Sono passati quasi quattro anni. E direi che è ora di confessarlo: L’erborista di Siena, un racconto che ho scritto nel novembre 2016, era in dolce compagnia.

Se qualcuno lo ricorda ancora, quel racconto, e se lo ricorda come un racconto ben riuscito, be’, sappia che alle spalle aveva un romanzetto e che, probabilmente, l’erborista mi è riuscito bene perché ero sulla cresta dell’onda creativa, tanto da poterlo definire come un capitolo a parte, un estratto, uno spin-off.

Poi venne la volta de Il rito incompiuto: ottobre 2018. All’epoca (due anni dopo, in pratica) ero in dirittura di arrivo e avevo quasi terminato la mia stesura. Anche questo racconto è legato con un filo invisibile al romanzetto, tanto da costituirne forse una scena tagliata. Lo stesso titolo (“Il rito incompiuto”) aveva una doppia valenza che solo io potevo capire: racconta sì di un rito incompiuto, ma soprattutto parlava del “mio” rito incompiuto, vale a dire la stesura dello stesso romanzetto: la scrittura, con tutti i suoi meccanismi, i suoi alti e bassi, i suoi momenti di creatività, non è forse un rito?

Mi aspettava una lunga serie di riletture, ricami, levigature, piccoli aggiustamenti, per poi finire con letture di superbeta rigidamente selezionate (gente che ho già segnalato per una celere beatificazione).

Astrazione

Mi son divertito per un po’, insomma. Tutto molto bello ma anche tutto molto fumoso, molto astratto: alla fine, romanzetto o racconto che sia, non stiamo parlando di altro che di un file, o meglio, di una manciata di file che rimbalzavano qua e là nelle mie cantine digitali.
Qualcosa di astratto, ripeto.
Qualcosa che avrebbe potuto sparire da un momento all’altro con un colpo di fulmine (il che è accaduto realmente ma, grazie al cielo, mi è bruciato solo il router…), con una tempesta solare più violenta del solito o, che ne so, con un’improvvisa inversione del campo magnetico terrestre tale da farci regredire allegramente di un paio di secoli, bruciando in un batter d’occhio tutti i supporti magnetici del globo.

E alla fine il pacco

Niente di tutto ciò. Alla fine, notte dopo notte, plenilunio dopo plenilunio, venne il giorno. O meglio, venne il pacco. Era infatti ora di smettere di divertirsi: va bene giocare, ma dopo un po’ (dopo un bel po’), ci si stufa anche con il gioco più bello del mondo.

E così, aperto il pacco anonimo tutto tatuato di barcode, ecco lì il mio file, passato dall’impalpabile mondo digitale al comune mondo tridimensionale, decretando una volta per tutte la fine di tutte quelle immaginazioni astratte del come-sarà e come-verrà. Fine dell’astrazione.

Che dire?

La prima cosa che ho fatto, da bravo bambino, è stata confrontarlo con il giocattolo che già avevo: come si vede dalla foto, Misteri di ghiaccio sembra quasi sfigurare. Lo dico guardando lo spessore, non certo il contenuto. Per quello (il contenuto, dico) decideranno i lettori quando sarà il momento.

La seconda cosa che ho fatto, banale dirlo, è stato sfogliarlo e sentire quel profumo di carta fresca che (torno ancora bambino) si sente solo a settembre, quando si torna a scuola, quando quella sensazione di nuovo (libri, quaderni, matite e pastelli scintillanti) ti inebria con gli ultimi profumi estivi.

Che fare?

A questo punto dovrei presentare la copertina, svelare il titolo, anticipare la sinossi, promuovermi sui social. Ci arriverò. Con calma, ma ci arriverò.

Nel frattempo ci sono un mucchio di libri più belli da leggere 😛 .

4 commenti su “Fine dell’astrazione

  1. Ma ma ma…come? Non era quello di cui stavamo cianciando prima delle ferie e che non sapevi se inviarlo di lì o mandarlo di là? Alla fine dunque hai deciso per il “di là”? 😀

    1. “Di là” e “Di lì” erano appunto le mie due mezze idee che dovevano maturare in quest’ultimo periodo. Alla fine ho chiuso il cerchio dei miei ragionamenti. E spero di averlo chiuso al meglio… :-P.

      Comunque, quella in foto, è solo una bozza cartacea fatta al volo giusto per fare le ultime considerazioni. E, almeno le ultime considerazioni, volevo farle in 3D, con riscontro tattile, visivo e olfattivo. 😀

  2. La seconda pubblicazione non si scorda mai. Dita incrociate (per chi ancora si affida alla scaramanzia).
    Che sensazioni dà tornare in rampa di lancio?

    1. Mah, così su due piedi, direi che la prima sensazione è un vago senso di liberazione.

      Una delle differenze tra lettore e scrittore è il numero di volte che si legge la storia: il lettore la legge una volta sola. E se la rilegge lo farà dopo molto tempo, quando magari l’ha un po’ dimenticata.

      Lo scrittore no: deve leggere e rileggere e rileggere ancora. In poco tempo.
      Alla fine, per quanto possa aver scritto una storia mirabile e avvincente, gli verrà a noia e perde ben presto di vista la bellezza della prima volta.

      È in questo senso che intendo “liberazione”… 😉

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