Si può rimanere schiavi dei propri personaggi? E’ una domanda che mi sono fatto spesso. Quale scrittore non sognerebbe di inventare un personaggio così ben riuscito, completo, unico, iconico, tale da garantire un successo duraturo? Un personaggio che permetta di vivere di scrittura, insomma.

Leggevo un trafiletto su Storica , trovato in un articolo dedicato ad Arthur Conan Doyle e a Sherlock Holmes.

“Il successo fu straordinario […]. Due anni più tardi, convinto che avrebbe potuto far altro con il proprio talento e in affanno per le richieste di pubblico ed editori, Conan Doyle decise che era ormai stufo del suo personaggio. Quando The strand Magazine gli chiese una nuova serie di dodici racconti, lo scrittore pretese un’ingente somma di denaro. Si aspettava di ricevere una risposta negativa per liberarsi così della sua creatura, ma lo stratagemma non funzionò. The Strand Magazine accettò le sue condizioni, trasformando Conan Doyle nel narratore più pagato al mondo. Eppure il romanziere non si diede per vinto. Nell’ultimo testo consegnato, “The Final Problem”, uccise “il figlio di carta”. Lo fece cadere in un burrone alle cascate di Reichenbach durante una lotta contro il suo arcinemico, il professor James Moriarty. La madre dell’autore l’attaccò e i lettori protestarono a gran voce. Si dice che per le strade di Londra gli uomini portassero fasce nere in segno di lutto, la famiglia reale espresse il proprio disappunto e più di 20mila lettori cancellarono l’abbonamento a The Strand Magazine.”

La mamma e la regina

Notevole. Davvero notevole. Ho riletto queste ultime frasi un paio di volte. E ho letto bene: il povero Arthur ha fatto arrabbiare la mamma e la regina. Passi per la regina, ma la mamma è sempre la mamma… 🙂

Difficile anche immaginare persone che addirittura arrivano a portare un lutto al braccio per la morte di un personaggio di carta. Deve essere stato qualcosa di portentoso per i lettori. Un autentico contraccolpo psicologico di massa. E una dannazione per il povero Arthur. C’è un dettaglio da non sottovalutare: stiamo parlando di tempi (fine ‘800) in cui non esistevano film, cinema, o qualsiasi arte visiva che potesse solleticare l’immaginario collettivo, così da favorire in un certo senso l’ “uscita” di Sherlock Holmes dai tradizionali confini del romanzo verso una sorta di materializzazione più concreta e vivida.

Insomma, pur avendo a disposizione “solo” scrittura e fantasia, il povero Arthur è stato così bravo nel creare il suo personaggio che praticamente ancora oggi, dopo oltre un secolo, vive di vita propria.

Come è andata a finire?

“Tuttavia, malgrado le pressioni, Conan Doyle resistette otto anni senza scrivere una riga su Holmes. Nel 1901 il detective ricomparve nel romanzo in serie “The Hound of the Baskerville”. Per coerenza lo scrittore situò l’azione prima dell’episodio delle cascate. Un anno dopo fece rinascere il personaggio in “The Adventure of the Empy House”, dando a intendere che Holmes non era deceduto a Reichenbach e che si era solo nascosto. Da quel momento l’investigatore tornò a vivere nei racconti fino al 1927, tre anni prima della morte di Conan Doyle.”

Otto anni

Otto anni sono lunghissimi. Specialmente se, come leggevo, ti senti addosso il disappunto della famiglia reale, le ire dell’editore, i lettori che girano con il lutto al braccio e soprattutto la mamma che magari non ti invita più a pranzo!

Tu vorresti scrivere altro, esercitare il tuo talento verso altri lidi narrativi (il povero Arthur era “convinto che avrebbe potuto far altro con il proprio talento“) ma niente, alla fine (“in affanno per le richieste di pubblico ed editori“) ti tocca far resuscitare il tuo personaggio, di cui tu stesso sei stufo. Un personaggio così potente che ti sopravvive, che si trasforma. Prima un’entità di carta, poi un’entità di celluloide presente ormai in pianta stabile nell’immaginario collettivo.

E voi, cari amici scrittori e scrittrici? Sareste davvero così desiderosi di creare un personaggio così potente a cui sacrificare la vostra libertà creativa?

Già immagino la risposta.

4 commenti su “Il figlio di carta

  1. Ci ha provato, a liberarsi del suo personaggio, ma poi si sarà detto: “ma sono scemo?” Avevo la miniera d’oro nella penna e ho pensato di scrollare l’inchiostro?”
    Lo capisco eh: mi pare come certi attori che rimangono imprigionati dentro i personaggi che per anni hanno interpretato (vedi Montalbano: per me Luca Zingaretti non potrebbe fare altro e lui è un bravissimo attore!).
    Io, se fossi scrittrice, non vorrei creare un personaggio indimenticabile da riutilizzare in una saga o in una serie. Forse.

    1. Ho il sospetto che in certi casi, personaggi così forti diventino anche una sorta di alter ego di chi scrive.
      E quindi diventa ancora più difficile sbarazzarsene.

      Comunque, ti ho sentito: hai detto “Forse”… 😀

  2. Magari! Dove devo firmare?! 😁😁😁
    Chissà se era lo stesso per zia Agata e il suo Poirot, ma ha creato anche Miss Marple a ben vedere. Cosa impediva al povero Arthur di scrivere sia le avventure di Sherlock che altri testi per suo diletto? Il tempo? È rimasto otto anni senza pubblicare! (Poi il conto in banca l’ha riportato sulla retta via…?)
    Comunque prima che quel gran strafico di Robert Downey Jr. lo riportasse sugli schermi (hai sbagliato foto per questo post, Watson 😎) Sherlock Holmes non coglieva proprio la mia curiosità… Altro che carta!
    Quindi non c’è solo da scrivere un personaggio potente, bisogna prestare attenzione al casting!

    1. Ma il buon Arthur viveva in un’epoca che era lontana anni luce dalla cinematografia.
      Cinema? Casting? Attori? What??
      Ha fatto appena in tempo a vederlo rappresentato a teatro, il suo Sherlock.

      Noi artri scribacchini dei secoli dopo (dopo Conan Doyle, dico) spesso facciamo il contrario.
      Partiamo da una visione cinematografica delle nostre scene, per raccontarle.
      E anche lì, inevitabilmente, facciamo casting nella nostra testa.

      Quando pensi a un personaggio, non parti da un attore o un’attrice che ti piace?

      P.S.: la foto del post la trovo molto azzeccata. Quella è la scena in cui Watson scrive “The End”.
      Poi compare Sherlock, mimetizzato sulla poltrona, e aggiunge il punto di domanda: “The End?”
      Ooooops…. ho spoilerato?? 😛

      E infatti pare che stiano girando un altro film.

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