Questo è un post di servizio. L’ho concepito per me stesso, per pura comodità di riepilogo. Per chi non lo sapesse, ho l’abitudine di frequentare alcuni blog dove si propongono, tra le altre cose, esercizi di scrittura (o riscrittura) di vario tipo.

Uno di questi è il blog Scrivere per caso di Michele Scarparo. Purtroppo (o per fortuna, dirà forse Michele 😀 ), per mancanza di tempo o d’ispirazione, non sempre partecipo a quanto viene proposto.

A volte capita che mi ritornino in mente le creazioni che ho fatto e, con esse, la voglia di rileggerle. Ecco allora che ho deciso di raccogliere qui tutti gli svolgimenti fatti per l’esclusiva Biblioteca Scarparo. Non che me ne voglia vantare, anzi: ai singoli link che riporto di seguito sarà facile trovare svolgimenti migliori dei miei.

Ma come funziona l’esercizio? È semplice: viene proposto il titolo di un romanzo immaginario (che è la variazione di un titolo reale). Lo svolgimento consiste nel realizzare a scelta la quarta di copertina, la trama, l’incipit o un brano con dialogo.

Raccolgo (e raccoglierò) qui i miei svolgimenti.

Per la cronaca, è doveroso citare anche il Thriller parattatico al quale ho partecipato alcune volte in passato. Gli svolgimenti però non si prestano per essere facilmente compresi al di fuori del contesto in cui è stato proposto di volta in volta l’esercizio, in quanto quest’ultimo veniva introdotto con una discussione e spesso corredato di esempi preliminari, mentre gli svolgimenti dei partecipanti venivano votati, confrontati e discussi. Quindi mi segno solo i link di riepilogo 😉 : sempre il blog Scrivere per caso e il blog Il taccuino dello scrittore di Marina Guarneri.


La casa delle scie

Biblioteca Scarparo #58  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Scena con dialogo …”]
“Guarda, guarda! La vedi?”
Toby si guardò intorno stranito.
“Cosa?”“La scia! Non la vedi? Guarda là!”
Seguì il dito puntato dall’amico e capì che doveva guardare dall’altra parte della strada. Vedeva solo una coppia, lui un po’ imbarazzato, lei visibilmente alterata che gesticolava risoluta.
“La ragazza! Non la vedi la scia rossa che si lascia dietro la testa mentre cammina?”
Ma che diavolo stava dicendo, Mick? Non vedeva nessuna scia rossa. Stava per chiedere spiegazioni, quando la donna alle loro spalle, affabile, si intromise.
“No, non può vederla. Per poter vedere le scie dovrebbe bere questo infuso…”
Toby e Mick si voltarono e rimasero per un attimo allibiti. Il loro sguardo rimbalzava tra la tazza e lo sguardo divertito della donna che stava dietro al bancone. Tutt’intorno, la gente seduta ai tavolini, non sembrava badare a quel dialogo strampalato. Di colpo capì il motivo per cui quello strano cafè, così eccentrico nello stile e nell’arredamento, avesse un nome così insolito. La casa delle scie.
Si guardarono attorno. Anche gli altri avventori vedevano le scie?
“No, non le vedono tutti le scie” riprese la donna.
Cosa diavolo stava dicendo? Toby era interdetto, non sapeva cosa dire. Guardò di nuovo Mick e si chiese se i due non fossero d’accordo per prenderlo in giro. Ma Mick, che non era mai stato bravo a mentire, né a recitare, pareva esterrefatto quanto lui. In quell’attimo, mentre i pensieri si accavallavano, la donna accentuò il suo sorriso, sempre più divertita.
“L’infuso è un normalissimo the orientale, aromatizzato con zenzero, cannella e… artemisia.”
“Artemisia?”
“Ti fa vedere le emozioni. Letteralmente. Il rosso per la rabbia, il rosa per l’amore, l’oro per la speranza… Vuoi provarla?”
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La colonna del cuoco

Biblioteca Scarparo #57  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Scena con dialogo …”]
“Stanco?”
“Non è stata una giornata rilassante. Per niente. Non mi aspettavo che il periodo di prova fosse così duro…” disse Giovanni. Seduto per terra, con le spalle appoggiate al bordo del letto, ripensò alla giornata appena terminata. Quante cose aveva fatto in cucina, alla fine? Decine. Una ricetta dopo l’altra, a un ritmo serrato.
“Domani è l’ultimo giorno…” aggiunse Andrea.
“Già. Non ci crederai, ma sono davvero contento. Pensavo fosse più semplice diventare cuochi…”
“Domani è anche il giorno dell’ultima prova… la prova di fuoco. Però ti farà capire se vuoi davvero passare il resto della tua vita davanti ai fornelli.”
L’ultima prova. Tutti che parlavano di questa benedetta ultima prova.
“Che diavolo è quest’ultima prova? In cosa consiste? Non sono più così sicuro di voler fare il cuoco…”

Andrea rimase in silenzio chiedendosi se fosse il caso di svelare qualche particolare. Disteso sul letto anche lui in cuor suo non era più molto sicuro di voler fare il cuoco. Non in quel modo sfiancante. Era il suo terzo periodo di prova. Tre volte che si cimentava con quella dannata accademia. Non era mai arrivato così in fondo.
“È la prova della colonna” disse.
“Colonna? Che significa prova della colonna?” chiese Giovanni.
Andrea sorrise. Si rivedeva in quelle stesse domande, tempo addietro.
“Il gran maestro è fissato con le parole. L’avrai capito…”
“E quindi?”
“Lui sostiene che un ottimo cuoco deve capire e farsi capire. Deve conoscere i nomi di tutti gli ingredienti, ovviamente. E tutti i nomi degli attrezzi del mestiere. Ma anche tutti i verbi. Sfilare è diverso da sfilettare, sbucciare è diverso da decorticare…” Andrea ripeteva quasi a memoria, con malcelato sarcasmo.
“Non capisco.”
“Lui sostiene che gli ottimi cuochi devono essere intercambiabili. Nella sua visione, è fondamentale saper guidare una squadra di cuochi ma, allo stesso tempo, saper essere guidati da un cuoco quando ti dice cosa fare. Immagina le grandi cucine degli alberghi a cinque stelle. Ci sono intere squadre di cuochi. E lì, il tempo è tutto. Tempi di preparazione, tempi di cottura, tempi di servizio della pietanza. Farsi capire e capire è fondamentale. Non ci sono i margini di tempo per dire fai così, no così, no, taglia la bistecca di lato, no, non in quel modo… E poi se manca il capocuoco? Un albergo a cinque stelle non può permettersi di avere un capocuoco a casa in malattia. Ci deve essere subito un sostituto, il vice. E il vice del vice. Ma non basta. Il gran maestro sostiene che tutti devono saper fare tutto. Non esiste il cuoco delle salse, il cuoco della carne, il cuoco degli antipasti.”
Giovanni ascoltava con attenzione.
“E così il gran maestro si è inventato la colonna del cuoco. Domani in cucina troveremo un piccolo piedistallo di legno. Un gran bel ceppo, dicono. A turno saliremo con le mani legate dietro la schiena e dovremo guidare gli altri nella preparazione delle ricette. Naturalmente ricette estratte a caso.”
Giovanni cominciava a capire.
“Ovviamente nel modo più veloce possibile” riprese Andrea. “A turno ognuno di noi salirà sul piedistallo e guiderà gli altri. Avremo solo le parole a nostra disposizione. E dovremo saperle usare. Tutti gli altri cuochi, giù ai tavoli a eseguire. Mentre sei sulla colonna, ti daranno le spalle e potranno solo stare in ascolto di ciò che impartirai loro. E devono eseguire come automi: se tu dici sfilare, loro devono sfilare l’ingrediente che stanno lavorando. Non importa se l’ordine è sbagliato, o se è impossibile farci una sfilatura. Se invece dici sfilettare, loro devono sfilettare. E così via.”
Giovanni rimase in silenzio. La colonna del cuoco. Raccontata così, se la immaginava come una prova molto dura. Ma doveva riconoscere che, benché insolita, era alquanto ingegnosa.
“Ma le mani?” chiese. “Perché le mani legate dietro la schiena?”
Andrea sorrise di nuovo.
“Mi hanno raccontato che all’inizio i cuochi non ti davano le spalle. Quindi sulla colonna del cuoco venivano legate le mani per evitare che si gesticolasse. Con i gesti era tutto più facile. Magari sbagliavi la parola ma con le mani il messaggio arrivava lo stesso…”
La colonna del cuoco. Davvero Giovanni voleva diventare cuoco? Passò un’ora prima che quella domanda gli permettesse di prendere sonno.
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Le tre del mastino

Biblioteca Scarparo #55  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Scena con dialogo …”]
Il monte Mastino si ergeva dinanzi a lui. Dominava un paesaggio brullo e il cielo plumbeo nascondeva le sue tre cime con nuvole pigre e nebbiose, facendone intravedere il profilo per brevi tratti. Distolse lo sguardo per concentrarsi sullo zaino: cinghie, funi, borracce. C’era tutto.
“Dunque hai deciso?”
“Sì, ci provo. Vuoi venire?”
No, non ci voleva andare. Non lo disse apertamente, il suo sguardo valeva più di mille risposte.
“E quale sentiero farai?” chiese ignorando l’invito.
Se l’era fatta più volte quella domanda. Quale dei tre sentieri avrebbe fatto? Non l’aveva ancora deciso.
Il monte Mastino esercitava un enorme fascino sulla gente del posto. Non era altissimo, non impegnativo e le sue cime, tutto sommato, si potevano raggiungere in poco più di due ore di camminata. Ma quello che contava non era la meta, bensì il tragitto. Il sentiero infatti, dopo un breve tratto iniziale, portava a un bivio dal quale tre diramazioni prendevano direzioni differenti. Una per ciascuna cima? No. Ognuno seguiva un tragitto diverso, per poi dividersi ancora e incrociarsi in vari punti con altri sentieri secondari. Al bivio iniziale una vecchia tavola di legno recava la raffinata incisione di un mastino a tre teste, il famoso “cartello del mastino”. Un omaggio ispirato al nome della montagna, si sarebbe detto. Ma i vecchi del luogo raccontavano una storia diversa.
E lui la ricordava ancora. Non era il cartello che aveva preso il nome dalla montagna, ma la montagna che aveva preso il nome dal cartello. I vecchi sostenevano che quella tavola di legno fosse stata incisa oltre due secoli prima, in un tempo in cui il monte aveva un altro nome, poi dimenticato. Con quella tavola e il suo mastino inciso, la montagna diventò presto il monte Mastino. E si diceva che ogni strada “portasse all’inferno”. Tre strade, tre sentieri, tre cime: qualunque sentiero si fosse preso, si raccontava che la cima raggiunta mostrasse l’inferno. L’inferno del passato, l’inferno del presente o l’inferno del futuro, perché ogni camminata era più un viaggio dentro di sé, una meditazione che si faceva camminando, una ricerca di risposte sulle difficoltà della vita passata, sulle angosce del presente o sulle ansie del futuro. Quale dei sentieri avrebbe fatto?
“Non ho ancora deciso. Credo che prima o poi li farò tutti.”
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L’uomo senza labirinto

Biblioteca Scarparo #54  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Scena con dialogo …”]
“Osserva questo tatuaggio. Ti ricorda qualcosa?”
Lo studente prese la fotografia che aveva estratto il professore.
“Un labirinto.”
“Osservalo meglio.”
Lo studente avvicinò lo sguardo. Lo scatto riportava il dettaglio della mano destra del primo cadavere.
Ne avevano fatto l’autopsia la settimana prima. Girò attorno al tavolo dell’obitorio per avvicinarsi alla mano destra del cadavere che avevano invece di fronte ora. Poi capì.
“Il caso si complica” riprese il professore. “Abbiamo già due cadaveri caratterizzati dal tatuaggio di un labirinto sulla mano destra.”
“Ma non sono uguali” disse lo studente. “Sono differenti.”
“Esatto. Ma sono anche decentrati sul dorso della mano. Hai notato?”
Lo studente annuì, ma non era convinto. A quel punto il professore estrasse un pennarello dal taschino del camice e tracciò una bozza sul dorso della propria mano. La tracciò avendo cura di farla decentrata, esattamente sotto anulare e mignolo come il tatuaggio rinvenuto sulle mani dei due cadaveri. Poi si avvicinò allo studente e fece lo stesso sulla sua mano destra. Infine, con fare quasi teatrale, accostò le due mani facendo combaciare le due bozze.
“Ecco perché sono diverse.”
Lo studente osservò con stupore quel piccolo stratagemma: i due labirinti erano sì diversi ma, fatti combaciare, ne formavano uno più grande.
“Quindi” proseguì il professore “questi due uomini avevano un segreto. Un segreto legato a questo labirinto. Che forse è una mappa condivisa.”
“Geniale” esclamò lo studente. “Ma che legame possono avere con il nostro terzo uomo?”
“Il nostro terzo uomo, se ben ricordi, ha una cicatrice sulla mano destra. Quanto scommettiamo che si tratta di un tatuaggio rimosso?”
“Per quale motivo l’avrebbe rimosso?”
“Questo è un mistero che deve risolvere la polizia. Per ora il terzo uomo faremmo meglio a chiamarlo uomo senza labirinto. E se ha deciso di farsi rimuovere il tatuaggio deve avere avuto un motivo più che valido.”
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Prendi sole

Biblioteca Scarparo #41  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Quarta di copertina …”]
“Tutti all’isola dei Conigli!”. L’estate è imminente, il grido di battaglia è lanciato. Raggiobliquo, Prendifuga, Scattalvolo e Soleardente sono pronti a combattere. Ma la loro non è una guerra, bensì un gioco. Un gioco tanto bizzarro quanto appassionante il cui scopo è semplice e goliardico: estratto a caso il nome di un’isola italiana, bisogna fare a gara per arrivarci e scattare un selfie con il tramonto. Il primo che riuscirà a pubblicare la foto sul gruppo di Instagram – il social network che frequentano con i loro nickname – avrà a disposizione per il resto dell’anno l’ambìto trofeo: l’amuleto magico a forma di sole di SolMagister. Quali curiosi poteri nasconde l’amuleto? E chi si nasconde dietro il nickname di SolMagister, l’eclettico ideatore del gioco?

Stefano Benni non perde occasione per sfoggiare, personaggio dopo personaggio, la bancarella del suo universo onirico. E anche questa volta, pur intrecciando trame e sottotrame in un gioco immaginario che si svolge tutto alla luce del sole, non rinuncia all’oscurità luminosa della sua vivida notte narrativa inaugurata con Prendiluna. Doppi sensi e duplici livelli di lettura non mancheranno di sorprendere il lettore, a partire dal titolo che, in una parola soltanto, nasconde già due chiavi di lettura: “prendi sole” e “prend’isole”, sole e isole, mete – ma anche metafore – sulle quali l’autore costruisce curiosi giochi di lettura e riflessione.
Ma se credete che il vincitore scatterà la sua foto nei pressi di Lampedusa, rimarrete piacevolmente delusi.
“Come sarebbe a dire che abbiamo sbagliato tutto?” si chiederà Raggiobliquo. Se volete scoprirlo non vi resta che leggere. E mettervi in gioco.
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La più amata dagli italiani

Biblioteca Scarparo #38  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Quarta di copertina …”]
Pizza o focaccia, pasta o riso, carne o pesce? Qual è il piatto preferito da tutti? Quale la pietanza? E ancora: quale, per ognuna di esse, la ricetta più amata dagli italiani?
Quello che avete in mano non è l’ennesimo compendio di ricette della tradizione ma la tradizione di una famiglia dove l’amore per la cucina, per i buoni ingredienti e per il mangiar sano ha fatto da sfondo all’appuntamento estivo di Giovanna, donna, moglie, madre e nonna in quel di Arezzo nonché energica proprietaria di un fiorente e rinomato agriturismo toscano. Da sempre innamorata della vita, oltre che della buona tavola, nonna Giovanna ha fatto del suo compleanno – il 31 luglio – una buona scusa per la reunion annuale della famiglia. Ogni anno, infatti, l’agriturismo resta chiuso durante il weekend di fine luglio per essere dedicato solo ed esclusivamente ai familiari, all’insegna del ritrovarsi e del rivedersi in un’atmosfera di natura e pace che solo colline, cipressi e tramonti toscani sanno trasmettere. Angela e Serena, le due nipoti che più degli altri hanno ereditato l’amore per la cucina da parte della nonna – tanto da aprire due ristoranti, l’una a Roma, l’altra a Firenze – ogni anno animano il ritrovo familiare con un’amabile gara nell’enorme cucina della nonna, la stessa che ha fatto da sfondo all’infanzia e agli innumerevoli momenti estivi di tutti quanti.
A colpi di ricette, divertente e brioso, è nato così il rituale di una grande famiglia che, a dispetto del roboante appellativo inventato dai familiari con enfasi nel corso degli anni – la ricetta “più amata dagli italiani” – resta in realtà un rituale potente e intimo che decreta ogni estate la ricetta più apprezzata per il compleanno della nonna, ricordando a tutti quanti che l’importante nella vita non è vincere, stravincere, arrivare o farsi notare ma esserci. Sempre. Nella gioia e nel dolore.
“La più amata dagli italiani” resta un inno alla famiglia, alla vita, alla gioia di vivere, di esserci, di accogliere. Allo stesso tempo resto un velato cantico d’amore alle mamme, nonne, mogli e madri. E un cantico alla donna, angelo insostituibile della vita di ognuno.
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Il nome della cosa

Biblioteca Scarparo #34  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Quarta di copertina …”]
Si dice che dietro ogni grande uomo ci sia sempre una grande donna. Pochi sanno che questo aforisma, ammesso che si possa definire tale, è scaturito da una simpatica scaramuccia verbale tra sociologi e sessuologi, iniziata con una frase ben più diretta e forse più goliardica: le donne hanno un grande potere tra le gambe. E l’hanno sempre avuto nel corso dei secoli. Questo saggio si propone di analizzare a trecentosessanta gradi i risvolti sociali di questo potere non solo sui grandi uomini che hanno segnato la Storia ma anche sull’immaginario collettivo dei popoli europei. Potere, fascino, attrazioni, morbosità, aneddoti. Ma anche proverbi, canzoni, storielle folcloristiche. Senza dimenticare approfondimenti simbolici ed esoterici. Il tutto a partire dall’etimologia dei vari termini che si sono susseguiti nel corso del tempo per indicare la … Come si chiama la “cosa”? Ogni capitolo partirà da un nome.
Una lettura piacevole e colta, a tratti sorprendente e comica, vi farà scoprire come questo potere serpeggi ancora indisturbato nella vita di tutti i giorni.
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Alla ricerca del campo perduto

Biblioteca Scarparo #29  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Quarta di copertina e Brano…”]
Quarta

Marcel Proust è un noto ingegnere francese specializzato in tecniche di telecomunicazioni. Dopo i brillanti risultati ottenuti con le sue ultime invenzioni, decide di dedicarsi a nuovi studi. Una sera d’estate, durante alcuni suoi esperimenti in aperta campagna, si accorge che il suo smartphone intercetta un campo di trasmissione che non è riconducibile a nessun operatore telefonico a lui noto. Nei pochi minuti in cui rimane connesso, sul suo dispositivo vengono memorizzati alcuni documenti che, in un secondo momento, interpreta come la descrizione di invenzioni mirabolanti. In preda all’entusiasmo, cerca in tutti i modi di ritrovare i punti precisi in cui intercettare nuovamente, cellulare alla mano, il campo di trasmissione. Rimarrà deluso: l’estate passerà lentamente per Marcel ma in compenso gli permetterà di riscoprire la campagna con i suoi luoghi incantevoli. I suoi appunti, divisi tra annotazioni tecniche e osservazioni naturalistiche, gli faranno riscoprire una nuova dimensione di vita all’aria aperta. Alla ricerca del campo perduto è l’opera con cui, forte della sua omonimia con il grande scrittore, Marcel vuole spronare i suoi lettori a riscoprire la magia della natura.

Brano

Mi fermavo a guardare oltre la staccionata, dove la ragazza si fermava a raccogliere la lavanda, intenta a ingrossare sempre più con grazia il suo mazzo ben ordinato. Il profumo intenso dell’incantevole fiore violaceo inebriava l’aria frizzante tutt’intorno. Gli steli ben ordinati, che la ragazza allineava con cura come vivesse fuori dal tempo, con il loro turgore ancora intatto, parevano delle antenne. Mi chiesi se potessero condurre in qualche modo il mio campo misterioso, se arbusti e piante in genere fossero in qualche modo in grado di percepire quel segnale ramingo. Mi sovvenne un vecchio studio fatto tempo addietro circa la possibilità di usare le piante d’alto fusto per diffondere il segnale wi-fi a largo raggio in aperta campagna. Allora fantasticavo sull’opportunità di asservire il magnifico processo di madre natura – la fotosintesi clorofilliana – per convertire l’energia solare in energia elettrica direttamente dalle foglie, così da alimentare il ripetitore su ciascun albero senza necessità di invadere la verde campagna con lunghi cavi elettrici o, peggio ancora, di sfregiarla con scavi e tralicci in ogni dove.
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Se questo è un uovo

Biblioteca Scarparo #9  –  [expand title=”Il mio svolgimento: Quarta di copertina …”]
“Se questo è un uovo, intendo dire, signori miei, se lo è davvero, perbacco se lo è! non potrà mai stare ritto in piedi!”. Questo è quanto esclamò, almeno secondo le dicerie popolari del tempo, un noto gentiluomo spagnolo che partecipò alla cena in onore di Cristoforo Colombo, di ritorno dalle Americhe appena scoperte. Secondo un famoso aneddoto popolare, ritenuto dai più falso, il navigatore genovese si servì di un uovo per mettere a tacere le invidie dei commensali che non perdevano occasione per accaparrarsi le attenzioni di sovrani e prelati sminuendo la sua impresa.
Ma la Storia, si sa, a volte sa essere sublime maestra di scherzi, capace come si rivela di intrecciare verità e falsità per nascondere l’evidenza. L’autore, con grande e sottile tenacia intellettuale, traccia un’interessante – e irriverente – intervista all’intelletto umano scorrendo con grande destrezza le principali scoperte, a volte accettate, a volte taciute, che si sono susseguite dall’Uovo di Colombo fino all’Uovo di Tesla. Un viaggio, virtuale ma non troppo, dove emerge anche un simbolismo del tutto inatteso dell’uovo, metafora perfetta di finta perfezione: Colombo, Brunelleschi e Tesla sono solo alcune delle grandi menti umane che l’hanno saputa cogliere.
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2 commenti su “Esercizi di scrittura

    1. Vado forte quando c’è da snocciolare idee più o meno a briglia sciolta. Poi quando c’è da andare in profondità, come nel Thriller Paratattico, comincio paurosamente a scarseggiare… 😉 Però… com’è che si dice? L’importante è partecipare. 😀

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