Ma anche no. O sì?
Vorrei parlare di un piccolo “dietro le quinte” che ho vissuto di recente, dopo aver partecipato al contest di Barbara organizzato in occasione del primo compleanno del suo blog. Tra le regole di partecipazione, c’era il limite di battute: non più di 8000, spazi compresi.
Ho scritto un primo racconto fregandomene (lo confesso) di tale limite.
Non l’ho fatto per il puro gusto di infrangere una regola ma semplicemente perché… non avevo voglia di contare le battute mentre scrivevo. Mi son detto: vediamo a quanto arrivo. Se arrivo a 8500 allora mi sforzo di tagliare, altrimenti… boh, lo pubblico fuori concorso.
Ne è uscito L’erborista di Siena: 13370 battute, spazi compresi.
Dovevo stare dentro agli 8000. Non dico che ho scritto il doppio, ma poco ci è mancato.
Il racconto è stato apprezzato. Mi è stato chiesto di provare a tagliarlo per ammetterlo a tutti gli effetti al contest, rispettandone tutte le regole imposte. Ma sinceramente, se lo avessi tagliato (togliendo quindi la bellezza di 5300 battute, pari a circa il 40% dello scritto) non credo che sarei stato in grado di mantenerne inalterata la “resa”.
Come è andata a finire? Ho scritto un secondo racconto, L’essenza magica, sforzandomi già durante la scrittura di tenere un occhio sul numero di battute. Be’, mi è andata male 😀 . Non ho vinto. Del resto gli altri racconti erano tutti davvero molto belli e i giudici hanno avuto il loro bel daffare per eleggere il vincitore.
Però ho avuto una menzione speciale che, oltre a farmi molto piacere, mi ha dato molto da pensare.
La riporto qui.
Lo Special Award è stato richiesto espressamente dai giudici, per un racconto in particolare che all’inizio avevano dato per vincitore indiscusso. Escludendo Alessandro in conflitto d’interessi con l’ambientazione del racconto (lui è toscano, la storia si svolge a Siena!), se il testo non avesse superato di gran lunga il numero di battute imposte, avrebbe vinto il primo premio! Consegniamo quindi il bollino di Special Award a:
L’erborista di Siena di Darius Tred
La motivazione dei giudici è che questo racconto li ha coinvolti da subito, li ha intrigati sia per il modo di scrivere che per la suspense ottimamente dosata. E ti avevamo anche detto di riscriverlo accorciandolo, mannaggia Darius! Poi con il secondo che ha presentato, in regola su tutti i fronti del contest, non si è ricreata la stessa magia. Oramai avevano l’erborista nel cuore!
E’ proprio quello il punto: “Poi con il secondo … non si è ricreata la stessa magia.”
La magia, o qualsiasi altra emozione che può scaturire da un racconto, credo sia molto soggettiva in ogni lettore. In questo caso specifico, penso sia stata strettamente connessa con la lunghezza del racconto. In altre parole: se avessi tagliato il racconto di quel 40%, la magia sarebbe con ogni probabilità svanita.
Cosa è piaciuto in particolare ai giudici? Non lo so. Ma credo (spero) che l’ambientazione del racconto abbia avuto un suo ruolo: una particolare erboristeria-caffetteria-libreria immaginata in un edificio storico nel cuore di Siena. Per affrescarla nella mente del lettore mi sono avvalso di descrizioni molto curate e, per forza di cose, piuttosto lunghette. Il lettore doveva essere lì, in quella libreria: doveva guardarsi intorno esattamente come uno dei protagonisti, sopraggiunto all’appuntamento con l’erborista. Ovviamente servono tanti dettagli, ben dosati, se si vuole trasmettere a chi legge una certa atmosfera.
E la figura dell’erborista? Ci ho giocato molto anche con quella, facendola emergere soprattutto nel dialogo. E anche qui il dialogo è piuttosto lungo: occupa la maggior parte del racconto. Se avessi optato per un dialogo scarno, sarei riuscito nello stesso intento? Dubito. Quel dialogo, al di là della finzione narrativa che ho improvvisato, l’ho immaginato molto reale. Se pensiamo a tutte le volte che, nella quotidianità, abbiamo avuto una bella discussione con qualcuno, con ogni probabilità è stata bella perché lunga e articolata. Se fosse stata di domande brevi e risposte telegrafiche, difficilmente ci avrebbe coinvolto così tanto da ricordarla ancora a lungo.
Dunque la magia, o anche solo l’intensità e la “resa” sono strettamente connesse con la lunghezza?
Io penso che certe volte servono tante parole per affrescare nella mente di chi legge le giuste ambientazioni e accendere le atmosfere più adeguate.
Mi ritorna in mente una simpatica scaramuccia sul blog di Helgaldo, nata da questo pensiero:
“Avere un buon lessico ti fa risparmiare parole”.
A quel tempo non mi sono detto tanto d’accordo perché secondo me dipende dal contesto: a volte occorre risparmiare parole, altre volte occorre essere generosi. E il buon lessico ti serve in entrambi i casi. Nei commenti, Helgaldo ha poi aggiunto che “La scrittura è sempre (o dovrebbe essere) un risparmio di parole“. E’ una frase che mi ha dato molto da pensare. Certo: non bisogna essere logorroici, né ripetitivi, né sovrapporre frasi su frasi per girare intorno ai concetti diluendo troppo quel che c’è da dire (o scrivere). Occorre avere senso dell’equilibrio.
Ne L’erborista di Siena ho giocato molto con le sfumature (di frasi, di parole, di descrizioni), usando molte parole che forse avrei potuto “risparmiare”. Ma sarebbe davvero servito risparmiare parole?
E’ come se io chiedessi a un pittore di dipingere usando solo tre colori anziché tutta la tavolozza che solitamente usa.
Tre colori ti possono bastare? Si possono fare dei grandi capolavori con tre colori, non lo nego. Ma dipende chiaramente dal soggetto che vuoi dipingere: blu, azzurro e bianco (e tutte le relative sfumature che si ottengono mischiandoli) possono bastare per dipingere il mare. O il cielo. Ma se devi dipingere un bosco, be’, sarebbe un po’ difficile farseli bastare.
Barbara, il capitano di webnauta.it, nel post conclusivo del suo contest ha aggiunto:
Come scribacchino mi darà personalmente molto da pensare questa cosa, sia sulla lunghezza ottimale del racconto che sui tagli effettivamente necessari in fase di revisione.
Quando c’è da tagliare, io avrò sempre molto da pensare. Potrebbe essere un mio limite.
L’intensità e la “resa” NON sono strettamente connesse con la lunghezza. Cito te.. “se lo avessi tagliato (togliendo quindi la bellezza di 5300 battute, pari a circa il 40% dello scritto) non credo che sarei stato in grado di mantenerne inalterata la resa”.
In questo articolo, a mio avviso, ti sei fatto la domanda e dato una risposta, il tutto da solo. Semplicemente, “L’Erborista di Siena” era perfetto com’era, pur non essendo adatto al contest perchè non ne rispettava le regole. “L’essenza magica” invece, era una di quelle opere dove si legge chiaramente che l’autore si sente stretto, e che non sta scrivendo per piacere ma perchè “deve” farlo e nemmeno come vorrebbe (vedi regole e parole chiave date per il contest).
Affascinati dalla prima, probabilmente, ci saremmo aspettati di più perchè era indubbio che vista la prima opera presentata, sapevi fare moooolto di meglio.
Ti faccio ad ogni modo i miei complimenti, perchè hai davvero del talento, a differenza di tanti che ormai si leggono sul web e non solo. Sono stata felice di questa mia esperienza da Giudice per il contest di Webnauta e ti ringrazio quindi per la lieta parentesi di lettura.
Simona F.
Grazie mille per i complimenti. Quindi l’ho pensata giusta. L’erborista mi sembrava perfetto anche a me come lunghezza, però essendone stato l’autore è impossibile averne il giusto distacco.
Detto da chi legge ha molta più importanza.
Mi sto convincendo sempre più di rendere meglio “a briglia sciolta”.
Ispirazione permettendo… 😀
Non sono d’accordo (e quando mai: vero che lo hai pensato?) Certe volte non ce ne accorgiamo, ma un testo può essere tranquillamente ritoccato, dunque se il caso accorciato, se l’esigenza lo richiede e non subire alcuna alterazione di sostanza. È un bell’esercizio che, secondo me, va fatto perché aiuta lo scrittore a concentrarsi sugli elementi fondamentali, un dialogo si può asciugare, una descrizione può essere resa anche con altre parole e la magia del racconto rimanere invariata. Secondo me dovevi provarci, poi magari non lo presentavi, ma il tentativo andava fatto, anzi era l’occasione per verificare se realmente il racconto avrebbe perso spessore o ne avrebbe guadagnato uno nuovo.
Sono pienamente d’accordo a metà con quello che dici… 😀
Come dicevo, dipende da quanto devi tagliare.
Con il secondo racconto, sono arrivato a 8200 battute.
Lì è molto più facile tagliare perché si può fare un lavoro di arrangiamento usando frasi più corte e togliendo quelle effettivamente inutili. Infatti sono arrivato abbastanza in scioltezza a 7900.
Con l’erborista il 40% mi è sembrato davvero troppo. Gli interventi erano due: piallare via intere descrizioni, asciugandole. Oppure avrei dovuto rivedere l’intera struttura del racconto.
Avrei potuto ritoccarlo, sì. Ma da 13300 sarei arrivato a 12000, 11000. Massimo 10000. Oltre no, secondo me non ne valeva la pena.
Penso che sia una questione di limiti e di equilibrio. E naturalmente di incapacità mia, non lo nego.
Però forse è cambiato molto anche l’approccio mentale più o meno inconscio: nel primo caso ho scritto subito a briglia sciolta. Non dico di getto perché comunque il testo l’ho letto, riletto, sistemato. Piccole indagini di documentazione in rete per curare molto la veridicità e così via. Però ero concentrato sulla resa, sul voler scrivere qualcosa di bello che piacesse soprattutto a me.
Nel secondo racconto ho provato comunque a fare lo stesso lavoro ma il primo scopo era tenere conto del limite.
E a quanto pare, come diceva poco sopra Simona, questa cosa si è avvertita.
La magia è scomparsa…
Oppure, semplicemente, l’erborista è stato un racconto al di sopra della mia media.
Insomma, una botta de cu’ 😛 😛 😛
Four colors suffice.
Non capisco la citazione…
Vuoi parlare di mappe o di matematica?
😛
(Per certe mappe che si trovano sulla terza di copertina di alcuni romanzi, avrò qualcosa da dire in uno dei prossimi post…)
Secondo me dipende dalla finalità per cui si fanno i tagli.
Effettivamente stabilire a tavolino di tagliare un 40% di testo per star dentro a un’imposizione esterna come quella del concorso può essere una forzatura poco sensata. Tuttavia io sono una sostenitrice dei tagli abbondanti perché dopo una prima stesura spesso ci si accorge di elementi ridondanti che quando si è ancora immersi nel racconto non si notano.
Io però, giusto per gioco, il tentativo di tagliare il tuo racconto e ripresentarlo tagliato lo farei: i giudici stessi oltre che gli altri lettori potrebbero dirti che cosa ne pensano e potresti scoprire cose interessanti sulla forza del tuo racconto.
Diciamo che in questo particolare caso, il taglio (abbondante) non avrebbe avuto senso: concordo con te.
Concordo anche sul fatto che a fine stesura, bene o male si trovi sempre qualcosa da tagliare.
Io di solito lascio passare un paio di mesi tra la fine stesura e la prima rilettura (cosa che non ho fatto per il contest…). Dopo un distacco così lungo, individuo meglio gli eccessi.
Quanto all’esperimento (di taglio) che mi proponete tu e Marina, potrebbe essere un buon esercizio ma temo che il risultato non sia molto diverso da quanto già successo dopo aver messo insieme il secondo racconto: si perderà qualcosa tra “magia”, resa, intensità o quant’altro?
Non resta che provare… 😀
Potrebbe essere interessante anche fare un esperimento al contrario: cioè, data una certa tematica, scrivere PRIMA un racconto da 10.000 battute, e POI riscriverlo a 20.000 battute (oppure 5.000 e 1.0000).
Nei concorsi hai un limite di battute. E non ci si può far nulla. Secondo me era giusto così. Doveva essere di quel tot di battute. Anche volendolo restringere, sono così troppe parole da tagliare, non avrebbe lo stesso impatto. È come un abito che ti stava bene, perfetto, ma devi farlo uguale agli altri come lunghezza. Ma tu sei più alto o più basso e la misura perfetta per il tuo fisico era quella che tu, sarto, hai appuntato con gli spilli. ( Si vede che so cucire? ). Però il paragone col taglio sartoriale calza a pennello. ??
Ecco, il motivo per cui partecipo poco volentieri ai concorsi è il limite imposto che, a volte, è troppo stringente. Capisco il punto di vista di chi deve leggere e giudicare i testi: per rispettare tempi e spazi occorre mettere dei paletti. Sacrosanto.
Penso che certe persone siano brave nei testi brevi, altre si trovino più a proprio agio nei testi lunghi o senza limiti. Io forse tendo più verso la seconda categoria.
Ognuno ha le proprie misure e il tuo paragone “sartoriale” rende molto l’idea. 🙂
Ero convinta di aver già commentato, me lo devo essere persa per strada (letteralmente, ero in viaggio, no, non guidavo io 😉 )
Dicevo: l’esperimento del taglio lo dovresti fare, magari aiutato da un altro, che riesca a spronarti a superare il blocco del taglio (ammettiamo: c’è un punto in cui ci impuntiamo a non voler più tagliare, ed è lì che interviene un editor). Come ha fatto quella volta Salvatore Anfuso su un racconto di Silvia Algerino. Magari il risultato potrebbe anche stupirti! Oppure potremmo renderci tutti conto che la magia di questo racconto è nella consistenza delle descrizioni e ridurle diventa fatale. Ma se non ci proviamo…
PS: il bollino l’avrai anche ridotto, ma lo sfondo è rimasto e si vedono i “quadratoni” dei pixel sgranati!! Ahiahiahaiahi, se se ne accorge Simona 😉
Non credo di avere un blocco del taglio: devo solo mettermi lì a provarci come esercizio. In questo periodo ho solo problemi di pressing prenatalizio, cioè la classica serie di cose da fare prima di subito, compresa una cena della vigilia a casa mia con cognatame vario 🙂 .
Con calma proverò a mettermi lì. Credo che abbia senso che sia io a farlo, se no quando imparo?
😀
E poi, se ci provasse qualcun’altro, sarebbe inevitabile che ne venga influenzato anche lo stile. Poi vai a capire se quel che si perde si perde solo per i tagli, solo per lo stile, o per tutt’e due le cose…
P.S.: Il bollino l’ho rimpicciolito, ma lo sfondo è già sporcato in origine da pixel di altri colori.
Ma è più bello così. Fa l’effetto timbro! 😛