E riecco Emme. Che a volte ritorna. Ma che non se ne è mai andato.
L’ultima volta si è “rivisto” a dicembre, poco più di quattro mesi fa.
Nel frattempo è accaduto di tutto. Ho cambiato lavoro. Ho cambiato sito. Ho scritto alcuni racconti. Persino un romanzo. Insomma, sono successe davvero un sacco di cose, compresa una pandemia che, dopo essere entrata delicatamente a gamba tesa nella vita di tutti, lascerà lunghi strascichi nel nostro immaginario collettivo, fino a restare indelebile nei libri di storia su cui studieranno i nostri nipoti. Ma con Emme, tutto sommato, non è cambiato nulla: eravamo già “distanti ma uniti” da diverso tempo, per molti altri motivi.

Nell’ultima webchat, cominciata ovviamente come se nulla fosse, senza preamboli né saluti, ho scoperto che il mio caro amico strizzacervelli, in qualche modo, ha avuto il suo bel daffare in questi ultimi mesi. Perché sì, “anche se molte cronache non lo riportano, sono molte le persone che hanno avuto e avranno bisogno di assistenza psicologica per riprendersi”. Specialmente coloro che, grazie al cielo, sono usciti dalla terapia intensiva. Il buon Emme, in veste di volontario, ha così alternato giorni di supporto in reparto, presso alcuni ospedali della zona, a visite a domicilio.

“Ho sentito un sacco di storie su cui avresti potuto ricamarci mica male”, mi ha scritto.
Il condizionale (“avresti”) non è usato a caso. Recepisco e taccio: sono le solite storie di cui non mi può dire nulla?

Il vispo novantottenne

Sì, le solite storie. Ma una me l’ha tenuta da parte. Quella secondo lui più “interessante”.

“Ho conosciuto un vispo novantottenne…” esordisce. E mi snocciola la storia di un distinto signore, praticamente centenario, che a dispetto di tutto e di tutti, e contro ogni parere medico, è andato e tornato dalla terapia intensiva, percorrendo la via crucis che ha purtroppo accomunato il destino di molti. Un destino che si è appunto incrociato con quello di Emme che, bardato di tutto punto, si è inaspettatamente trovato ad assisterlo poco prima che venisse dimesso.

“Come mai proprio tu?”
“Non aveva parenti. Niente parenti, niente amici.”
Eppure, mi racconta, nonostante il periodo fosco e nonostante la carenza di affetti, questo quasi centenario è tornato insolitamente vispo dalla sua disavventura. Vispo e “illuminato”. E con tanta voglia di parlare. Sì, perché, per dirla con le parole dell’anzianotto, mentre era in terapia intensiva più di là che di qua, aveva “visto la luce”. Anzi no: le parole esatte (perché me le sono segnate, poi si capirà perché), Emme ha riferito essere state queste: “Nel mio torpore, ho visto finalmente la luce”.

Su quale tipo di luce possa aver visto una persona in terapia intensiva, tutto sommato, non ci sono molti dubbi. Almeno non per Emme che, di esperienze NDE, ne ha sentite raccontare davvero molte. Quello che ha stuzzicato la sua attenzione (e poi la mia) è stato più che altro il racconto che ne è seguito.

“E cosa ti ha raccontato?” chiedo.
“La sua vita. Cos’altro?”
“Be’, certo, che idiota che sono…”
“Cosa vuoi che ti racconti un centenario solo in ospedale? Mi ha raccontato della sua giovinezza, della guerra…”
“E’ stato in guerra?”
“Sì, in Grecia. Nel luglio 1940. Ma non ci è andato per combattere. Ci è andato come giovanissimo cappellano.”

Webchat

“Un prete?” chiedo stupito. Di solito i preti che si ritirano dalle loro attività vengono ospitati in apposite case di riposo. E non arrivano a quella veneranda età in totale solitudine.
“Un ex-prete”.

Ex-prete. Se questa definizione chiarisce alcuni dubbi, allo stesso tempo me ne fa nascere altri.
“Quando mi ha raccontato la sua storia, mi sei subito venuto in mente.”
“Io?”
“Sì, tu…” sogghigna con ripetute faccine da chat. Chissà quale curiosità porta Emme ad associarmi a un ex-prete di novantotto anni, mi chiedo. “Tu con le tue fisse. La Bibbia, la verità, le traduzioni…”

Avrei da protestare, perché non sono così talebano come mi dipinge Emme. Ma so che in fondo (ma proprio in fondo) mi vuole bene e dice così solo per prendermi in giro. Almeno questo è quello che mi sembra dalle faccine stupide con cui correda le sue frasi.
Segue poi una lunga serie di messaggi in cui Emme mi descrive la vita di quel signore. Mi stupisce vederlo (anche se in realtà siamo in chat) così “ciarliero” quando parla di persone con cui ha avuto a che fare. Forse il fatto di non aver svolto delle vere e proprie sedute, lo fa sentire un po’ più libero di parlare. Ma la mia attenzione viene catturata dall’ultimo passaggio.

“Alla fine mi ha detto, senti un po’… che ha perso la vocazione perché ha letto la Bibbia.” prosegue Emme. “Un prete che si spreta perché ha letto la Bibbia? E allora gli chiedo come mai, e lui mi risponde che l’ha letta veramente, e io gli chiedo cosa intende per veramente. E lui mi dice che l’ha letta in ebraico.”
“Ebraico antico?”
“Penso di sì. Ricordi quella faccenda là che vi avevo raccontato tempo fa?”

Certo che la ricordo: l’ho raccolta qui. Ma taglio corto perché dalla webchat vedo la notifica che Emme sta proseguendo nel suo racconto.

“Insomma, fatto sta che, rileggendo la Bibbia in ebraico, cioè nella sua lingua originale, costui ha deciso che… come si dice… insomma ha deciso di non essere più prete.”
“Perché?”
“Perché quella non è la verità.”
“Cosa vuol dire? Non capisco.”
“E’ quello che ho chiesto anch’io e lui per tutta risposta mi ha detto di leggere la Bibbia in ebraico… che è quella vera.”
“E tante grazie! L’ebraico antico non è esattamente una lingua che insegnano a scuola…”
“Lo so. Se è per questo, nemmeno nelle università. Vuoi vedere che non lo insegnano perché non vogliono che chiunque vada a leggersi cosa c’è scritto davvero nella Bibbia?” prosegue Emme. “Ah, no scusa: sei tu il complottista…” aggiunge con una faccina sghignazzante.
Cerco l’emoticon con il dito medio ma mi precede proseguendo.
“La cosa triste è che, a seguito di questa sua scelta, ha perso tutti gli affetti. La sua famiglia, che era molto praticante e molto orgogliosa della sua vocazione, l’ha rinnegato. Rinnegato e pure diseredato, pensa. Del resto, negli anni quaranta e cinquanta, non so bene quando è accaduto, dovevano essere molto inquadrati e bigotti…”
“Tristissimo…”
“E come se non bastasse, non appena in Curia hanno capito che questo tizio sapeva leggere l’ebraico antico, gli hanno fatto terra bruciata intorno…”
“Cioè?”
“Non lo so. Ha usato questa espressione. Credo che all’epoca l’abbiano sp*tt*nato in lungo e in largo, per dirlo con parole nostre… Ma il pezzo forte deve ancora venire: reggiti forte…”
Mi reggo forte.

“A un certo punto mi ha detto: ‘Tu che ti occupi di anime, troverai un passo interessante nella Genesi. Il torpore è la chiave di tutto’…”
“Il torpore? Cioè? E cosa vuol dire che ti occupi di anime?”
“Lì per lì, me lo sono chiesto anch’io. Ha chiamato ‘torpore’ anche la sua terapia intensiva. Un dettaglio notevole: considera che la maggior parte delle persone che ne esce non ricorda quasi nulla. Mi stavo alambiccando con queste domande quando son dovuto uscire dalla camera perché era arrivata l’ora della visita. Il medico di turno ha fatto uscire tutti. Parenti e non parenti. Non ho capito cosa intendesse con quella frase, ‘mi occupo di anime’. In un certo senso, sì, è vero. Ma come ha fatto a capirlo? Non può averlo capito: di me vedeva solo la striscia degli occhi. Indossavo camice da sala operatoria, cuffia, guanti, mascherina, visiera. Sul camice avevo solo una targhettina anonima di quelle che danno ai volontari ospedalieri. Non c’era nemmeno il mio nome, per dire…”
“E non gliel’hai chiesto?”
“No. Finita la visita, il medico è stato categorico: i pazienti dovevano riposare nel modo più assoluto.”
“Il giorno dopo?”
“Il giorno dopo non ero in ospedale.”
“Non ci vedo niente di così trascendentale” rispondo. “Non è che ti ha scambiato per un prete che girava per confessare i pazienti?”
“Non saprei… Ma non era questo il pezzo forte che intendevo…”
“Ah. E quindi??”
“Sono andato a leggermi la Bibbia in ebraico…”
“Chi? Tu??” sbotto. “E dove l’hai trovata?”
“Domani ti mando un link…”
“Domani?? Non puoi mandarmelo ora?”
“Appena lo recupero te lo invio”.

Grand* farabutt* bastard*. Se c’è una cosa di Emme che odio è quel suo mollarti sul più bello.
Perché il suo “appena” dura qualche giorno. Quando va bene.

Una storia stramba

Come la si conosce di solito, è una storia assai oscura e stramba, e quel che si riesce a dedurre da tale oscurità è che, per qualche ragione misteriosissima e crudele, non si deve mai disobbedire a un tabù sulla conoscenza. Invece questa storia così com’è scritta davvero, dice proprio il contrario: come e perché si debba disobbedire, e come farlo. Ora vi racconto com’è.

L’adam e la Aishà
All’inizio, narra dunque il libro della Genesi, l’adàm viveva tranquillo nel giardino dell’Eden. E l’adàm è l’umanità. Non è un uomo che per qualche motivo si chiamasse Adamo: adàm in ebraico vuol dire “l’essere umano”, l’ “umanità” in generale. Perciò nel capitolo 1 della Genesi si dice che dopo aver creato l’universo e gli animali e una quantità di altre cose e di altri esseri

Dio creò l’adàm a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: e maschio e femmina li creò. […] Non è bene che l’adàm sia solo. Gli farò un aiuto che rifletta la sua luce.

Così dice il testo ebraico (Genesi, 2, 18). Un aiuto che aiuti cioè l’adàm a vedere se stesso, il proprio significato e il proprio compito, che evidentemente l’adàm non riusciva a vedere da solo. E Dio comincia a creare questi aiuti. E plasmò – dice il testo ebraico antico – esseri che non somigliavano all’adàm; esseri di forma e natura non umana, animale, “e li conduceva all’adàm, per vedere come li avrebbe chiamati: e in qualunque modo l’adàm avesse chiamato ciascuno di quegli esseri, quel nome sarebbe stato il suo nome.” Chi sono questi esseri? Non possono essere i comuni animali, dato che quelli erano già stati creati prima dell’adàm. Sono davvero e soltanto aiuti senza nome, esseri misteriosi, a cui l’adàm dovrà imparare a trovare il nome. E l’adàm, dice il testo ebraico,

aveva nomi per tutto il bestiame domestico, e per tutti gli uccelli del cielo e per tutte le bestie selvatiche, ma tra quegli altri aiuti non uno ne trovò, che riflettesse la sua luce (Genesi 2, 20).

Non li vide, cioè; la sua “luce”, il suo occhio non riusciva a illuminare nulla di essi: erano invisibili. Allora Dio crea un altro aiuto, un altro essere misterioso. E la traduzione a cui noi siamo abituati dice così, a questo punto:

Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò, con la costola che aveva tolto dall’uomo, una donna, e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta sì essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. Si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta”. Perciò l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne. (Genesi, 2, 2).

Qui le contraddizioni si addensano assai. Voi capite perché una costola? Perché questo esperimento di divina chirurgia plastico-genetica? E che cosa vuol dire: “Si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta”? E, soprattutto, perché mai Dio avrebbe dovuto creare a questo punto la donna, quando già prima, il sesto giorno, aveva creato tutti gli uomini e tutte le donne dell’umanità? No, è impossibile capirlo, e non perché nel testo ci sia un mistero, ma perché la traduzione è sbagliata e non ha senso, così.

La traduzione corretta

“Hai capito?” mi chiede Emme dopo avermi fatto sorbire il primo link (che link non è, ma solo una sequenza di immagini del libro che ha scovato).
“Che libro hai trovato? Non mi pare una traduzione della Bibbia in ebraico…” E nemmeno una lettura agevole, se proprio devo dirla tutta. Ma quest’ultimo dettaglio lo taccio.
“No. Quella ormai è introvabile. Perduta nei secoli dei secoli e amen.”
“Comunque no, non ho capito.” ribadisco.
“Sono andato a rileggermi la Bibbia ufficiale. Ed è vero.” continua Emme. “Capitolo 1, versetto 27: Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò. Poi la famosa storiella del torpore, della costola, della donna, arriva solo dopo: capitolo 2, versetto 22. Perché?”
Non l’avevo mai notato, devo essere sincero.
“Perché Dio prima crea l’uomo, maschio e femmina li creò, e poi la donna?” continua.
“Non lo so. Ma che libro è quello di cui mi hai mandato le foto?” insisto.
“Adesso ti mando la copertina”.
Ma prima della copertina, Emme mi invia la pagina della traduzione corretta.

Il testo ebraico-antico, tradotto correttamente, dice invece, innanzitutto:

Dio fece scendere il torpore sull’adàm, che si addormentò; e prese uno dei suoi involucri esteriori, e plasmò con forma e bellezza la levità di esso, di questo involucro.

Non ci sono costole e carne e non è dal corpo di un Adamo maschio che Dio crea qui il nuovo aiuto. Un corpo non ha “involucri”. Ciò di cui si parla qui è l’immagine che ciascuno di noi ha di se stesso, come di un intero compatto: un io intero, di cui noi diciamo “sono io”. Invece non è un intero e non è compatto: l’io è composito, molteplice, spiega qui la Bibbia: è fatto di molti “involucri”, contenuti l’uno nell’altro. E quando l’io è nel “torpore” – quando l’io è sprofondato in se stesso e non sente più nulla all’esterno ma solo dentro di sè – accade che uno di questi involucri venga tolto, e acquisti vita autonoma. Accade, notate bene. Non accade solo allora; accade davvero sempre, nel nostro presente quotidiano. Accade in ogni tempo, anche a ciascuno di noi, che nel nostro torpore (sonno, rilassamento, trance) un involucro di ciò che chiamiamo io acquisti vita autonoma.

Notevole. E’ una traduzione un po’ dura da capire ma, pur ostica o quanto meno poco agevole, tale traduzione ha un senso più compiuto della storiella della costola e della donna. Ho letto e riletto più volte le due traduzioni confrontandole: quella “ufficiale” (virgolette d’obbligo) e quella “nuova”. Devo riconoscere che l’autore in questione (che cito doverosamente più avanti) ha ragione: delle due, la più stramba è proprio quella ufficiale. Non ha alcun senso il torpore, la costola, la donna.

“Eppure non capisco…” scrivo. “L’adàm è l’umanità. Non un uomo chiamato Adamo. E fin qui ci siamo. Il torpore è il sonno…”
“…sonno, rilassamento, trance, ipnosi, ipnosi regressiva… ma anche terapia intensiva…” si sovrappone Emme in chat.
“…ok, ma l’involucro esteriore… esattamente, cosa sarebbe?”
Passano lunghi minuti prima della risposta. E poi arriva l’immagine di un’altra pagina.

Yin e yang

E il testo ebraico antico, tradotto correttamente, prosegue:

E Dio plasmò la sostanza dell’involucro che aveva spezzato nell’adàm, e ne fece Aishà, e la conduceva dall’adàm. Allora l’adàm disse: “Questa volta è sostanza della mia sostanza e vita della mia vita”. E si chiamerà Aishà, perché dall’aìsh è provenuta.

Aìsh in ebraico antico vuol dire “l’uomo”, il singolo individuo: ovvero non l’essere umano in generale, l’adàm, ma ciò che noi intendiamo quando diciamo io. L’aìsh è l’io. […] Ed è un termine maschile: la lingua ebraico-antica percepisce cioè il centro dell’io umano come un elemento maschile – come un elemento Yang, direbbero i cinesi. L’Aishà è invece una componente femminile, Yin, dell’io –  dell’io di tutti noi. […] L’Aishà, in questa lingua sacra, è dunque la compagna invisibile, aerea, spirituale dell’io di ogni individuo. Questo significa il suo nome. Ciò che è narrato qui non è dunque una seconda creazione della donna, della parte femminile dell’umanità, bensì l’apparire di un essere spirituale: di un aiuto, dice la Bibbia, noi oggi diremmo: di una guida, nella quale finalmente l’aìsh dell’individuo impara a vedere “la propria luce”.

“Tu che ti occupi di anime”

“E con questo ritorniamo al nostro cappellano novantottenne…” scrive poi Emme. “Ci ha visto lungo, lunghissimo direi. Solo mi chiedo come diavolo abbia fatto a capire che io effettivamente, per il lavoro che faccio, in un certo senso mi occupo di anime. O meglio, della parte spirituale che emerge da tutti noi quando faccio le mie sedute.”

Più che alle sue sedute, ripenso alle sue ipnosi regressive e a tutte le sue storie. Non emergono mai solo parti spirituali di ignari pazienti. Emerge sempre molto di più…
“Non hai pensato di chiederglielo?”
“Sì, ci ho pensato. Ma è stato dimesso e dovrei andare a rintracciare le sue generalità… capire dove abita… In ospedale sono solo un volontario, non credo di aver accesso a queste informazioni. Dovrei chiedere a qualche infermiera, ma dovrei inventarmi una valida motivazione. E poi devo trovare un modo per farmi riconoscere. In ospedale ero tutto coperto, di me vedeva solo gli occhi…”
“Be’, se dagli occhi ha capito che ti occupi di anime…”

Epilogo

“Purtroppo il nostro amico è mancato.”

Inizia così l’email-epilogo scritta da Emme qualche giorno dopo. Non posso riportarla per intero per ovvi motivi di privacy. Ma in sostanza posso riassumerla come segue: dopo essere riuscito ad avere notizie sull’ex-prete, Emme è andato a trovarlo per sentire come stava e poi, perché no, per scambiarci ancora due chiacchiere. Ma, ad attenderlo sul campanello, una coccarda funebre annunciava il triste evento. Una signora, uscendo dall’abitazione del vecchio, si è stupita al vederlo. “Lei è un parente?” Emme, dopo aver spiegato la situazione che l’aveva portato lì, è venuto poi a sapere che un infarto aveva colto nel sonno il pover’uomo. La signora, un’anima pia della parrocchia che si occupava degli anziani soli portando loro cibo e compagnia, l’aveva trovato seduto in poltrona, con lo sguardo spento e un sorriso velato.

“Poveretto, è sempre stato così solo… Non aveva mai voluto venire in chiesa… Eppure è sempre stato così credente, la casa piena di libri, vangeli, bibbie…”.
Da come raccontava, la signora non doveva essere al corrente del suo lontano passato, mi ha scritto Emme nella sua e-mail. “…e la cosa più triste è che è morto nel giorno del suo novantanovesimo compleanno. Tutto solo. Senza amici, senza parenti” ha aggiunto commossa per poi voltarsi a togliere l’annuncio funebre. Il funerale era già stato celebrato quello stesso giorno.

Un gran peccato. Davvero un gran peccato.

I brani citati in questo post sono estratti dal libro I maestri invisibili, di Igor Sibaldi. Un libro particolare, che non lascia indifferenti. Non è un libro adatto a tutti, devo dire la verità. Occorre una buona dose di apertura mentale, di precisa volontà di abbandonare le proprie certezze anche solo per ipotizzare che c’è dell’ “altro”, che in realtà le cose non stanno proprio come ce le hanno sempre raccontate. Basta aver voglia di leggere, di cercare, di lasciarsi incuriosire. Del resto, lo dice lo stesso vangelo di Giovanni (8, 32): “Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”.

Liberi. E quindi soli?

 

5 commenti su “Novantanove anni

  1. Forse dovevo prendere un caffè doppio prima di leggere… 😀
    Interessante storia, come interessante teoria. Magari qualcuno che sa leggere l’ebraico antico può spiegarmi anche quella parte delle Genesi dove Noè aveva 500 anni quando generò Sem, Cam e Iafet e morì a 950 anni (battuto comunque da Matusalemme che morì a 969 anni), magari gli anni ebraici sono mesi nei nostri conteggi odierni?!
    Poi però sono andata alla ricerca del libro di Igor Sibaldi, direttamente nel suo sito. Ed ecco là, ci vuole pure il corso per riconoscere questi maestri invisibili e lui ne fa parecchi, itineranti, e forma anche degli insegnanti, che a sua volta fanno corsi. Che peccato. Sono allergica oramai al termine “corso”, dal “corso di scrittura per un bestseller al top” fino al “corso di crescita finanziaria per diventare milionario in 5 mosse” (che se vai a ben vedere si riduce ad una sola mossa: crea un corso e vendilo a tutti…) XD
    Comunque leggendo mi sono ricordata degli indiani d’America. il Grande Spirito ma anche gli spiriti degli antenati, gli spiriti della Natura e gli spiriti totemici, o spiriti guida. Chissà…

    1. Hai ragione. Al prossimo post metto il numero di caffé da bere prima della lettura… 😀 😀 😀

      Anche io sono diventato un po’ allergico alla parola “Corso”, specialmente quando ho capito che spesso il guru di turno abbina un libro che, praticamente, è il riassunto del corso: tante grazie, mi compro il libro e risparmio su tutto il resto (tempo, logistica, iscrizione…). Che poi, non so te, ma spesso mi capita di buttare via anche i soldi del libro, dal tanto che scrivono della scoperta dell’acqua calda… 😛

  2. Resterò una credente “in catene”, non ho la curiosità di scoprire “altro” e preferisco tenermi le mie certezze. Ci sono persone che non le vogliono intaccate e io sono una di quelle. Attenzione, non ho un credo cieco di fronte alle storie dell’Antico Testamento e ne ho fatto motivo di grandi confronti con molti sacerdoti, però andare a indagare su lingue antiche e conseguenti interpretazioni non è un interesse che coltivo. Lo yin e lo yang pure dentro la Bibbia mi fa sentire come il neonato a cui dai una goccia di limone sulla punta di un cucchiaino. 😁
    Invece mi dispiace molto per quel vecchietto morto in solitudine. Se Emme fosse arrivato in tempo, se ne sarebbe andato con il conforto di una bella e amichevole conversazione.

    1. E’ più che lecito non avere l’esigenza di scoprire “altro”. Molte persone si accontentano delle proprie certezze e anch’io spesso sono tra queste. Tuttavia ci sono categorie di persone (e ne conosco molte) che fanno delle proprie certezze una verità assoluta “che deve essere accettata” perché “l’unica verità possibile”. Certe volte è l’ottusità di queste persone che mi sprona a voler scoprire “altro”, anche solo per farli sentire ignoranti di fronte al proprio estremismo, qualora mi capitasse di discuterci.

      1. sì, questo lo capisco. Io non sono una fondamentalista cattolica e ascolto volentieri teorie, elaborazioni, studi, approfondimenti, però so che niente mi scalfisce. Ecco, voglio dire che so che il mio credo ha delle falle superabili solo con la fede e lo accetto, senza che i dubbi possano scalfirlo.

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