il 2014 che tu citi è lontano anni luce, non 1 lustro. Abbiamo tutti tante belle teorie, ma chi sta raggiungendo degli obiettivi?

    1
    1. Ogni obiettivo ha un prezzo. Se è troppo elevato, io mi metto il cuore in pace e lascio perdere.

      Un prezzo troppo elevato per me è un editing pesante e invasivo (della serie: ottime le prime 60 pagine, riscrivi le restanti 200. Già che ci sei, cambia genere).

      Un prezzo troppo elevato per me è il caso in cui, cito Pozzato, “con in mano un contratto, credimi, ti senti moralmente costretto a far fruttare tutti i giorni, inclusi quelli di paranoia, pioggia, incazzature varie che meno spronano l’ispirazione. Insomma, devi puntare sul sudore, che ti piaccia o no.”

      Un prezzo troppo elevato, come dicevo in risposta a Marco, è “Nel momento in cui entri di diritto nella casa editrice saltano fuori le date. E quelle non le tocchi. Arrangiati come vuoi, scrivi di notte e dormi di giorno in macchina, fai tutto il sabato e la domenica in full immersion. Affari tuoi.”

      Poi chiaramente ognuno è libero di porsi gli obiettivi che preferisce e di pagare i prezzi che ritiene più congrui.

      😉 .

  8. Mi dispiace di non poter contribuire alla discussione ma sulla figura dell’editor non saprei cos’altro aggiungere al poco o niente che ho detto commentando sul blog di Elena.

    Vi lascio alle vostre riflessioni con un piccolo avvertimento: ATTENTI ai gruppi beta fittizi! Come riconoscerli? Ti hackerano l’account Twitter.

    1. Non sapevo esistessero gruppi beta fittizi. Comunque i miei li recluto in carne e ossa o dopo comprovata collaborazione virtuale in privato.

      (Quanto all’hackeraggio dell’account Twitter al momento non mi pongo problemi: ho una password lunga mezzo metro. Ok, nessuna password è a prova di bomba, però dovrebbero lavorarci parecchio…)

  9. Io non sapevo nemmeno che esistessero gruppi beta… fa un po’ tu 🙂
    Devi insegnarmi il tuo metodo di reclutamento allora, cosi la smetto di svegliarmi nel cuore della notte con le palpitazioni perché ho sognato che qualche delinquente nelle quali ho messo il romanzo possa plagiarlo o piratarlo.

    Anche la mia era bella tosta (grafo-alfanumerica): me l’anno sgamata in un paio d’ore. L’ho sostituiita con una semplicissima. Che cosa mi sbatto a fare se tanto la scoprono ugualmente 🙁

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