Questa è una storia di diavoli, questa è una storia di trisavoli. E’ una storia di passioni e di emozioni, ma anche una storia di sottili apparenze, dove non tutto è come sembra, non tutto è come appare. Non vi è traccia di maligno, nulla di sinistro e di inquietante perché il diavolo, qui, è inteso nel senso più essenziale e innocuo del suo significato: “diavolo” è semplicemente colui – o ciò – che divide. La nostra vita, in un certo senso, è piena di diavoli: persone, eventi, circostanze ma anche occasioni, opportunità, sfide che ci mettono di fronte un bivio, costringendoci a una scelta. E questi diavoli dividono. Dividono sempre. Dividono ciò che sarà da ciò che potrebbe essere, ciò che è stato da ciò che non è stato. A volte ciò che ci divide è sotto il nostro controllo. Altre volte no. E il destino ce lo ricorda spesso. Il Destino stesso, in un certo senso, è un Diavolo: decide per noi. Divide per noi. Soprattutto decide – e divide – quando meno ce lo aspettiamo. Ma non tutto ciò che viene diviso rimane diviso per sempre. Questa è la mia storia. Come dicevo, una storia di diavoli, una storia che comincia quand…

Suonò il campanello. Elda fissò l’orologio sulla parete, infastidita più dalla brusca interruzione della sua vena creativa che dall’ora. Marcello era in anticipo. E non era un buon segno.
“Ti prego! Vendimi il manoscritto. Sono disposto a coprirti di soldi…” supplicò appena entrato.
Elda sospirò imbarazzata. Aveva sospettato subito che quel nuovo incontro richiesto da Marcello, il “grande scrittore”, non sarebbe stato facile: e vederlo entrare in ginocchio nel suo studio, con la faccia nascosta da un mazzo di rose rosse, era stato un autentico colpo. Voleva essere simpatico, lui. Cordiale, affabile, accattivante. Si aspettava che avrebbe tentato di ammorbidirla in tutti i modi. Ma quell’entrata così teatrale non aveva fatto altro che complicare le cose. Il contratto era chiaro.
“Marcello. Il contratto parla chiaro” disse lei dando voce a quell’ultimo pensiero. “Io sono la tua ghost writer. Abbiamo concordato una trilogia e hai avuto i tuoi tre romanzi” rispose.
“Ho bisogno del quarto! So che l’hai scritto.”
Elda si morse il labbro per essersi fatta scappare quella mezza confidenza nell’incontro precedente. Quando la trilogia era ancora una trilogia.
“Il quarto romanzo è inutilizzabile, ormai!” sbottò lei stizzita.
“Posso aggiustare tutto”.
“No. Lo sai che non puoi. Lo sai benissimo. E comunque anche questo è regolato dal contratto. Io sono la tua ghost. Una volta avuti i manoscritti, puoi farci quel che vuoi. Ogni responsabilità è tua. Nel bene e nel male. A me i soldi pattuiti, a te la ricchezza, la fama, i diritti. Tutto. Puoi farci quel che vuoi. Ora sei una star internazionale…”
“Hai ragione, hai ragione. Abbiamo già discusso questo particolare. Ma l’ultimo romanzo della trilogia era troppo lungo e l’editore ha deciso di dividerlo in due parti…” Dividerlo in due parti, pensò Elda. Diavolo d’un editore.
“…trasformando la trilogia in quadrilogia, ma sempre tre romanzi sono!” esclamò lei.
“…è stato inevitabile. I costi di stampa, la distribuzione, milleseicento pagine erano troppe… lo sai come funziona.”
“…fandonie! Sai benissimo che l’hanno diviso per incrementare le vendite. Si fanno più soldi con quattro romanzi, anziché con tre. E comunque non è questo il problema…” Elda si bloccò incredula. Marcello stava piagnucolando.
“Lo so, lo so, lo so! Ho sbagliato tutto! Tutto!”
Aspettò che si calmasse. Non voleva infierire troppo.

Marcello aveva commesso un errore madornale. Non solo aveva permesso che il terzo romanzo venisse diviso in due parti, ma aveva lasciato carta bianca all’editore, lasciando che il suo editor si occupasse di variarne il finale, stravolgendo così il senso di tutta la storia. Come se non bastasse, in quel dannato pasticcio erano stati invertiti alcuni ruoli dei personaggi. Il tutto senza che Marcello quasi se ne accorgesse, preso com’era dagli sviluppi di una possibile trasposizione televisiva. E ora le rotative di stampa giravano già a pieno ritmo.
“La storia è sacra” riprese Elda. “Tu non la dovresti cambiare. Perché le mie storie, sono vere. Questo non è regolato dal contratto, ma fa parte delle tue responsabilità. Se decidi di cambiare la storia, ne subirai le conseguenze. Ma io non esisto. Sono solo la tua ghost. Anche volendo, non posso aiutarti.”

Il mazzo di rose giaceva per terra scomposto. Marcello alla fine si era deciso ad andarsene. E finalmente Elda poté togliersi la maschera. Che ironia, pensò. Una ghost writer costretta a usare la maschera.

I suoi clienti avevano sempre pensato che fosse un tantino eccentrica. Incontri solo nel suo studio, solo dopo mezzanotte, e lei sempre con questa maschera veneziana che la rendeva praticamente irriconoscibile. Ma era uno stratagemma a cui aveva deciso di non rinunciare più, dopo che l’ultimo scrittore prima di Marcello si era trasformato in uno stalker insistente, attratto più dalla sua bellezza che dai suoi romanzi. Era passata una vita. Letteralmente. E la vita che era “passata” era proprio la sua. Sembrava ieri. Diavolo d’un Destino!

“Quando ti deciderai a dirglielo?”
Federico era comparso alle sue spalle, dopo aver visto dalla finestra l’auto di Marcello svoltare lontana in fondo al viale. Aveva assistito a tutta la scena da dietro la libreria. E non gli era piaciuta per niente. La finta parete piena di libri nascondeva un piccolo antro con una poltrona, dove alcune fessure invisibili permettevano di tenere bene in vista gli incontri di Elda. Altro stratagemma “antistalker”. Federico aveva così potuto assistere alla sceneggiata di Marcello, percependo quel brivido d’imbarazzo che aveva provato la stessa Elda.
Quella posa da cascamorto era davvero poco dignitosa, anche se gli aveva provocato una punta di gelosia, visto il noto fascino dello scrittore. Si era sempre chiesto se lo invitassero in tv più per il suo appeal, che per la sua bravura. E conosceva la risposta, dato che la “sua” bravura era in realtà bravura di Elda.
“Il contratto parla chiaro, Federico. Tre romanzi. Punto. Io il quarto l’ho scritto perché la storia, in fondo, è mia, tengo i personaggi in punta di dita. La conosco, la sento. Diciamo che ho avuto bisogno di scriverla. L’ho fatto per me stessa. E poi, lo sai. Marcello sapeva già che esiste un quarto romanzo, mi sono tradita l’altra volta…”
“Non mi riferivo a quello…” la interruppe lui.
Elda lo fissò, in attesa che si spiegasse.
“Dovresti dirgli che non sei solo una ghost writer…” proseguì Federico.

“Stai scherzando? Non mi tentare…” Diavolo d’un Federico!
“No, non sto scherzando” rispose. Ma lui scoppiò subito a ridere, tradendo la sua finta serietà in un amen.
“E cosa dovrei dirgli, secondo te? Dovrei raccontargli la mia storia? Mi riderebbe in faccia…” riprese Elda.
“Be’, se non altro, non se ne andrebbe via piagnucolando” disse lui, volgendo lo sguardo al viale fuori dalla finestra.
“Siamo seri, per favore.”

Federico, che ora sedeva al posto di Marcello, fissò le rose rosse buttate sul pavimento. “Qui finisce male. Come l’altra volta”. Le aveva gettate Marcello prima di andarsene, con un ultimo gesto di stizza fin troppo plateale.
Lei rimase per un attimo perplessa. Aveva captato subito l’allusione di Federico. Lo scrittore di allora, Andrea, aveva tentato di suicidarsi prima di finire la sua esistenza eroso dalla depressione. E dai suoi diavoli, ripensò Elda.
“Avrebbe dovuto rimanere dov’era e continuare a fare il giornalista, se solo sua moglie non l’avesse convinto a intraprendere la carriera di scrittore… Diavolo d’una moglie”.

Si era chiesta a lungo, non senza sensi di colpa, se l’avergli fatto da ghost writer fosse stata la scelta giusta. Scelta sua o scelta di Andrea? In ogni caso, ad ogni elaborato consegnato, l’invidia di Andrea cresceva palpabile, finché la collaborazione non divenne un morboso rapporto di pericolosa sudditanza psicologica. “Perché sei così brava a scrivere? Perché non sono bravo come te? Perché tu hai sempre idee così brillanti?”. A volte sentiva riecheggiare ancora quelle domande nella sua mente, quando la sua vena creativa non le lasciava tregua.

Forse Andrea sarebbe ancora in vita se avesse avuto un’altra ghost writer.
Forse lei stessa era stata un diavolo per lui? Aveva diviso la sua vita, dandole una direzione fatale?
Tornò al suo lavoro.

Come dicevo, una storia di diavoli e di trisavoli. Dicono che quando stai per morire rivedi tutta la tua vita in pochi secondi. Non saprei dire se quello che ho visto io rappresentasse davvero tutta la mia vita ma di sicuro ho rivisto i momenti salienti, tutto ciò che è stato determinante, tutti i bivi incontrati, tutte le persone che mi hanno cambiata, tutti gli eventi che hanno determinato il corso della mia esistenza. Tutti i miei diavoli, insomma. E’ stata quella manciata di secondi in cui sono uscita di strada. Sentivo di rotolare rovinosamente verso il fondo della scarpata. Ogni botta, un fotogramma della mia vita. Un diavolo. Ma in quegli stessi istanti osservavo da lontano la mia auto accartocciarsi, rimbalzo dopo rimbalzo. Mi vedevo dentro ma ero già fuori. E prima che l’angoscia pulsante mi permettesse di capire realmente, ciò che stava accadendo era già accaduto. Il Destino, Diavolo per eccellenza, aveva già deciso. E aveva diviso. Diviso la mia anima, che osservava placida, dal mio corpo che giaceva immobil…

Il telefono prese a vibrare. Federico, ancora seduto di fronte a Elda, osservò il display. Il numero di Marcello. Ancora lui. Fissò Elda con uno sguardo interrogativo per capire cosa intendesse fare. Ma il telefono vibrò a lungo, senza risposta.
“Dovresti deciderti a dargli il benservito una volta per tutte!” l’apostrofò lui. “O devo pensare che hai un debole per il grande scrittore?” Elda sorrise compiaciuta. Adorava la sua sottile gelosia.
Si alzò e, lentamente, si sedette a cavalcioni in braccio a Federico. Lo abbracciò, appoggiando la fronte contro la sua, pronta a caricare il momento con tutta la sua fisicità femminile. Non avrebbe mai smesso di ricordargli che, nonostante la sua singolare condizione, era ancora in qualche modo viva. Presente.

Federico le baciò la lieve cicatrice che aveva sulla guancia, altro motivo per cui Elda indossava la maschera nei suoi incontri. Un ricordo dell’incidente. Non ne era uscita sfigurata ma, insomma, il segno era rimasto. E, benché la trovasse sexy, quel segno ricordava a entrambi il tragico evento.
Nulla era più come prima.
Erano sposati da meno di un anno e, come tutti gli sposini, avevano grandi sogni.
Qualche viaggio esotico, una casa più spaziosa, grandi prospettive di carriera. Una famiglia.

Poi l’incidente, a spezzare tutto quanto. Ma, nonostante tutto, erano ancora insieme. Ed era quello che contava più di ogni altra cosa. Ogni volta che si abbracciavano forte, lo ricordavano entrambi. Ma quella tragica fine era stata anche un insperato inizio. Elda sapeva che le sue storie erano così avvincenti e potenti proprio perché reali.
Le vedeva.
Certo, non erano storie di quella realtà. Appartenevano a quella sorta di dimensioni immaginarie che lei vedeva nel suo girovagare per i meandri delle realtà parallele, realtà che spesso erano il passato di quella vita reale che aveva abbandonato, prematura, dopo l’incidente. Dio, quante storie! Quante verità sepolte dalle apparenze, quante anime che reclamavano giustizia. Le vicende di cui scriveva erano così ricche di particolari che, quando decideva di scriverle, ne usciva sempre quella formidabile essenza magica, quell’alchimia che rendeva così vividi e ben congegnati i suoi intrecci.

L’incidente, oltre ad aver stravolto le loro vite, le aveva portato quel dono. O quella maledizione. Anche se in realtà tutto aveva avuto inizio con quell’incontro, al quale tornava spesso con la mente.

Si era ritrovata improvvisamente a camminare su un prato di montagna sotto un magnifico cielo irreale: di fronte a lei un tramonto, alle sue spalle un’alba. Tre soli e quattro lune, qualche stella che tentava di farsi spazio in mezzo a grandi e imponenti nuvole sopra la sua testa. Nuvole gonfie, grigie, blu, e un temporale che scricchiolava loro dentro. Uno scenario incredibile, fatto di giorno e notte insieme, di calma e tempesta. Di fine e inizio.
“Benvenuta, Elda.”
Si voltò e si accorse di non essere sola.

Una quercia secolare si era materializzata al suono di quella voce, e sotto, seduto a un tavolo di legno massiccio, stava lui. Una figura sorridente, biancovestita, con una barba chiara, incolta ma ordinata. Scriveva su fogli utilizzando uno stiletto appuntito ricavato sapientemente da un ramoscello, col quale attingeva da una ciotola di legno impregnata di rosso. Accanto, una tavolozza da pittore era coperta da more, lamponi, mirtilli, tutti pigiati: l’inchiostro della stessa ciotola.
Sull’altro lato del lungo tavolo, un po’ tondo, un po’ arcuato, tre figure concentrate su una strana scacchiera esagonale, impegnate in una partita a scacchi a tre, ciascuno con i propri pezzi. Accanto al tavolo un pianoforte e una donna che vi suonava piacevoli melodie.
“Dove sono?” disse Elda.
“Dove non dovresti essere” rispose l’uomo senza distogliere lo sguardo dalla sua scrittura.
“E tu chi sei?” domandò lei. L’uomo sorrise divertito.
“Sono Guglielmo. Scrivo storie. E sto scrivendo la tua.”

Notava in lui un che di familiare, qualcosa che le ricordava il nonno.
“Siamo i tuoi trisavoli” disse indovinando il suo pensiero.
Stupefatta, Elda osservò quella scena con occhi nuovi. Le tre figure intente a giocare a scacchi, la donna che leggiadra suonava il pianoforte. Davvero erano tutti suoi antenati?
“Sosteniamo il tuo destino” aggiunse Guglielmo.
“…il mio destino? E allora cosa ci faccio qui?” rispose lei impulsiva.

Guglielmo fissò l’orizzonte quasi a cercare una risposta nelle nuvole. Poi stese una mano e quel prato immenso, come per magia, si popolò di alberi maestosi a perdita d’occhio. Ogni albero, un tavolo. Ogni tavolo uno scrittore e figure chine su scacchiere esagonali. L’aria si riempì di un’armonia di musiche di pianoforte.
“Moltissimi di voi possiedono un albero…” disse Guglielmo.
Elda guardò stranita quello scenario.
“Che fanno? Perché giocano a scacchi? E perché suonano?”
Guglielmo sorrise.
“Non stanno giocando a scacchi” rispose. “Stanno osservando le mosse”.
Elda guardò con attenzione la curiosa scacchiera esagonale che vedeva lì vicino.

Su di essa erano disposti tre gruppi di pezzi ma si accorse che non erano normali pezzi da scacchiera.
Avevano le forme più insolite, ma soprattutto, di tanto in tanto si muovevano da soli, come mossi da forze invisibili. I suoi tre antenati non parevano percepire la sua presenza, presi com’erano a osservare con attenzione l’evolversi di quello strano gioco. Ogni qualvolta un pezzo si muoveva improvvisamente, essi rispondevano saltuariamente con una contromossa.
“Chi muove i pezzi?” chiese Elda.
“Il destino. Nel bene e nel male. E loro cercano di sostenerlo. O di ostacolarlo.”
“Non capisco…”
“Non lo puoi capire.”
“Cosa significano quei pezzi? Perché sono divisi in tre gruppi?”
“La scacchiera rappresenta il tempo. Il tuo presente. Il tuo passato. E il tuo futuro. Finché siete in vita non potete capire, né percepire questo equilibrio. Vivete in un mondo tridimensionale e pensate che il tempo sia una linea retta. Ma in verità le dimensioni sono sei e il tempo è circolare…” proseguì Guglielmo. “E’ una sorta di spazio esadimensionale. E’ molto complesso da capire, ma qualcuno di voi ci sta arrivando: lo chiamate spazio di Calabi-Yau.”

In quel momento, la musica del pianoforte si fece più profonda e sembrò dettare un cambio di ritmo: la scacchiera prese a ruotare lentamente su se stessa e i tre antenati, forse abituati a quella regola periodica, aspettarono che terminasse quel movimento per poi ritrovarsi di fronte il bordo fino a poco prima limitrofo, con i relativi pezzi disposti.
“Che succede?”
“Ogni volta che ruota la scacchiera, il tuo destino sta cambiando. Ecco che compaiono tre nuovi pezzi” spiegò Guglielmo. Il centro dello scacchiere si illuminò d’una breve luce intensa. “In realtà è un singolo pezzo, proiettato nel tuo passato, nel tuo presente e nel tuo futuro. Un nuovo evento, una nuova persona, una sfida. Sono momenti in cui devi fare delle scelte. A volte sono scelte che dividono le tue linee del tempo. E noi cerchiamo di unirle, se possiamo.”
Elda, per quanto stupefatta da quelle rivelazioni, scoppiò in un pianto dirotto: poter osservare tutto ciò con distacco le aveva improvvisamente ricordato che la sua vita doveva essere finita. Guglielmo le posò delicatamente una mano sulla spalla, quasi a confermare quel suo ultimo pensiero.
“…dunque… è finita?”

Elda piangeva. Il suo pensiero andò a Federico.
Guglielmo non rispose subito a quella domanda.
“Il destino a volte è crudele” disse poi. “Impone scelte. Tuttavia puoi decidere se proseguire o tornare indietro.”

A quelle parole, oltre gli alberi prese vita un bosco maestoso, il cui limitare copriva un pendio che saliva dolcemente oltre le nuvole.
“Se vuoi, il buon Dio è in quel bosco, da qualche parte oltre le nuvole… Ma ti avverto: se decidi di proseguire non potrai più tornare indietro.”
“…si può tornare indietro?”

Guglielmo chinò il capo di lato, con un sorriso indecifrabile.
“Si può tornare indietro…” confermò ripetendo le sue parole. “Ma è davvero questo che vuoi? Niente sarà più come prima. La tua anima è entrata in contatto con il dominio dell’energia. E ciò ti ha aperto tutti i canali.”
A quelle parole enigmatiche, Guglielmo cercò di spiegarsi allargando le braccia e indicando gli alberi, il pendio, il bosco davanti a loro.

“Tutto questo è energia. La vita è energia, l’amore è energia. Il destino! E’ energia. Pochi di voi sono tornati indietro. E lo ricordano come un paradiso. Ma poiché vi siete avvicinati molto al vostro Albero della Conoscenza…” proseguì indicando la quercia “…avete acquisito inconsapevolmente molte risposte. Tornando indietro potreste dominare molte scienze, potreste avere il pieno dominio di molte arti. Se lo farete con saggezza, potrete tornare qui un giorno. In ogni caso, niente sarà come prima. Dunque, è davvero questo quel che vuoi?” ripeté Guglielmo.
Elda piangeva. Non aveva ben chiaro il senso di quelle parole.
“Voglio tornare da Federico” rispose sincera. Era tutto quello che voleva.
“Lo stavo per scrivere…” disse lui, come se conoscesse già la risposta. “Potrai tornare presto.”
Si avvicinò a lei, etereo, i tratti vibranti, vividi ma allo stesso tempo indefiniti. Con un ultimo caldo sorriso le asciugò le lacrime, accarezzandole la guancia.

Fu in quel momento che finì tutto.
Il dolore della cicatrice, toccata dalla carezza di Guglielmo, la riportò di colpo nel giardino di casa, di nuovo sotto un albero. Era notte. Di fronte a lei, seduto sotto il pergolato, Federico con gli occhi sgranati.
Come se avesse visto un fantasma.
Solo dopo capì di esserlo diventata veramente.

L’incontro con Guglielmo doveva essere stato il suo coma, quei tre giorni prima della morte. Tre giorni d’inferno in cui Federico aveva temuto il peggio.
Le raccontò la sua angoscia, la sua disperazione, le sue lacrime. Poi non ci fu più nulla da fare. Il peggio era arrivato: morte cerebrale.
Elda, a quelle parole, si era chiesta quanto potesse essere davvero durata quella conversazione sotto la quercia. Per Federico era seguito un lugubre mese dissoluto. Quindi quell’incontro con Guglielmo, di qualunque natura fosse stato, era avvenuto fuori dalla realtà e fuori dal tempo.
Un’esperienza di pre-morte?

Impossibile saperlo. Ma era accaduto realmente.
E in qualche modo Elda era tornata. Tornata tra le braccia di Federico. La vita non era più la stessa. L’aveva avvertita, Guglielmo. Il suo corpo, se così poteva chiamarlo, era diventato energia pura: solo l’amore, anch’esso energia, le conferiva una certa fisicità. E solo accanto a Federico poteva sentirsi più presente, poteva abbracciare e sentirsi abbracciata. I giorni che seguirono la notte del suo ritorno erano stati i più difficili e surreali.

Federico ed Elda fecero molta fatica a non perdere il contatto con la realtà e avevano capito che non potevano più stare lì a vivere. Troppe persone avrebbero fatto troppe domande. In pochissimo tempo Elda sarebbe diventata un caso mediatico senza precedenti: come poteva spiegare il suo ritorno? Come spiegare il suo nuovo status? La sua anomala esistenza sarebbe diventata presto ingombrante, sollevando questioni inspiegabili per il mondo della scienza e per le grandi autorità religiose. Si sarebbe sentita presto la causa di crisi di certezze, le credenze consolidate sarebbero state messe a dura prova minando la fiducia della gente comune, fino a innescare, forse, destabilizzazioni sociali. Quegli stessi pensieri, così lucidi, profondi e al limite della chiaroveggenza, l’avevano stupita. Facevano forse parte di quanto predetto da Guglielmo?
“Potreste dominare molte Scienze, potreste avere il dominio di molte Arti”. In una parola: la Conoscenza.
“Niente sarà come prima”.
Molto meglio sparire, allora. In tutti i sensi. E Federico, che aveva condiviso fin da subito quei suoi pensieri ascoltando più volte il racconto del singolare incontro con Guglielmo, era pronto a tutto. Anche a trasferirsi altrove, se necessario. Era pronto a sparire con lei, pronto a ricominciare in qualche modo una nuova vita.
Non era la vita che avevano sognato. Ma in fondo cosa importava? Se il destino li avesse davvero divisi per sempre, la loro vita sarebbe stata comunque diversa. Ora, oltre all’amore ritrovato, Elda sentiva una nuova energia che l’animava, l’energia della verità, delle storie che solo i suoi occhi di fantasma le permettevano di vedere. Vedeva vicende, percepiva passioni, sentiva echi, incontrava anime vaganti. E sentiva il forte impulso di scrivere le loro storie, quasi temendo che svanissero per sempre.

E quale migliore soluzione se non quella di fare la ghost writer?
Quand’era in vita era decisamente abile a scrivere. Sapeva il fatto suo. Ora le sue storie erano potenti.
Solo doveva gestire gli scrittori. Ma in questo l’aiutava Federico. E, in fondo, era molto più bravo di lei.

Questa era dunque la sua nuova vita. Un giorno avrebbe dovuto scrivere anche la sua, di storia.
Ma forse la stava già scrivendo Guglielmo, da qualche parte sotto la sua quercia.
Con un vivido inchiostro di more e lamponi.

 

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6 commenti su “Angeli, diavoli e trisavoli

  1. Bello, bello, bello. Il racconto mi è piaciuto e allora sì, ti ho inviato il caffè. Decaffeinato, che è tardi e poi non dormi. 😀

  2. Leggendo mi è venuto in mente un racconto su un ghost writer che aveva una ghost writer che scriveva per lui da quando aveva perso l’ispirazione.. bello! Il tuo ovviamente.. 😉

  3. Anvedi, quel Darius, che storiella che ha sfornato così, con questo caldo, in piena estate! Mi è piaciuta, bravo. Una Elda, in questo momento, capace di vedere oltre, sapere e prevedere, sarebbe utilissima! 😉

    1. Sarebbe utilissima. Se davvero esistessero (e qualche volte rimango con il dubbio…), devo dire che si nascondono proprio bene.

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