Cosa succede quando muori? Una domanda così inquietante se la fanno in molti nella vita.
Ma la mia l’ho fatta direttamente a Emme. E ovviamente non mi riferivo alle conseguenze biologiche. Quelle sono più o meno note a tutti. Non mi riferivo nemmeno alle conseguenze “spirituali”.
Stavamo parlando delle sue sedute, di come facesse a individuare i casi in cui si rendeva necessaria l’ipnosi regressiva, quella tecnica tabù di cui non tutti gli strizzacervelli parlano volentieri dato che la scienza ufficiale arriccia il naso solo al sentirla nominare.
“Non succede nulla.”
Nulla. Non succede nulla. Ma detto così, da Emme, se te lo dice senza nemmeno sollevare lo sguardo mentre sta tagliando una pizza, quel nulla aveva l’aria di essere un osso dal quale si poteva rosicchiare qualcosa di estremamente interessante. Il pollo – che conosco bene – poteva dissimulare quanto voleva ma ormai sa benissimo che quando la mia mente di scribacchino drizza le antenne subodorando tracce d’ispirazione, c’è ben poco da fare: o vuota il sacco o si fanno le ore piccole. E se fa resistenza, come di fatto è accaduto, si fanno le ore piccole proprio per fargli vuotare il sacco.
“Dunque? Non succede nulla?”
Con la sua masticatura composta, saggiamente diluita in una pausa a effetto, la sua risposta – concisa – è stata questa.
“Il paziente avverte una sofferenza diffusa, tende ad agitarsi sul lettino, a volte si rannicchia in posizione fetale e sembra cadere in una sorta di sonno improvviso.”
“E poi?”
“E poi occorre portare pazienza. Appena si rilassa, a quel punto ricomincia a parlare. I suo occhi si muovono frenetici sotto le palpebre chiuse. Segno che sta rivivendo scene passate.”
“Deve essere affascinante. Qualche volta mi fai assistere?”
“Certo, come no. Vuoi pure un secchiello di popcorn?”
Era un no. Ci avevo provato ma sapevo già la risposta.
“E succede sempre così?”
“Vuoi il dolce o passiamo direttamente al caffé?”
Ha tentato di ignorarla, la mia domanda. Ma sapeva di non potersela cavare facilmente. “Perché lo vuoi sapere? Vuoi scriverlo nel tuo caxxo di blog?”
“No” ho detto mentendo. E sorridevo perché Emme sapeva che mentivo. Tutto sommato non gli importava cosa scrivessi sul mio caxxo di blog (del resto, lo state leggendo ora). Non per nulla la conversazione è proseguita davanti al tiramisù.
“Più o meno succede sempre così” ripete. “In genere…”
Le sue ultime due parole – in genere – le aveva calcate con lo sguardo complice. Un autentico invito a proseguire.
“Ok. In genere succede sempre così” continuavo. “Però a volte succede qualcosa d’altro? È questo che intendi?”
Con lo sguardo abbassato sul dolce, ha inclinato leggermente il capo come a dire “più o meno”. Ma era pensoso, indecifrabile, intento a sezionare il tiramisù in quadrotti equi, alla ricerca di improbabili linee rette.
“In genere il passaggio a una vita precedente avviene così, come ti ho detto. Altre volte, diciamo semplicemente che… non avviene.”
“Non avviene il passaggio?”
“Non avviene il passaggio.”
“Quindi che vuol dire?”
“Vuol dire niente passaggio, punto. Non c’è, non si verifica, non sussiste. Quando fai una regressione torni indietro nel tempo. Ascoltando il paziente che racconta i suoi ricordi inconsci, riesci a raccapezzarti su quanto sei andato indietro. Ad esempio, un soggetto di cinquant’anni che ti racconta un episodio vissuto da bambino ti permette di capire che sta rivivendo qualcosa accaduto quarant’anni fa, grosso modo. Se lo fai regredire ancora, arrivi alla prima infanzia. E poi arrivi al passaggio. Ti dicevo che si agita sul lettino, si rannicchia. Significa che sta rivivendo il trauma della nascita e della morte. Nascita più morte: questo è il passaggio. Oltrepassato questo limite, con la regressione sono arrivato nella sua vita precedente. E poi lo faccio regredire ancora, e ancora, e ancora. Poi un altro passaggio e arrivo a due vite fa. E così via.”
Chiaro. Ci siamo versati dell’acqua prima di proseguire.
“Ci sono soggetti che non vivono questi passaggi. Non sono molti. Statistiche alla mano, sono pochi. Ma ci sono.”
“Come è possibile?”
Per tutta risposta, Emme mi ha fatto spallucce.
“La risposta più semplice? A volte il soggetto è alla prima vita. Quindi nessun problema: tutto torna. Tutti noi abbiamo avuto una prima vita. Altre volte è più complicato.”
Quindi, ricapitolando, Emme mi stava dicendo che, per la stragrande maggioranza, le persone hanno vite precedenti. Questo non era una novità per me, ne avevamo già parlato. Una parte esigua invece è alla prima vita. E questi soggetti, pur rari, li si può riconoscere perché non “muoiono” durante la seduta. Virgolette d’obbligo, naturalmente. Intendo dire che non rivivono alcun passaggio nascita-morte, visto che non ci sono vite precedenti.
Ma esiste un’altra categoria di persone, una categoria ancora più esigua…
“… di persone che?”

Emme sorrideva a quella mia domanda. Sentiva il culmine acuto della mia curiosità morbosa. E la cosa, come al solito, lo divertiva. Parecchio.
“Persone che non abbiamo ancora inquadrato bene. Sono estremamente rare. Molto probabilmente sono poche decine in tutto il mondo, forse meno di trenta, secondo le nostre statistiche.”
Il plurale di Emme non mi era sfuggito. “Le nostre statistiche? Statistiche di chi?”
“Ricordi quando sono andato in Svizzera qualche mese fa?”
“Sì, al convegno. Ricordo. Quello della storia complicata.”
“Esatto. Tu lo ricordi per la storia complicata. Ma in realtà, a margine del convegno, mi sono trovato con L anche per un altro motivo. Per parlare di queste persone rare. Ricordi quando ti avevo raccontato della brocca di Emmaus?”
Certo che me lo ricordavo. Lo ricordo bene anche ora, ne avevo tratto il suo primo ghost post.
“A quanto pare” aveva continuato Emme “ho avuto il grande privilegio di imbattermi in una di queste persone. All’epoca non avevo colto la portata di questa singolarità. Ero rimasto con i miei dubbi. Poi casualmente ne avevo parlato con L e la cosa aveva assunto una certa importanza.”
“Anche lei si era imbattuta in una persona così?”
“No. Però conosceva altri specialisti a loro volta in contatto con psicologi come me che si erano imbattuti in soggetti simili nelle rispettive sedute. Un fenomeno raro che, nonostante la sua stessa rarità, ha destato molto interesse nella cricca di psicologi, psichiatri, psicoterapeuti di vari istituti e università in giro per il mondo. Persino neurobiologi. Alla fine mi ha messo in contatto con persone interessate a fare alcune ricerche. Gente che vuole tenere le orecchie bene aperte quando si imbattono in queste persone rare per poter indagare questo curioso fenomeno.”
“Ha l’aria di essere una cosa interessante. E cosa fate quando vi trovate?”
“Mica te lo vengo a raccontare. Dopo lo scrivi sul tuo blog.” Emme sogghignava. “A dire il vero non ho ancora deciso se aderire o meno. Mi pare una proposta un po’ raffazzonata, un circolo di “ipnotisti” senza scopi precisi. Tieni conto che in cambio mi chiedono la cartella clinica completa del paziente…”
“Circolo di ipnotisti a parte, tu che idea ti sei fatto? Voglio dire: cosa dice la scienza, quali sono le evidenze oggettive, scientifiche, cosa c’è di attendibile?”
“Caxxo Dario, ti preoccupi già della scienza?”

Una battuta così goliardica, da Emme, non me l’aspettavo. Proprio lui, sempre così posato, così logico e circoscritto. Era arrivato il momento del caffè.
“La scienza è uno strumento imprescindibile in certi campi. Ma il problema della nostra cultura è la supponenza. Pensiamo di conoscere tutto e di poter indagare tutto: basta applicare la scienza, il metodo scientifico. E via, è fatta. Crediamo di avere la realtà sul palmo della mano. Certo, corretto. Il punto è che occorre essere disposti a mettere sempre tutto in discussione. Ed è molto difficile trovare persone colte, e scienziati, disposte a mettere sempre in dubbio quello che già conoscono, pur di ampliare sempre più la propria conoscenza.”
“Sarò sincero: non ci ho capito un caxxo di quello che hai detto”.
“Facciamo un esempio pratico. Se io ti dicessi che posso tagliare un pezzo di legno con un foglio di carta, tu cosa mi diresti?”
Aveva l’aria di essere una domanda a trabocchetto ma non potevo negare la prima risposta che mi era venuta in mente.
“Be’, ti direi che è impossibile.”
“Bene. Sulla base di cosa?”
“Il legno è più duro della carta.”
“Bene. E chi te l’ha detto? L’hai provato?”
“È evidente. Mi sembra logico…”
“Bravo! Hai colto il nocciolo della questione, in pieno. Ti sembra logico. La logica!”
A quel punto Emme ha estratto il suo smartphone per digitare un paio di parole.
“Osserva.”
Un filmato. Lo stesso che ripropongo qui di seguito. Un filmato curioso, non potevo negarlo: con un disco di carta, viene mostrato come sia possibile tagliare un foglio, un mazzetto di fogli, cartone e infine… legno.

“Secondo la logica, non è possibile tagliare il legno con la carta. Vedi qual è il problema della nostra cultura scientifica? Noi supponiamo, con arroganza, che una certa cosa non sia possibile. Per noi è sufficiente supporlo per non prendersi nemmeno la briga di fare una prova sul campo e, contenti, procediamo oltre. Chiaro: non puoi tagliare un pezzo di legno di qualsiasi spessore o durezza, ma alla domanda ‘Si può tagliare il legno con la carta?’ non si può rispondere tassativamente ‘Sì’ o tassativamente ‘No’. Bisogna distinguere i casi, bisogna porsi i dubbi, bisogna aprire la mente…”
Come ragionamento non faceva una piega, però…
“…sei sicuro che non sia un fake, quel video?” ho chiesto.
“Ottima osservazione. Potrebbe essere un fake? A questo punto, cambia poco: per assicurarsene si deve comunque fare una prova sul campo. Sempre se ci sta a cuore indagare la verità…”
“Ok, mi arrendo”. Bevuto il caffè, restituivo lo smartphone a Emme senza saper più come controbattere.
“In certi campi, come il mio, occorre essere disposti a mettere in discussione la logica prima ancora di arrivare a scomodare la scienza. Di’ la verità, cos’hai pensato quando ti ho raccontato della brocca di Emmaus?”

Non c’era bisogno di dirla, la verità. Emme l’aveva capita. Ai tempi non ci avevo creduto. La logica – già, proprio la logica – mi aveva suggerito che tutta la vicenda fosse inventata di sana pianta. Non da Emme, sia chiaro. Ma per via di qualche oscuro cortocircuito mentale di quella persona sotto ipnosi.

“E quindi, M***? Che idea ti sei fatto su queste persone… rare?”

6 commenti su “Dialogo surreale

  1. Può la luce tagliare il ferro? Certo, taglio laser. Può l’acqua tagliare il marmo? Certo, waterjet, taglio ad acqua ad alta pressione. Può la carta tagliare il legno? Certo, perché la carta è già tagliente di suo (mai tagliato la pelle con un foglio?) e la velocità di rotazione di una sega circolare la rende più resistente rispetto al materiale inerte (il video è velocizzato, l’uomo avanza il legno molto lentamente). Solo che si surriscalda ed è lì che cede.
    Tuttavia, ha ragione Emme: non siamo in grado di spiegare molte cose con la sola logica. 🙂

    1. Certo che ho provato a tagliarmi le dita con un foglio di carta. Se è per questo ho provato a tagliarmi anche con un filo d’erba… 😀 Tuttavia, quando mi ha chiesto del legno, mi ha colto alla sprovvista. 😛

    1. Ah aha ah. A proposito di paura: pensa che ora si è fatto cresce il pizzetto. “Perché ti sei fatto crescere il pizzetto?” gli ho chiesto. “Per fare più paura ai pazienti” mi ha detto.

      Però stai tranquilla, non sei una sua paziente.
      Per il momento… 😀 😀 😀

      1. No, per carità, io non credo alla reincarnazione, però, scoprire tramite l’ipnosi di mister Emme pizzetto che potrei essere “morta” non so quante volte mi terrorizza. ????????

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