Non me ne vogliano i puristi. Ho appena finito di leggere Frankenstein e, se devo essere onesto, mi ha lasciato un po’ così.

Dovrei elencare una serie di premesse prima di entrare nel vivo delle mie riflessioni.
Tanto per cominciare dovrei dire subito (anche se è ovvio) che la mia opinione è soltanto mia: è personale, discutibile, opinabile, esecrabile. Tutto quello che si vuole, insomma.
Ma è libera: quindi se Qualcuno, al titolo Frankenstein, si abbandona a voli pindarici il cui denominatore comune è “i classici sono perfetti, non si discutono”, be’, può fermarsi qui a leggere e uscire a fare due passi. Che è meglio 😉 .

Duecento anni

Per chi non lo sapesse, Frankenstein è un romanzo ottocentesco: è stato pubblicato per la prima volta nel 1818 per diventare un classico intramontabile della letteratura mondiale. Ma, dico io, in quanto tale, può essere immune da critiche? Un lettore generico è tenuto a mettere da parte il proprio senso critico, a sorvolare sulle pecche (anche grossolane) e a inchinarsi conformato all’opinione pubblica ?
No. Direi di no 😛 . Condizionale d’obbligo, però…

Bisogna infatti prendere atto che, tra chi scrive e chi legge, duecento anni di distanza sono veramente tanti: è cambiato tutto. E se chi scrive è rimasto, in un certo senso, incastonato nell’epoca in cui ha scritto, chi legge sarà sempre figlio di un’epoca profondamente diversa da quella di chi ha scritto, tanto da avere sensibilità e percezione “culturale” inevitabilmente distanti. Quindi è opportuno dividere le critiche: su alcune cose si può sorvolare. Su altre no.

Su cosa sorvolare

Tanto per cominciare, ho trovato il romanzo piuttosto prolisso e ripetitivo. In altre parole: mi sono imbattuto in interi paragrafi del tutto inutili, spesi a descrivere (ripetutamente) la bellezza di panorami e natura, o a ripercorrere (ripetutamente) i pensieri e i sentimenti dei vari personaggi.

E i dialoghi? Arzigogolati, ampollosi, troppo articolati e densi. Anche su questo sono disposto a sorvolare, anche se stento a credere che duecento anni fa le persone parlassero in modo così forbito e ricercato. A mio parere, il dialogo dovrebbe essere quella parte del racconto che dovrebbe favorire la veridicità di quanto narrato.

La trama debole

Duecento anni di differenza, dunque, possono giustificare lo stile di un romanzo. Possono però giustificare anche la logica zoppicante della trama?
No. A mio modesto parere, no.
Di seguito riporto alcuni punti deboli che rendono la trama molto fragile. È inevitabile fare anticipazioni, quindi, se qualcuno avesse intenzione di (ri)leggere il romanzo, è bene che si fermi qui e che esca a fare due passi (insieme a tutti quelli che “il classico è perfetto, non si tocca” 🙂 ).

[Spoiling Alert: ON]

L’orrore, all’improvviso

Tanto per cominciare, mi son sempre chiesto come abbia fatto il dottor Frankenstein a forgiare la sua creatura senza accorgersi che la stava facendo così brutta e orrenda. Che fosse un mostro inguardabile, nel corso del romanzo, viene ripetuto quasi allo sfinimento.
Anzi: è un perno fondamentale dell’intreccio, un vero e proprio movente.
E io, lettore, mi son sempre chiesto: possibile che il dottore non si sia accorto che stava venendo ‘na schifezza? 😛 E dire che ci ha lavorato mesi, quindi non sembrerebbe che l’abbia creato di colpo, senza avere avuto il tempo di correggerne la bellezza. Inoltre, dico io, se metti insieme pezzi di cadaveri raccolti qua e là, lo vedi subito che non stai certo creando un’icona di bellezza. Ma su questo ci torno più avanti.

Ragazzo prodigio

E la creatura, ormai in vita, che fa? Vaga per mesi nascosta nei boschi (e questo ci sta), finché non decide di nascondersi in un capanno adiacente alla casa di una povera famiglia francese in esilio. E da lì, il “mostro”, in pochi mesi impara a leggere, sviluppa un proprio pensiero, una propria sensibilità, un proprio io, imparando anche alcune discipline piuttosto complesse e astratte, geografia compresa. Ok, io lettore devo accettare la finzione narrativa ma, sempre a mio modestissimo parere, qui la trama si fa davvero debole.

Le lettere magiche

E che dire delle lettere? Nessuno sapeva dove si recasse il dottor Victor Frankenstein ma le lettere, magicamente, arrivavano a destinazione. E pure in tempo… 🙂

Emblematico il viaggio in Scozia: a un certo punto, Victor arriva a Perth con un amico, dal quale poi si separa per proseguire da solo. Victor dice esplicitamente al suo amico di non seguirlo perché deve svolgere alcune faccende. Il suo amico accetta e i due si separano. Victor viaggia per la Scozia senza meta per qualche settimana, finché non decide di stabilirsi in una remota isola delle Orcadi, quasi disabitata. Dopo qualche tempo, tramite “un pescatore”, gli arriva una lettera dall’amico che gli dice, in sostanza, di tornare a Perth. Azz! Ma come è possibile? Ti trovi in gran segreto in un’anonima isola delle Orcadi (senza indirizzo, quasi disabitata) eppure ti arrivano le lettere. Per la cronaca, le Orcadi contano circa 50 isole disabitate, scoglio più, scoglio meno.
Tanto valeva ingaggiare un gufo di Harry Potter: e sarebbe stato più credibile 😀 …

La genesi

Infine, la genesi. Di cosa era fatta veramente la creatura animata da Victor Frankenstein?
Si è indotti a pensare che fosse stato creato mettendo insieme pezzi di cadaveri (si parla spesso di “giunture”). Nel romanzo l’autrice non lo dice esplicitamente: il lettore è indotto a pensarlo perché Victor, poco prima di animare la creatura, ha pensato bene di profanare cimiteri e tombe per “studiare come avvenisse la decomposizione della materia”, così da carpirne i segreti e scoprire dove scoccasse la “scintilla della vita”. Le rivisitazioni cinematografiche, poi, hanno fatto il resto, inculcando nell’immaginario collettivo il fatto che il mostro di Frankenstein fosse effettivamente composto di pezzi di cadaveri o, più semplicemente, che fosse un cadavere riportato in vita. Ma, di fatto, il romanzo non dice esplicitamente che così è stato. E la riprova di ciò sta tutta in questa frase:

Talvolta ho cercato di ottenere da Frankenstein i dettagli della composizione della sua creatura, ma su questo argomento era impenetrabile.

Questa premessa può sembrare una pignoleria. Ma il dubbio torna alla ribalta in Scozia, quando Victor si trova alle Orcadi per cercare di creare una compagna al suo mostro. Con cosa ha realizzato la nuova creatura? Là non c’erano cimiteri e tombe da profanare, non c’era la “materia prima”. Non c’era nulla. Solo desolazione. L’isola era quasi disabitata e non c’erano che pochi capanni abbandonati, usati talvolta dai pochi pescatori che vivevano in miseria. Per il resto solo rocce, sassi, sabbia e oceano. Eppure la compagna del mostro viene quasi terminata: doveva solo essere animata ma poi il dottor Frankenstein ci ripensa e, all’ultimo momento, la smembra, per poi buttarne i pezzi nell’oceano.

Quindi qualcosa non torna: il mostro di Frankestein viene creato con pezzi di cadaveri mentre la sua compagna viene creata dal nulla?
Si potrebbe essere tentati di sorvolare su questo dettaglio: dopotutto il lettore potrebbe risolvere il proprio dubbio pensando che il dottor Frankestein, una volta scoperto il segreto della vita, possa crearla tanto dalla materia inanimata (sassi, sabbia, sterpaglie delle Orcadi), quanto dalla materia “ex-animata” (cadaveri). Ma questo non sarebbe in linea con il ricatto del mostro, che ha chiesto “una compagna a propria immagine e somiglianza, brutta e orrenda come lui” così da fuggire romanticamente insieme nelle terre desolate dell’America del Sud.

La fine improbabile

Lascerò il tuo vascello sulla zattera di ghiaccio che mi ha portato fin qui, e mi dirigerò verso l’estremità più settentrionale della terra (Polo Nord, ndr); lì metterò insieme la mia pira funebre e consumerò fino alla cenere questo mio misero corpo.

La scrittrice, ormai al termine del suo racconto, stabilisce che il suo personaggio decide di farla finita. E ci sta. Ora: dato che, come ambientazione, siamo oltre al circolo polare artico e il vascello citato è rimasto incastrato nel mare ghiacciato, dove la caccia ha fine, se una persona decidesse di suicidarsi, quale modo più logico (e spontaneo) potrebbe escogitare per perseguire il proprio scopo?
Buttati nel mare gelido, appena il ghiaccio si rompe, e lasciati andare: in pochi minuti vai a fondo e muori assiderato.
Chi te lo fa fare andare fino al Polo Nord?
E ammesso che arrivi fino a là, dove credi di trovare la legna per mettere insieme la tua pira funebre?
E il fuoco, poi, come pensi di accenderlo?
Ok, finiamola qui: sto scadendo nel tragicomico.

[Spoiling Alert: OFF]

L’ironia del titolo

Il titolo completo dell’opera è Frankenstein, o il Prometeo moderno.

Viene quasi automatico il parallelismo tra il mito di Prometeo e le vicende del dottor Victor Frankenstein. Tuttavia non ho potuto fare a meno di chiedermi se l’autrice avesse voluto fare dell’ironia: infatti Prometeo, secondo la mitologia greca, aveva un fratello chiamato Epimeteo. L’etimologia dei nomi indica che Prometeo significa “colui che pensa prima”, mentre Epimeteo significa “colui che pensa dopo”.
Il dottor Frankestein, di cui l’autrice spende paragrafi e paragrafi per descrivere a più riprese il suo pentimento, mi è sembrato tutto tranne “colui che pensa prima”.

Duecento anni dopo

Che sia un grande classico, è fuori discussione. Mi chiedo solo se, duecento anni dopo, un romanzo del genere avrebbe avuto lo stesso successo planetario e immortale. In altre parole: se Mary Shelley avesse pubblicato Frankenstein nel 2018 anziché nel 1818, avrebbe raggiunto ugualmente il successo intramontabile conosciuto da tutti?
Personalmente ho la vaga impressione che una trama così fragile, al giorno d’oggi, avrebbe pregiudicato inesorabilmente il successo del romanzo.
In duecento anni è cambiato sia il modo di fare editoria (si pensi alla cura dei testi), sia la platea di lettori: e in questa platea, diventata esponenzialmente più ampia e anche molto più esigente rispetto a duecento anni fa, mi sono seduto anch’io 😛 .

Che fine ha fatto il mostro di Frankenstein?

Tuttavia, Frankenstein (il romanzo, dico) è diventato quel che è: ormai fa parte del nostro immaginario.

Ma che fine ha fatto il mostro del dottor Victor Frankenstein? Io stimo che abbia avuto difficoltà a mettere insieme la pira per darsi fuoco e quindi… potrebbe essere in giro ancora oggi. Per chi lo desidera segnalo questo curioso concorso, segnalato in realtà per prima da Webnauta.it .

 

( Photo Credit : Etienne Marais / Pixabay )

5 commenti su “La trama debole di Mary

  1. Non ce l’ho fatta… se mi mettere l’avviso di spoiler, io mi ci tuffo e lo leggo con ancora maggior goduria! 😀
    Ho iniziato Frankenstein in questi giorni, poche pagine per ora, l’incontro con Victor che decide di narrare la sua storia al Capitano (il Capitano mi sta anche simpatico, chissà perché…)
    Lo stile è quello dell’epoca, che io adoro. Anche quando sono ripetitivi, sono incredibilmente poetici. In confronto mi sembra che oggi siamo troppo “sbrigativi”. Ma come dici tu, ci siamo adeguati ai tempi, quelli dei lettori in fondo.
    Mi è invece piaciuta in maniera incredibile la prefazione dell’autrice (ho la versione MiniMammut di Newton Compton, credo sia una prefazione aggiunta negli anni, parla di una revisione nel testo), dove racconta com’è nata la storia, in un momento di noia in Svizzera in compagnia del marito Shelley e di Lord Byron (con cotanta compagnia diventa difficile scrivere male!). Nonostante 200 anni di differenza, non lo so, ci ho sentito una certa vicinanza… Ma ci tornerò su, alla fine della lettura.
    PS. A parte non aver trovato la legna al Polo Nord per darsi fuoco, per essere ancora vivo oggi Frankenstein dovrebbe essere immortale… come l’ha raggiunta questa condizione?! 😉

    1. L’immortalità potrebbe ben prestarsi a un finale aperto. Se penso al concorso, il problema è farcela stare in tre cartelle…

Se vuoi lasciare un tuo parere...

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.