23.58
Credo che getterò la spugna. Era nato tutto come un gioco per tirare fuori la creatività, per esprimerla al meglio liberandosi del fardello di regole, rifiniture, correzioni, insomma di tutti quei meccanismi che impongono la rilettura immediata e che distraggono il flusso di pensieri diretto alla creazione pura. Dico bene? Non sono certo, dovrei andare a rileggermi il post iniziale di Chiara, quando è cominciato tutto. Questi dovrebbero essere #imieiprimipensieri, quelli di oggi, anzi, quelli di stanotte perché tra qualche minuto è già domani. Scrivere a briglia sciolta, senza mai usare il tasto backspace per correggere, mi induce però a tirare fuori brutti pensieri. Non importa riguardo a cosa. Sono pensieri che vengono a galla quando l’acqua dell’anima resta quieta. Emergono così, improvvisi, quando nessuna corrente mentale, con la sua energia, li costringe a restaresene sul fondo. Quando sei abbastanza distratto da non indurre nessuna energia mentale ad essere così forte, quando abbassi la guardia, ecco che emergono brutti ricordi. Niente di trascendentale, niente di preoccupante. Sono normali brutti ricordi che, mediamente, uno accumula in una vita. Però quello che stride è proprio questo: il brutto ricordo distrae la creativià. Dovrei scrivere di getto in merito ad una mia idea narrativa, dovrei farne uno sviluppo anche solo embrionale per vedere come si scrive quando si è liberi dalle condizioni mentali e come si scrive, invece, quando si mettono insieme frasi, paragrfi, capitoli in modalità aspirante scribacchino. E invece mi ritrovo a scrivere robe che poi decido di buttare perché non hanno nulla a che fare con la creatività, con la scrittura libera. E infatti questo è il mio quarto getto. Il secondo e il terzo hanno visto la luce ma sono stati inesorabilmente piallati dal tasto canc. Senza remora. Forse occorre un vincolo, almeno uno, in questo gioco (forse c’è stato fin dall’inizio e me lo sono perso io per strada, devo rileggermi il post iniziale di Chiara): scrivere di getto ma imporsi di partire da una propria idea narrativa. Un po’ come trovarsi in una stazione ferroviaria enorme, di una grandissima città dove, partendo, ci sono decine di binari che si intersecano e ti portano chissà dove. Tu parti con il tuo raccontino di getto, come un treno, e vai dove ti porta la tua creatività. Ma solo ed esclusivamente dove ci sia almeno un binario che ti tiene vincolato al gioco. Solo uno per andare ovunque: esci dalla tua città e ad ogni bivio scegli la direzione che più asseconda la tua creatività. Se non ci fossero i binari, il rischio è quello di scrivere sì di getto ma di farsi prendere da derive mentali troppo introspettive, troppo legate al proprio vissuto che nessuno, a volte nemmeno noi stessi, riesce a decifrare. Poi c’è comunque spazio per la fantasia: la Rowling con Harry Potter non si è accontentata dei suoi binari e si è inventata il binario 9 e 3/4. Sempre binario è…
Ecco il mio. Voglio raccontare un sogno, un sogno che presto diventerà realtà. Un sogno vivido, lucido. L’ho ricordato con intensità al momento del risveglio mattutino. Dicono che se li ricordi così cristallini è perché li hai appena fatti. Insomma ero in un agriturismo molto ben curato, appena restaurato dove alloggiavo con la mia famiglia. Ricordo che era stato ricavato da una cascina che stava intorno ai campi del mio paesello. Era l’ora di pranzo. Scendendo dalla nostra camera, stavamo scegliendo il posto in cui sedersi sotto il portico ombreggiato. L’aria frizzante era primaverile, tutt’intorno un tripudio di prati, alberi, aiuole, tutto finemente curato. Mentre vagavamo alla ricerca di un tavolo, mia figlia ha pensato di andare a camminare sul muretto di una aiuola. Nell’andare a prenderla ho notato che l’aiuola era davvero ben curata, molto bella, piena di fiori coperti dall’ombra di un piccolo ulivo. Mi era piaciuta così tanto che, nel sogno, avevo preso in mano il cellulare per fare una foto. Ricordo perfettamente il video del mio cellulare, i passaggi per aprire la app della fotocamera, le impostazioni. Ricordo di aver inquadrato l’aiuola e di aver esortato mia figlia a mettersi bene in posa. E ricordo di aver cliccato e cliccato e cliccato per fare tante foto. E poi siamo andati al tavolo per cominciare a pranzare.
Che c’entra questo sogno con la creatività? Apparentemente nulla. Due giorni dopo continuavo a pensare ancora al sogno e alla sua estrema lucidità. Finché non mi è venuta l’idea. L’idea per scriverci sopra una storia. Un’idea che mi è piaciuta subito. Così tanto da buttare giù quelle quattro-righe-quattro per inchiodarla bene nelle bozze narrative. Da dove mi è arrivato questo sogno? Non saprei dire. È arrivato, punto.
00.29.
Post Post Scriptum
Alla fine la spugna non l’ho gettata. E non mi sono nemmeno andato a rileggere il post iniziale di Chiara, che ha dato inizio a tutto, compreso il mio primo getto. Gli errori di battitura che quindi si vedono, sono rimasti volutamente.
Avrei potuto continuare a scrivere, mettendo nero su bianco l’idea narrativa vera e propria che ho costruito partendo dal sogno. Ma di questi tempi c’è in giro gente che pascola per la blogosfera con l’esplicito intento di scopiazzare contenuti 😛 (lo so: c’è sempre stata. E ci sarà sempre).
Ah, ecco, oggi eri di primo getto anche tu! 🙂
Intendo la pubblicazione,perché se i pensieri sono di getto, l’idea di presentarli in pubblico è meditata: quando li posto? Come li posto? Basta non farsi arrivare addosso il perché li posto, altrimenti il canc arriva immediato.
I sogni suggeriscono sempre degli spunti utili per le storie, solo che, non so se ti capita, parlarne, scriverne non ne rispecchia mai l’atmosfera… I sogni restano sogni!
Nei getti precedenti a me il canc è arrivato immediato prima ancora di pensare al “perché li posto”… 😛 .
I sogni ispirano parecchio, concordo. Sicuramente non riesco mai a dare loro la resa che meritano quando ne parlo. Quando ne scrivo posso illudermi di riuscirci perché ho modo di dilungarmi in lungo e in largo in ogni singolo dettaglio… Che poi ci riesca, è tutto da vedere… 🙂
I binari sono il secondo step. Chi si sente già pronto, può già decidere di seguirli. Altri, invece, sono talmente staccati dalla propria voce che hanno bisogno di abituarsi, prima di tutto, a scrivere liberamente, perché anche una piccola traccia potrebbe imbrigliarli. Anche Natalie Goldberg, dalla quale ho tratto ispirazione per questo gioco, dice che le schifezze devono uscire, perché se ci viene da scriverle significa che le abbiamo accumulate nel corso degli anni, e occorre ripulirle. Verrà poi il momento in cui la purificazione sarà completa, e non ci serviranno più. 🙂
Spero che quanto detto ti sia utile. Se ci sono dubbi, chiedi pure.
Finché per schifezze si intende strafalcioni narrativi, concordo: bisogna tirarli fuori. Ma se per schifezze intendiamo scheletri nell’armadio che non riguardano assolutamente scrittura, lettura e narrativa in genere non penso che serva: lì non è la creatività che galoppa a briglia sciolta, ma le generiche paure del vivere, le ombre del passato e le ansie in genere. Ho le mie pagine buie, insomma. Che però non intaccano la mia dimensione “scrittoria”. Il secondo e il terzo getto, invece, ne sono rimasti intaccati…
Secondo me l’importanza delle “schifezze interiori” dipende dallo scopo della scrittura. L’espressione dei primi pensieri ha un valore catartico. Non punta alla vendita, né brama un elevato valore letterario, ma vuol essere voce delle dinamiche interiori dell’autore. Una sorta di psicoterapia gratuita. Quindi è importante per fare pulizia e chiarezza dentro sé, a prescindere dalla pubblicazione. Se posso permettermi un consiglio, non cestinare il secondo e il terzo getto, ma usali per comprenderti. 🙂
Sono d’accordo. Se parliamo di scrittura come sfogo terapeutico, allora è bene tirare fuori tutto quello che c’è dentro. Ma non arriverei mai a pubblicarlo perché serve solo a me, non a un generico lettore: certe introspezioni per quest’ultimo sarebbero assolutamente indecifrabili.
Lo scopo di questi esercizi di scrittura di getto invece lo trovo circoscritto “solo” (non è poco, per questo uso le virgolette) al valore creativo. Liberare la creatività prima che venga appesantita dalle fisime tecniche del voler “fare narrativa”.