L’altra sera stavo guardando un episodio di Montalbano, intitolato “Amore”. A un certo punto, in una delle scene, Montalbano chiede al suo interlocutore notizie in merito a una pistola. “Abbiamo saputo che lei possiede una pistola appartenuta a suo padre” chiede il commissario. Saverio, questo l’altro personaggio, gli risponde di sì e, dietro esplicita richiesta del commissario che gli chiede poi di mostrargliela, va a prenderla e torna con una scatola di cartone che appoggia per terra, davanti al commissario. Apre la scatola per prendere la pistola, dice “Eccola” ma, proprio in quel momento, si accorge che la pistola non c’è più. La scatola è vuota, contiene solo quella che sembra essere una fodera di stoffa sgualcita, che Saverio tasta e agita, incredulo.
La pistola in questione, questo lo aggiungo io brevemente, è una pistola da tiro piuttosto ingombrante.
Di fronte a quella scena, lo scribacchino pignolo che è in me ha fatto un sussulto.

Sospensione dell’incredulità

Lo scorso post avevo parlato, tra le altre cose, di un tramonto a est. Michele Scarparo ne ha poi preso spunto per un altro argomento: il patto finzionale tra scrittore e lettore.
Ne sono scaturite opinioni interessanti. E un dibattito ruotato appunto attorno al patto finzionale, alla sospensione dell’incredulità, al “fare finta che”, a cosa-come-perché si guasta questo patto. Un dibattito che meriterà sempre una rilettura.

Dove sta il confine tra il credere e il non credere?
E aggiungo: l’incredulità è “uguale” per tutti i lettori?
Quanto un lettore è disposto a credere l’incredibile? E quando decide di sospendere la sua incredulità?

Tutte domande che non godranno mai di una risposta unica e definitiva – e valida – per tutti i lettori. La narrativa è un campo neutro dove si incontrano e scontrano due soggettività sempre diverse. Quella dello scrittore (che è sempre unica, nel senso che deriva da un unico individuo) e quella del lettore che, ogni volta, è diversa. Mille lettori, mille soggettività, mille modi di porsi e di interagire. E ogni volta, nell’attenzione del lettore, scatta – o non scatta – sempre qualcosa di diverso.
Affascinante.

Sospensione della lettura

Un po’ meno affascinante la reazione piuttosto diffusa di abbandonare la lettura in tronco quando si incappa in una qualche anomalia nel racconto. Refuso? Imprecisione? Inesattezza storica o geografica? Molti lettori subiscono un calo d’interesse, come se si rompesse un equilibrio essenziale. Fino ad arrivare a sospendere del tutto la lettura.

Eppure non esiste romanzo o racconto totalmente privo di increspature.
E per quanto possano essere evidenti, quando leggo non sono così severo da gettare alle ortiche tutto il resto che mi può dare lo stesso racconto.
Nonostante il tramonto di Manhattan 😀 , non ho abbandonato la lettura de Il quinto giorno. E per me resta un ottimo romanzo.
Allo stesso modo, nonostante la scena di Montalbano raccontata all’inizio del post, non ho cambiato canale e mi sono gustato la puntata fino in fondo.
Ma tutto questo fa parte della mia soggettività di lettore. O di spettatore.

Sospensione della perfezione

Gestire il credibile con l’incredibile è sempre una questione spinosa. Per farlo occorre maneggiare con cura tutti i mezzi a propria disposizione: personaggi, intreccio, fatti e così via, fino al conflitto, ai colpi di scena. Ma bisogna gestire bene anche dialoghi, scene, ambientazioni, descrizioni. E poi climax, pathos. E tutto questo, come se non bastasse, deve essere sorretto da uno stile consono. Per un autore, un autore che vuole tirare fuori dal proprio cilindro un’opera quantomeno decente, tutto questo è molto difficile. È inevitabile che qualche increspatura sfugga, non solo all’autore stesso ma anche a tutti i suoi collaboratori.
Ed è inevitabile che per alcuni lettori certe imperfezioni possano passare del tutto inosservate mentre per altri saltino all’occhio subito alla prima lettura.

Tramonti e pistole

A proposito di perfezione. Del tramonto a est ne ho già parlato fin troppo.
Ma della pistola sparita cosa si potrebbe mai dire? 😀

10 commenti su “Imperfezioni narrative

  1. Aspè, non ho capito (sai, tra l’altro, che mi fermo alla sigla di Montalbano, poi al minuto cinque sto già dormendo): ma il problema è la dimensione della scatola rispetto a quella “ingombrante” della pistola?
    Stiamo parlando della resa televisiva di un libro, oppure hai letto la storia di Camilleri e c’era qualche stranezza lì? Perché è diverso.
    Comunque io sono il tipo di lettrice (e di spettatrice) che farebbe la fortuna di certi autori (e registi) “distratti”: mi passa tutto (o quasi) davanti agli occhi.

    1. Mettiamola in questi termini: se dovessi prendere in mano una scatola di scarpe, non pensi di accorgerti subito se la scatola è vuota? Non solo ti accorgeresti del peso diverso ma le sentiresti ballare dentro… 😉
      Non ti accorgeresti solo nel momento in cui la apri…

      La mia sarà una pignoleria bella e buona però, non so come mai, l’ho notata subito. Sicuramente non avrò notato altre cose ma il punto è proprio questo: quanto è soggettiva e relativa la fruizione di una storia…

      1. Ah, vedi? Era che non dovevi nemmeno arrivare ad aprirla, la scatola, ma pensa te!
        No, Darius, però, perdonami, io valuterei seriamente la possibilità di una sedutina psichiatrica dal tuo amico dottore! ????????

  2. L’altra volta ce l’avevi con la geografia e stavolta punti il dito direttamente col trovarobe (o attrezzista o runner), quel povero cristo che deve trovare tutti gli oggetti per il set chiesti dal scenografo. E quindi la scatola pesante in legno non l’ha trovata, si sono dovuti accontentare della scatola da scarpe! 😀
    Io la mia incredulità la sospendo sempre ben volentieri, da quando una donna del 1945 passa attraverso un cerchio di pietre (come quello di Stonehenge ma meno famoso) e si ritrova a viaggiare duecento anni indietro nel tempo. Impossibile? Ci sono addirittura ballate di quel tempo che raccontano di streghe, maghi (Merlino), tavole rotonde (erano più intelligenti di noi, che continuiamo a sbattere sugli angoli con sommo dolore) e …viaggiatrici del tempo! Leggende o verità? Scopritelo nella prossima puntata di Dossier segreti! 😉

    1. Be’, se proprio dovessi prendermela con qualcuno (ma non sono il tipo: come detto, la puntata me la sono goduta lo stesso) dovrei prendermela con il regista perché la scena andava impostata in modo diverso. È mancata non tanto la precisione, quanto l’immedesimazione: qualcuno (regista o collaboratore, ma anche trovarobe) avrebbe dovuto immedesimarsi nella scena e dire “meglio farla così anziché cosa, sarebbe più credibile”.

      Però ho già avuto modo di dirlo: è una mia pignoleria… 😀

  3. Nemmeno io getto tutto alle ortiche, anzi. Però è stata una grande liberazione lasciare libri a poche pagine o a metà senza sentirmi in colpa, di solito per noia. Poi non so, probabile che abbia bisogno anch’io di qualche seduta da un buon terapista perché con diversi libri pieni di errori, refusi e altro ho portato in fondo la lettura perché volevo capire fino a che punto si potesse arrivare (in basso da iniziare a scavare), qualcuno lo chiama masochismo ma non credo sia così. È proprio che ho bisogno di capire, come è successo anche con letture che pur formalmente corrette non mi entusiasmavano affatto ma tutti le osannavano. La scatola: in un libro è più difficile rendersi conto, forse, se non si sta presentando bene un particolare (perché spesso non ci si pone domande) ma in un film penso che pure l’attore che prende in mano la scatola si rende conto che è troppo leggera.

    1. Bisognerebbe mettere tutto sulla bilancia, non solo in termini di quantità ma anche in termini di “qualità” degli errori, se così si può chiamare.

      In altre parole: finché ci sono “solo” errori di battitura o lievi imperfezioni, la storia non ne risente. Un esempio è Il protocollo ombra, edizione Garzanti. Ho rilevato oltre 50 refusi ma la storia, tutto sommato, l’ho trovato godibile.

      Se avessi trovato uno strafalcione dopo l’altro, l’avrei abbandonato senza troppi sensi di colpa.

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