Una figura che mi tormenta spesso è quella dell’editor. Chi non mastica di scrittura potrebbe non avere la più pallida idea di chi sia un editor e di cosa si occupi esattamente. In fondo, se una persona ama leggere, legge e basta. Apprezza o boccia, elogia o stronca. Il più delle volte lo fa senza avere la più pallida idea di dover distinguere tra il lavoro dello scrittore da quello dell’editor. Senza intuire che magari, con di mezzo un traduttore, certe leggerezze o errori siano stati addirittura introdotti nelle fasi successive.
Come la mettiamo con “le luci del tramonto sull’oceano che si ammirano da Manhattan” ? Dove sta l’errore? Un errore madornale del genere, che lo si noti o no, l’ho trovato ne Il quinto giorno, di Frank Schatzing. Impossibile dire se sia stata una leggerezza dell’autore o del traduttore. Di sicuro è sfuggito a tutti, dietro le quinte. Non è sfuggito a me 😛 , e non sarà sfuggito a molti altri lettori.
A ognuno il suo lavoro
Immagino già qualche sguardo interrogativo, sopracciglia che si inarcano: non è compito dell’editor limare queste leggerezze, si direbbe.
D’accordo, potrei condividere un’obiezione del genere. Ma nella filiera di operai che si occupano di sfornare un romanzo, non mi pare che ci sia un geografo. Così come troverei difficile che ci sia uno storico, o un biologo, o un neurologo. Questi personaggi, se lo scrittore è bravo, li consulta da sé durante la stesura del romanzo, al puro scopo di non scrivere strafalcioni. Per il resto, sempre per evitare di scrivere boiate, fa affidamento sulla propria cultura di base, quella stessa cultura da cui attinge (o dovrebbe attingere) grammatica e vocaboli. E la geografia e la storia, come è giusto che sia, fanno parte di tale cultura di base, spesso condivisa in larga parte con chi legge.
La mia ignoranza mi spinge a chiedermi se l’editor non debba fare da supervisore “tuttologo”.
Certo che no, pare ovvia la risposta.
Un buon editor non può essere anche geografo, storico, biologo, neurologo, giardiniere e pasticcere.
Ma non dovrebbe almeno sommare la sua cultura generale con la cultura generale di chi scrive? Il buon editor dovrebbe occuparsi di tutt’altro: stile, scene, personaggi, continuità, contraddizioni e chissà quante altre finezze che manco m’immagino. Ma in questo marasma, se il buon editor vedesse uno strafalcione di altra natura, non dovrebbe comunque intervenire per farlo limare via?
Non è il caso del romanzo citato sopra perché potrebbe essere stato il traduttore ad averci messo del suo, quando scrittore ed editor avevano già tirato i remi in barca da un pezzo.
La domanda inquietante
A questo punto, la mia ignoranza cala subito la domanda successiva, quella più inquietante.
Come si fa a giudicare se un editor è un buon editor?
Da quel che leggo in giro, da quando bazzico la blogosfera scrittoria, un mantra in cui inciampo spesso recita che la figura dell’editor è imprescindibile. Che l’editing non solo è altamente consigliato, ma obbligatorio. Altra convinzione piuttosto diffusa che emerge è quella secondo la quale è bene affidarsi a un solo editor, perché affidarsi a più di uno è ‘na cosa da pazzi.
Ma non divaghiamo. Torniamo alla domanda inquietante: come si fa a giudicare se un editor è un buon editor?
Prima che si possa argomentare una risposta, aggiungo pepe quanto basta: è possibile, leggendo un romanzo (in italiano, ovvio, così da “tagliar fuori” problematiche di traduzione) capire se un editor ha lavorato bene o no?
Aggiungo peperoncino quanto basta: come vi comportereste se già nell’estratto di un romanzo trovate non solo alcune frasi un po’ discutibili (ok, questo è soggettivo) ma addirittura un refuso (purtroppo questo non è soggettivo) ?
Superbeta
A questo punto la mia ignoranza (beffarda e bastarda) mi lascia le sue domande e cede il passo alla mia inesperienza. La quale mi bisbiglia nell’orecchio: invece di un editor, non è meglio affidarsi a due o tre lettori superbeta? Da ignorante e inesperto, mi rimane sempre addosso la sensazione – discutibile e opinabile – che un buon editor debba essere (o essere stato) innanzitutto un buon scrittore.
Sensazione, niente più.
Continua ad affascinarmi questa figura (inesistente?) del superbeta, cioè di un lettore che abbia una cultura vasta e trasversale, nonostante la quale “sa di non sapere” e che di conseguenza non esiti ad aprire internet, mentre legge, per dipanare dubbi di qualsiasi natura. Un signor “tuttologo” insomma, un tuttologo che, nella sua tuttologia, si cimenti – ma sì, perché no? – anche in scrittura oltre a essere un lettore forte.
La possibilità di disporre di un ristretto circolo di lettura composto da lettori superbeta è una piuma che solletica spesso le mie utopie tramutandole in semplici e più abbordabili dubbi. Due o tre superbeta non lavorerebbero meglio di un’unico editor? Esiste un editor che, oltre all’apostrofo che ho volutamente lasciato qualche parola fa (un’unico…), noterebbe alla prima lettura che non si possono vedere tramonti sull’oceano da Manhattan?
Il mentore della porta accanto
Finora ho seminato più punti di domanda che punti esclamativi. La figura eterea del superbeta temo esista più nelle mie fantasie inquiete che nella realtà. In compenso nella blogorealtà si affaccia spesso, bazzicando qua e là tra un sito e l’altro, il fantasma del mentore, cioè di una figura professionale che faccia qualcosa di più di un editor, qualcuno che ti affianca e che ti faccia crescere in qualche modo. Ma la domanda è: un mentore non dovrebbe essere uno che ti conosce come le sue tasche, uno che goda della tua cieca fiducia, uno che puoi chiamare anche di notte e col quale ci si può mandare allegramente afanc*** a vicenda senza preoccuparsi di minare l’amicizia?
Oppure può (deve) essere una persona che gode di quell’equidistanza necessaria per il quiete vivere di entrambi? Né troppo lontano, né troppo vicino, come la Terra col Sole. Troppo vicino si muore bruciati, troppo lontani si muore di freddo.
Sarò occupato a scrivere ancora per qualche anno. Nel frattempo, chissà: magari la mia buona stella mi farà incontrare i superbeta della mia vita.
Non sono proprio per niente un superbeta, ma ne “le luci del tramonto sull’oceano che si ammirano da Manhattan” non vedo del tutto l’errore geografico che prospetti (ndr per il lettori: dai grattacieli di Manhattan si possono vedere l’Hudson, l’upper Bay, la lower Bay e più in là l’Oceano Atlantico, da cui sorge il sole…e quindi il tramonto è verso l’interno degli Stati Uniti, non sull’oceano). Il fatto è che la frase la leggo così: “le luci del tramonto (che si riflettono) sull’oceano che si ammirano da Manhattan”, e qualche buona foto in Google Immagini la si trova. Magari è proprio un problema di traduzione.
Detto ciò, sulla questione “editor o non editor, questo è il problema” mi piacerebbe sapere cosa fanno gli autori affermati (a parte questo Schatzing 😛 ) Per esempio, di Diana Gabaldon (non è che voglio citare sempre e solo lei, ma è qualcosa che seguo e un pochino conosco) so che ha in effetti dei superbeta per ogni aspetto affrontato nei suoi libri: il marito è un appassionato di cavalli (il protagonista dei libri anche), si fa consigliare da vari storici a seconda dell’epoca e della zona dove si sposta la trama, ha delle consulenti esperte in botanica e botanica storica (perché bisogna anche sapere quando quell’erba o pozione medicinale era già nota o cosa è andato in disuso nel tempo), e pure delle reader per le ricette di cucina, gli usi e costumi. Nell’Outlander Companion ci sono pagine e pagine poi di ricerche bibliografiche. Quindi credo che no, un editor non può essere esperto di tutto, quindi ci dovranno in effetti essere degli altri lettori accorti. Ma la definizione migliore che ho trovato di un editor è che questa figura prepara il libro per la vendita, in un tal momento e in un determinato mercato. E’ uno stilista, non una sarta. (Regge il paragone?!) 😀
Nel caso che ho citato, l’ambientazione è la spiaggia di Montauk, estremità orientale di Long Island. Io ho parlato di Manhattan perché poi la scena si allarga appunto verso Southampton (Manhattan) e poi New York. Cito testualmente il passaggio, non me ne voglia il buon Frank che comunque ha scritto un gran romanzo (almeno per i miei gusti):
“Darryl strinse ancora più forte il braccio intorno alla vita della moglie e guardò verso l’Atlantico. Il sole era appena tramontato e il cielo tendeva al violetto. Ad alta quota, banchi di nuvole rosa rilucevano all’orizzonte.”
La tua osservazione è corretta: da Manhattan, o comunque da Long Island si possono vedere tramonti guardando verso ovest, cioè verso l’interno degli Stati Uniti. Ma l’autore dice proprio espressamente “guardò verso l’Atlantico”, cita il cielo che “tendeva al violetto” e pure le “nuvole rosa” all’orizzonte, orizzonte che dovrebbe essere invece quasi completamente scuro dato che il tramonto dovrebbe essere alle spalle di Darryl. Quando osservi un tramonto, quei colori li vedi dove il sole è appena tramontato mentre al lato opposto (verso est) casomai vedi blu intenso che tende all’oscurità.
Quindi (sono pignolo, lo ammetto 😛 ) per me resta un errore madornale, anche se non pregiudica affatto il romanzo molto ben riuscito.
Quanto a Diana Gabaldon citi appunto una di quelle autrici che lavorano bene e che già in fase di stesura si avvalgono di consulenze per curare tutto fino ai minimi dettagli. I consulenti però, pur essendo professionisti nei rispettivi campi – e non posso avere dubbi – vedono “solo” la propria fetta di romanzo, cioè quella per la quale la Gabaldon li ha consultati.
I lettori superbeta di cui ipotizzo io l’esistenza sono lettori che leggono il romanzo per intero, che non sono specializzati in precisi settori ma che hanno una conoscenza abbastanza trasversale per poter quantomeno recepire adeguamente i contesti o recuperarne abbastanza velocemente gli estremi per rilevare strafalcioni.
Per intenderci: anche io non sono un lettore superbeta, però il tramonto sull’Atlantico da Long Island mi è saltato subito all’occhio alla prima lettura. L’autore in questo caso (e con lui l’editor, il correttore di bozze, il traduttore ecc…, tutta gente che, si presume, debba aver letto e riletto con attenzione il testo prima di lavorarci sopra) non hanno ritenuto necessario consultare un geografo ma hanno fatto affidamento sulle rispettive proprie conoscenze di base. Che però non sono bastate.
Anni fa lessi un libro edito Guanda, passato per le mani di una delle più noti agenti letterarie, dove un furto di gioielli citato tre volte era avvenuto due volte in Belgio e uno in Olanda. Ho scritto all’autrice che è letteralmente caduta dal pero dicendo: ooooohhhhh possibile che non se ne sia accorto nessuno tra editor, agente, editore, lettori beta ecc. NO non se ne era accorto nessuno. Anni dopo, stessa autrice scrive una castroneria sulla pratica dell’adozione in Italia, che io conosco piuttosto bene, morale: ho smesso di leggerla. Morale due: forse scappa sempre qualcosa. Io forse l’errore di cui tu parli non lo avrei notato, non sono mai stata a New York, ma credo che un buon editor, di una casa editrice o free lance, si veda dall’approccio generale all’opera, io ho lavorato con tanti, ne ho trovati di pessimi (tendevano a criticare troppo il testo per farlo in qualche modo proprio con i loro esagerati interventi), c’è chi invece era molto bravo ma in pratica riscriveva, non si lavorava insieme, e quelli bravi/bravissimi con i quali ho lavorato in sintonia perfetta per migliorare l’opera, che poi sarebbe l’obiettivo, eliminando, aggiustando, rimpolpando.
Ecco, il punto forse è proprio questo: perseverare e provare a lavorare con diversi editor fino a quando si trova quello giusto. Mi sorgono un paio di domandine quasi spontanee, che in realtà ho già accennato nel post: ti è mai capitato di lavorare sulla stessa opera con più editor?
Inoltre, a seconda dell’opera ti affidi a un editor diverso tra quelli con cui ti sei trovata bene?
P.S.: non ti chiedo di fare nomi, sia chiaro. Anche se, seguendo il tuo blog, ho presente con chi lavori. 😀
Esistono i lettori che dici tu. Esistono anche i lettori consapevoli, in grado di argomentare i mi piace e i non mi piace (e non necessariamente per essere dei superbeta ma per proprio piacere/indole/necessità). Poi esistono gli editor. E, come in ogni campo professionale, c’è chi lavora bene e chi no. E come in molti campi ci si improvvisa. Una qualità (a parte le competenze di base) che deve avere un editor (o un lettore superbeta) è farsi tante domande. A volte si può anche pensare che un qualcosa sia sbagliato, poi si verifica ed è giusto: meglio questo che il contrario. In ogni caso, notare un’incongruenza o una stonatura è sinonimo di attenzione e da qui se ne discute con lo scrittore (che quanto sarà disposto ad ascoltare?). Ho travato libri (da self e da CE, con tanto di editor nel colophon) pieni di refusi (va bene, nessuno è immune ma ci sono dei limiti – in alcuni casi sarebbe bastato usare il correttore di word e ho detto tutto!), errori grossolani come sbagliare il nome del protagonista, frasi mal costruite frutto di evidenti revisioni e taglia/copia/incolla che poi si incastrano. Della questione “traduzione” ne tengo conto quando leggo, nel bene e nel male. E ora veniamo alla frase incriminata, così, per provare a capire qualcosa in più. Copio dalla versione tedesca:“ Er legte den Arm enger um seine Frau und sah hinaus auf den Atlantik. Eben verschwand die Sonne. Der Himmel ging ins Violette. Hoch gelegene Dunstfelder leuchteten rosafarben am Horizont.“ Non parlo Tedesco (sì e no l’Italiano) quindi mi affido a Google che traduce: “Mise un braccio attorno alla moglie e guardò l’Atlantico. Il sole stava scomparendo. Il cielo è diventato viola. I foschia d’alta quota brillavano di rosa all’orizzonte.” A parte piccoli errori, da Michele questo avremmo potuto riscriverlo senza grossi problemi. Quindi? L’autore intendeva effettivamente tramonto o il traduttore si è preso troppa libertà ed è stata una sua deduzione? Se non fosse stato usato specificatamente “tramontato” ma appunto “il sole stava scomparendo” o una cosa simile? Chissà.
Tanto di cappello.
Il tedesco per me è una lingua ostrogota, non mi sono nemmeno azzardato a rintracciare il testo originale. Ora che tu l’hai fatto per me (e ti ringrazio) penso di non avere più dubbi: l’errore è stato fatto dall’autore, visto che cita l’Atlantik e visto che la località dell’ambientazione (Montauk, punta orientale di Long Island) è inequivocabile.
Più che l’autore, comunque bacchetterei l’editor e un pochino anche il traduttore perché io penso che un traduttore, nella sua opera di traduzione, debba capire bene il contesto e l’atmosfera per scegliere le giuste parole. Il traduttore deve essere là con la mente, sulla spiaggia di Montauk, per tradurre adeguatamente. Ma l’ho già detto: forse sono io che sono un lettore troppo pignolo.
P.S.: tempo fa avevo scritto un post su un’opera tradotta in italiano dall’inglese. Lì sì che la mia curiosità mi aveva spinto ad andare a rintracciare il testo originale, visto che mi trovo più a mio agio con l’inglese invece che con il tedesco.
http://retroblog.dariustred.it/profezie-poco-precise/
Anche perché, in quell’occasione, l’errore era ben più madornale e ruotava attorno al delta del Nilo, indicato come “culla delle tre principali religioni” …
L’autore (Robert Masiello), nella sua opera (La profezia di Einstein) ambientata negli anni 1942-1944 parlava anche di “elicotteri” (che non esistevano affatto all’epoca). Ma questa in confronto è stata un’autentica leggerezza.
Sì, è capitato che mi avvalessi, pagando, della solita editor free lance bionda, e poi ci fosse un secondo editing da parte della casa editrice, quindi un’altra editor, che dire, la seconda editor aveva un testo più pulito e ha dovuto faticare meno, credo sia questa la sostanza, anche se la prima volta che questo è avvenuto, se l’opera non fosse stata rifinita dall’editing della bionda, forse all’editore non ci sarebbe mai arrivata, quindi niente secondo editing.
In realtà io credo che la bionda sia il top, ma avendo ormai un’agenzia che mi segue, che si prende una percentuale sui miei incassi, non sempre ho voglia di spendere dei soldi prima, lo faccio solo quando sono particolarmente inguaiata con la stesura, per cui non sempre mi ci affido.
Interessante. Grazie mille. 🙂
Prego, è un piacere!
Un paio di anni fa sai che volevo fare un corso di editing? Poi, vista l’inflazione di editor anche improvvisati ho pensato che non valesse la pena aggiungermi al numero. Per me l’editor è una professione per pochi e devi studiare tanto per diventarlo, non avere una generica competenza letteraria, magari essere un lettore forte, il famoso “lettore forte” che ne sa più di uno che scrive perché legge di tutto di più. E un editor professionale ha un’impostazione che dovrebbe valere per ogni lavoro che gli viene commissionato, perché il suo scopo è dare la possibilità a quel dato scritto di diventare “pubblicabile”. Per me è una figura imprescindibile e non sostituibile con un lettore superbeta, che difficilmente si mantiene equidistante perché si fa condizionare dai gusti e non ha quegli strumenti, quella preparazione che una professione seria richiede. Metti un docente e uno che dà lezioni private: assolutizzo perché è facile dire:vabbè, ma ci sono insegnanti che ne sanno meno degli alunni, per dire.
Devi essere fortunato, finire nelle mani giuste, certo, e soprattutto avere denaro da investire. Per questo credo non basti l’aiuto di un lettore beta, strabeta, extrabeta, ma non potendo permettermi l’intervento del mega editor di grido, mi butto sul versante concorsi, dove, se ti va bene, sei sottoposto al lavoro di un editor interno che non devi retribuire.
Insomma si cercano modi, ma non scavalcando il lavoro necessario di un professionista,
Non posso negare di essere in linea con i tuoi pensieri. Tuttavia, i miei dubbi rimangono. Come si fa a riconoscere se un editor è un editor valido? È solo una questione di fortuna, dici tu. Finire nelle mani giuste.
Una botta de cu’, quindi ? 😀
“Solo” una gran botta de cu’ ?
Non è solo fortuna ma anche questione di scelte. Scelta di affidarsi a una CE seria e il resto di conseguenza. Se invece si cerca un contatto diretto con l’editor, scelta di impegnarsi a valutarne diversi iniziando ad escludere quelli che hanno curato libri che poi si sono rivelati poco curati. Poi, oh, un po’ di fortuna magari.
E come si fa a sapere chi ha fatto l’editor di chi? Non sempre è possibile.
E anche se lo si venisse a sapere, come si fa a sapere se è l’editor giusto…
…ritorniamo alla botta de cu’. 😀
Poi è anche vero quello che dici tu: cioè che bisogna fare delle scelte molto-molto-molto oculate.
Leggendo il colophon! Perché in diversi libri è presente, quasi a vanto o comunque per pubblicità: ecco, molti di questi magari è meglio evitarli se mettono lì il loro nome ma il lavoro non è stato ben fatto (in particolare vale per il self perché ci si rivolge appunto ad editor liberi professionisti). E poi informandosi, anche domandando in modo specifico. L’editor giusto è un discorso ma evitare almeno l’editor sbagliato è già tanto.
Hai ragione, tra colophon e ringraziamenti (altra sezione che non sempre è presente in tutti i libri) si riuscirebbe anche a individuare qualche nome. Però dall’annotarsi il nome dell’editor al capire come lavora, per arrivarci resta sempre una gran botta de cu’.
Anche perché non è sufficiente apprezzare o meno il romanzo: come fai a sapere quanta farina del suo sacco ci ha messo l’autore? Magari è stato bravo e l’editor gli ha solo sistemato qualche virgola. “Ecco un bravo editor!” ma in realtà bisognerebbe dire “Ecco un bravo autore!” …
Comunque hai anche ragione sul fatto che trovare subito l’editor giusto resta un’impresa, ma evitare quelli sbagliati è già un bel risultato. Condivido in pieno.